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Le cronache riportano le morti

di Roberto
Rosso

Le morti per determinate cause, riportate dalle cronache, sono la punta di fenomeni e comportamenti molto più estesi e diffusi. In questi giorni le morti sul lavoro con la strage di Brandizzo e l’ultimo episodio di femminicidio, il settantottesimo dell’anno1, hanno attirato l’attenzione e suscitato il dibattito pubblico sui media. Il primo per dimensioni e modalità continua ad essere seguito, resta sulle prime pagine, mentre la serie di morti sul lavoro si si allunga con cadenza più che quotidiana2. Al di là della dinamica specifica che ha portato alla strage di Brandizzo, credo non ci siano dubbi che la condotta seguita in questo caso affondi nelle consuetudini e nelle condizioni in cui viene realizzata l’attività di manutenzione della rete ferroviaria, a partire dal fatto che la società intervenuta è il terzo livello nella catena dei subappalti; contesto dal quale poi si può risalire alle decisione specifiche adottate da chi ha preso la decisione di dare inizio ai lavori.

Il femminicidio è l’evento più drammatico -se così si può affermare- delle violenze e dei soprusi esercitati dagli uomini sulle donne nella nostra società. Gli ultimi due casi, emersi nelle cronache, quello di Palermo e di Caivano, sono azioni di violenza sessuale di gruppo che vedono protagonisti anche dei minori. L’episodio di Caivano, che ha visto come vittime due tredicenni e responsabili un gruppo di adolescenti oltre ad un diciannovenne, che risale al mese di luglio, ha suscitato il massimo di clamore possibile, con la visita al quartiere del primo ministro Meloni e il successivo massiccio intervento delle forze dell’ordine dall’esito minimo e scontato; del resto questi interventi nel quartiere si succedono nel tempo, senza che ne sia data notizia3.

Il governo sta per emettere un provvedimento -decreto o disegno di legge- sulla sicurezza con l’obiettivo di inasprire le pene in tutta una serie di casi. Una sequenza già vista, dove l’intervento repressivo viene presentato come elemento risolutore -e non come estrema ratio- a tutto favore del governo in carica, rispetto a dinamiche di carattere sociale fortemente radicate nei territori e nelle classi sociali dove i fatti avvengono.

Un giusto senso di giustizia richiede una qualche punizione per i responsabili di quelle serie di fatti che abbiamo elencato, dalle morti sul lavoro, ai femminicidi alle violenze sessuali; di solito, nelle prese di posizione più comuni come quelle riportate nei social, si auspica che sia erogato il massimo della pena, i responsabili siano condotti in carcere e si butti via la chiave. Il tema della individuazione delle responsabilità si lega a quella delle pene da erogare, l’esatta descrizione dei delitti, dei reati individuati rimanda al problema della prevenzione ed alla misura del sommerso, quell’insieme di eventi che emergono, non diventano notizie in cronaca o eventi su cui indagare. Per quanto riguarda la pena, si intende il carcere, e qui si apre un altro mondo, uno sguardo sull’abisso su cui quasi nessuno vuole guardare, un abisso di violenza, di deprivazione che va ben oltre la semplice privazione della libertà, che emerge nelle cronache solo quando le notizie sfuggono all’omertà dell’istituzione. I casi individuali ci consegnano ancora una volta le morti, in particolare i suicidi4. Il primo articolo citato in nota si riferisce all’anno 2022, analizzando i dati riportati nello studio del Garante Nazionale dei diritti delle persone private della libertà[3], intitolato Per un’analisi dei suicidi negli Istituti penitenziari pubblicato il 5 gennaio 2023.

Questo mese le cronache hanno riportato la rapida successione di 3 suicidi in carcere5, un caso è particolarmente rivelatore rispetto alla realtà del carcere ed è quello della detenuta del carcere delle Vallette che ‘si è lasciata morire’ rifiutando cibo, acqua e farmaci per 18 giorni allo scopo di poter incontrare la propria figlia. Il dato è reso ancor più drammatico dal fatto che il secondo suicidio è quello di un’altra donna che si è impiccata sempre nello stesso carcere delle Vallette. Il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha tempestivamente fatto visita al carcere torinese, ma di una inchiesta su questa coppia di tragedie, quasi racchiuse in un unico evento, non c’è traccia. La realtà del carcere continua ad essere ignorata. Solo eventi drammatici come il pestaggio dei detenuti del carcere di Santa Maria Capua Vetere arrivano ai media ed hanno uno sbocco giudiziario6.

Se si vuole attingere  con continuità ad un notiziario sulla condizione carceraria è necessario ascoltare la trasmissione Radio Carcere su Radio Radicale7, la cronaca delle visite ai diversi penitenziari nel periodo estivo; sempre in particolare sulla condizione delle sezioni femminili8; andare sul sito di Antigone 9 odi Ristretti Orizzonti 10

Le catene di eventi citati, i morti e gli incidenti sul lavoro –che oltre alle morti segnano con invalidità e sofferenze decine di migliaia di lavoratori ogni anno– i femminicidi, le violenze sessuali ad opera di singoli o di gruppi –realtà solo in parte emersa e resa pubblica– assieme alla condizione carceraria alla sofferenza, alle tipologie di sopruso e violenza che al riparo delle mura si riproducono con continuità, strutturano la nostra società, evidenziano il carattere delle relazioni familiari, interpersonali e sociali, il grado di condivisione delle condizioni di vita, il grado di empatia e solidarietà di cui siamo capaci, il senso di giustizia – nell’ampio spettro di significati che questo termine può assumere- che ci appartiene come singoli e collettività, la capacità o meno di reagire, di ribellarci, di agire per trasformare lo stato di cose presenti. Questi eventi sono il segno di condizioni, consuetudini, eventi, sensibilità, cultura, emozioni e sentimenti che si intrecciano nella nostra quotidianità, nel corso delle diverse fasi di una vita, e nel determinano il carattere profondo.

