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L’ineluttabilità dell’eguaglianza

di Roberto
Musacchio

Confesso una certa emozione nel rileggere ciò che affermava il Manifesto degli uguali che ispirava alla fine del ‘700 francese quella congiura  che voleva dare uno sbocco protocomunista a ciò che era stata la Rivoluzione francese.
Non è certo un caso che David Tozzo, giovane e brillante ricercatore politico (in senso culturale e di attivismo) gli dedichi uno spazio importante nel suo libro L’ineluttabilità dell’uguaglianza, da poco uscito per le edizioni LUISS.
La stessa copertina ha la valenza del saggio di battaglia antica, quando le idee forgiavano il Mondo, con il sottotitolo Una polemica del signor Tozzo.

Riportare quel testo così solenne sull’uguaglianza “Primo voto della natura, primo bisogno dell’uomo, e principale nodo di ogni associazione politica!” dà lo spessore della tesi che si sostiene nel libro: è l’uguaglianza la madre della sinistra. Mentre la libertà è spesso approfittata dalla destra. “Ebbene! noi pretendiamo ormai di vivere e morire eguali come siamo nati…”.
Questo afflato accompagna una costruzione che in 150 pagine ripercorre le strade dei pensieri politici, filosofici, religiosi, antropologici, economici, di genere e massmediatici con ricchezza di conoscenze e rimandi.
E una tesi di fondo: l’uguaglianza è alla fine ineluttabile. Perché essa serve alla specie umana e alla vita del pianeta. Lo ha già fatto in altre epoche. Ora lo deve fare, e lo farà, perché non ha alternative compatibili con la vita.
Diritto alla proprietà e diritto alla esistenza sono in realtà incompatibili.

Sono affermazioni forti e radicali che si accompagnano ad una sistematica critica di tutti i pensatori e i pensieri a presidio dello status quo (la polemica del signor Tozzo). Ma anche a cercare gli elementi esperienziali che accendono una fiammella di luce verso la strada della ineluttabilità per l’eguaglianza.
Non solo disquisizioni polemiche dunque ma anche navigazioni nei dati, nelle politiche (europee, climatiche, massmediatiche, sociali).
Tozzo è operatore politico informato. Il libro è un bel gioco di equilibrio tra assiomi e percorsi.
Ricorda che un tempo si era consapevoli che per essere riformatori occorre essere rivoluzionari. E viceversa. Poi la parola del riformismo verso il neoliberalismo che il libro ha ben chiara. Come ha chiaro che occorra sortirne fuori.

Tra i grandi riformatori mette sicuramente Lula a partire dal programma fame zero.
‘altronde scrive che lo slogan da adottare è “niente rappresentanza senza sopravvivenza”. È ancora la vita a dare la misura di ciò che succede. La crescita dei ceti medi in Cina e in India, quest’ultima con alcune riforme egualitarie fondate su un’idea di salario minimo. Il reddito universale è una grande riforma necessaria. È l’esemplificazione di quel diritto alla vita che è di più del diritto a sopravvivere. Qui Tozzo prende a riferimento il Manifesto per l’uguaglianza di Ferrajoli che motiva il valore del reddito minimo universale come grande questione di civiltà.
Complemento del reddito universale è la tassazione sui capitali che sono anche frutto dei prelievi di natura che hanno favorito i ricchi.

Comunque anche per le donne i divari si sono ridotti. E la democrazia si può dire si estenda.
Si può dire che oggi si riducono le divisioni tra le nazioni e aumenta il peso di quelle di classe. Specie in Occidente.
Qui subentra la lettura di Piketty e del suo Una breve storia dell’uguaglianza. Che vede comunque una dinamica che può fare pensare al realizzarsi al fine di una classe media universale, una sorta di classe unica.

Questo, per me, è un punto cardine. Ripone al centro la questione delle classi sociali e delle dinamiche capitaliste. In particolare di quella che Gallino ha chiamato la lotta di classe rovesciata. Ed è quello su cui più mi viene da interloquire con Tozzo sul prevalente, l’inerzia della fase. Peraltro resa più complessa dall’insorgere della guerra e della crisi (o nuova fase?) della globalizzazione. Per cui si impone una “dinamica orwelliana” di scontro tra aree che tendono tutte alla supremazia. Brancaccio (con Giammetti e Lucarelli) parla nel recente La guerra capitalista (competizione, centralizzazione, nuovo conflitto imperialista) di una faglia tra Paesi in debito (gli USA) e in credito (la Cina) come elemento scatenante il conflitto dentro la centralizzazione crescente dei capitali (Marx) più della caduta del saggio di profitto (differenza con Marx). A me pare che la lente vada posta all’incrocio tra questa dinamica di guerra e la lotta di classe rovesciata che determina una tendenza alto basso. Super imperialismo, come diceva Kautsky? Io sto alle previsioni del movimento dei movimenti che aveva letto per tempo la guerra mondiale permanente, economica, sociale e militare.

Tra fenomeni di concentrazione finanziaria, riduzione delle differenze per aree geografiche, lotta di classe rovesciata cosa è più ineluttabile l’uguaglianza o la guerra?

Per Tozzo molto si gioca sulla rete, centralizzazione e controllo o trasversalità dal basso? Sul reddito, come detto. Sul tax the rich dei radicali USA, sui profitti trasferiti ai lavoratori per co-possedere e co-gestire le imprese. Sul superamento degli Stati nazione. Qui la mia visione della UE mi pare più pessimista. Non perché io sia per gli Stati ma perché l'”Europa Reale”, come io chiamo la UE, mi appare assolutamente a-democratica, una sorta di moderno ancien regime le cui “classi dirigenti”, in un compromesso tra establishment “globalisti e nazionalisti”, non a caso hanno scelto la guerra come costituente di una totale rottura, pienamente revisionista, con il ‘900. Come Putin. Come la NATO.

Di certo il libro è un contributo prezioso per valori (si chiude addirittura con un rovesciamento di quelli competitivi olimpici) ed esemplificazioni sostenute con competenza della ineluttabilità dell’uguaglianza. Non a caso riprende, sempre nel finale, il meglio dell’aspirazione comunista. E sa legare il “Sol dell’avvenire” all'”avvenire del sole”, giustizia sociale e climatica. Ma, per Marx, lo spettro della barbarie era una possibilità. Non ineluttabile ma immanente nella comune rovina delle classi in lotta. E questo mi angustia.

La postfazione è simpaticamente affidata a Vendola che nel libro Tozzo critica per aver immesso la parola libertà nel nome di SEL.

Roberto Musacchio

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