Questa osservazione rimanda alla capacità personale e collettiva che abbiamo di ricomporre un nesso tra gli eventi e le esperienze che costituiscono il flusso della nostra vita, la capacità di ricavarne un senso, di sviluppare una capacità di critica, di reagire e agire. La realtà di viene proposta in modo frammentario ed in modo episodico ed individualizzato siamo portati a reagire, operando una gigantesca opera di rimozione a livello individuale e collettivo, disponendoci in tal modo ad essere sostanzialmente manipolati, permettendo ad altri di definire l’agenda delle nostre vite intrecciate, della società in cui viviamo. A quel punto non c’è spazio per ‘grandi narrazioni’ per orizzonti progettuali che ci vedano protagonisti della nostra emancipazione, per non dire liberazione, i giochi sono fatti. Se qualcuno può prendere questa come un’osservazione rispetto al ‘far politica’, è nel giusto.

Giustamente quando in redazione ho definito in maniera abbastanza nebulosa quello che doveva essere il tema del mio articolo, Alessandro Scassellati mi ha fatto notare che avevo omesso la più grande tragedia dei nostri giorni, le morti in mare e durante tutto il percorso che i migranti affrontano per giungere nel nostro paese, passaggio intermedio per il resto d’Europa. Osservazione più che giusta, che segna l’artificiale separazione istituita tra ciò che avviene all’interno dei confini nazionali e ciò che riguarda chi verso di essi è diretto, nei continenti vicini, fuori e dentro le acque territoriali. Del resto quelle stesse persone sono protagoniste delle condizioni di lavoro precario, delle condizioni sociali, dei costumi e delle culture dominati dell’adeguamento ad esse o del conflitto, in assenza di una capacità di reale inclusione e reciproca trasformazione. È duro dirlo, ma quelle morti quelle tragedie sono prese in considerazione all’ingrosso’, non sono singole persone che muoiono o soffrono, ma una categoria di persone, raramente assurgono alla dignità di persone individuate di solito in modo emblematico, come quando ci colpisce ci emoziona il cadavere di un bambino rilasciato dal mare su una spiaggia, di cui alla fine si riesce a sapere il nome e la vicenda personale.

Forse nel bilancio tra bene e male, questa riduzione a dato collettivo delle vicende personali può essere un bene in quanto ripropone l’immagine, la nozione di un fatto sociale, da affrontare come tale, che nel male vien poi ridotto ad una descrizione schematica, utile ad essere manipolata ad uso di propaganda.  La profonda internità delle migrazioni alla realtà della nostra società, viene poi rimossa, mascherata in quel flusso di notizie, nelle cronache quotidiane come viene rimossa il carattere profonde delle sofferenze, delle tragedie, dei rapporti e dei processi social che le generano, di cui sopra.

Roberto Rosso

  1. https://www.ansa.it/sito/notizie/cronaca/2023/09/05/report-viminale-78-femminicidi-da-inizio-anno_b5ea9cef-263c-45c3-bd47-800a977ec4ac.html  []
  2. https://finanza.lastampa.it/News/2023/08/31/morti-sul-lavoro-559-vittime-nei-primi-7-mesi-2023-media-di-80-vittime-al-mese/MTczXzIwMjMtMDgtMzFfVExC   []
  3.   https://ilmanifesto.it/al-parco-verde-di-caivano-nessuna-manutenzione-ne-trasporti-solo-la-politica-delle-passerelle https://ilmanifesto.it/il-parco-verde-una-bomba-sociale-creata-dallo-stato  []
  4. https://www.questionegiustizia.it/articolo/suicidi-carcere  https://www.antigone.it/tredicesimo-rapporto-sulle-condizioni-di-detenzione/02-autolesionismo-e-suicidi/  http://www.ristretti.it/areestudio/disagio/ricerca/ []
  5. https://it.euronews.com/2023/08/13/emergenza-carceri-tre-suicidi-in-poche-ore-negli-istituti-penitenziari-italiani []
  6. https://www.rainews.it/tgr/campania/video/2023/05/santa-maria-capua-vetere-processo-pestaggi-detenuti-71763296-098d-4752-91b9-d1bc3b37dcd7.html  []
  7. https://www.radioradicale.it/rubriche/70/radio-carcere []
  8.   https://www.radioradicale.it/scheda/692546/radio-carcere-le-donne-detenute-dimenticate-anche-alla-festa-dell8-marzo-la-realta-del/radio-carcere  []
  9. https://www.antigone.it []
  10. https://ristretti.org/ []
carcere, migrazioni, morti sul lavoro, violenza di genere
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