La Risoluzione del 23 gennaio ha visto la spaccatura del gruppo The Left, ultimo atto di una divisione che perdura dall’invasione russa dell’Ucraina, e che viene rimossa con il silenzio
Per vari aspetti è persino peggio di quattro anni e mezzo fa. La Risoluzione del Parlamento Europeo del 19 settembre 2019 sull’importanza della memoria per il futuro dell’Europa aveva attribuito al Patto di non aggressione Molotov-Ribbentrop l’origine e l’inizio della Seconda guerra mondiale, per equiparare sostanzialmente nazismo e comunismo nella memoria storica degli europei. È apparsa da subito come il tipico esempio di un’istanza che, dapprima ben radicata e connotata a destra, viene in seguito, di compromesso in compromesso, di limatura in limatura, fatta propria, con qualche distinguo e maldipancia, anche dal centrosinistra, generalmente in nome di “valori comuni”. Quella Risoluzione, nella fattispecie, ebbe il voto contrario della Sinistra, che allora si chiamava ancora GUE/NGL, mentre fu votata dai partiti di destra, di centro, dal gruppo S&D (ma circa metà della delegazione PD votò contro) e dalla maggioranza dei Verdi. Com’era da prevedere, essa suscitò un vespaio di polemiche; la comunità degli storici ne prese in generale le distanze.
La Risoluzione del Parlamento europeo del 23 gennaio 2025 sulla disinformazione e la falsificazione della storia da parte della Russia per giustificare la sua guerra di aggressione contro l’Ucraina, approvata giovedì scorso, trova invece il suo senso e fulcro proprio nella cosiddetta “maggioranza Ursula” (PPE, S&D, Renew e Verdi). In sostanza, riprende e attualizza in funzione ora tutta antirussa il paradigma rozzamente antitotalitario dell’altra Risoluzione, quella del 2019. La Russia vi viene considerata l’erede diretta e continuatrice dei regimi totalitari del Novecento. Tuttavia, al di là dell’invito alla Russia a cessare le attività militari in Ucraina e della richiesta di «istituire un tribunale speciale incaricato di indagare e perseguire il crimine di aggressione commesso dai dirigenti della Federazione russa contro l’Ucraina», essa riguarda di fatto l’informazione, la propaganda e la narrazione storica russa, con l’effetto paradossale, e francamente grottesco, che davanti alla tragedia di un’invasione e di una guerra che dura da quasi tre anni, sia fondamentale denunciare, cito un punto fra tanti, il fatto «non solo che la Russia non ha riconosciuto l’imperdonabile ruolo svolto inizialmente dall’Unione sovietica nelle prime fasi della Seconda guerra mondiale, ad esempio con il trattato di non aggressione del 1939 tra la Germania nazista e l’Unione delle repubbliche socialiste sovietiche (Unione sovietica) e i suoi protocolli segreti, comunemente denominato patto Molotov-Ribbentrop del 1939, nell’ambito del quale i due regimi totalitari cospirarono per dividere l’Europa in sfere di influenza esclusive, e non si è assunta la propria responsabilità per le numerose atrocità e i numerosi crimini di massa commessi nei territori occupati dall’Unione sovietica, ma anche che l’attuale regime russo ha strumentalizzato la storia e ha creato un culto della “vittoria” intorno alla Seconda guerra mondiale al fine di mobilitare ideologicamente i propri cittadini e manipolarli affinché sostengano una guerra di aggressione illegale». Mo’ me lo segno, verrebbe da dire. Non manca ovviamente pure l’auspicio del divieto dell’«uso dei simboli nazisti e comunisti sovietici, così come dei simboli dell’attuale aggressione russa contro l’Ucraina». In questo modo viene demonizzata ed espunta la storia del movimento operaio che in tutta Europa e nel mondo, indipendentemente dagli sviluppi nell’URSS, si riconosceva proprio nel simbolo di falce e martello, assolutizzando il piccolo, limitato orizzonte dell’attuale presente occidentale, e dimostrando ancora una volta che la mancata rielaborazione del proprio passato e la manipolazione ideologica e propagandistica della storia non stanno da una parte sola.
È certamente consolante che questa volta la delegazione del PD sia uscita dall’aula e non abbia partecipato al voto, riflettendo così il dibattito che la guerra in Ucraina ha suscitato all’interno del partito. È però sconcertante che il gruppo della Sinistra si sia invece spaccato su questa Risoluzione: quindici deputati hanno votato a favore (oltre ai nordici, i deputati di France Insoumise, compresa Manon Aubry, copresidente del gruppo), venti contro (tra cui tutti gli italiani), e due si sono astenuti (tra cui Carola Rakete). Non è invero la prima volta che il gruppo si divide sulla guerra in Ucraina. Tuttavia spiccano in questo caso l’impulso ideologico dietro la Risoluzione, l’affannarsi su un terreno che nulla ha a che fare con la solidarietà all’Ucraina, e la cancellazione sommaria di quel movimento operaio alla cui storia i partiti del gruppo The Left dicono in fondo di richiamarsi. Qual è la natura, quali sono le prospettive di una sinistra che si spezza su questo, che assente a questo?
La sinistra europea si è presto divisa sull’Ucraina. Non sulla condanna dell’invasione russa – posizioni diverse al riguardo non si sono mai articolate in proposizioni politiche riconoscibili e riconosciute pubblicamente (al netto ovviamente di distorsioni e manipolazioni, in cui tutti coloro che non condividevano la soluzione militare sono ipso facto bollati come filo-putiniani), quanto piuttosto sulle cause (l’imperialismo russo o le politiche di espansione a Est della NATO?) e sul che fare (armi all’Ucraina o trattative?). Entrambi i punti di vista si appellavano in principio a battaglie e valori storici della sinistra; quello “interventista” pareva allora ancor più impellente in solidarietà con la sinistra ucraina che, comprensibilmente, invocava l’aiuto, anche e soprattutto militare, per respingere l’invasore. Subito però è calato il silenzio, nel senso che non ci sono mai stati reali momenti di confronto, tutt’al più discussioni di infimo livello sui social network, mai tentativi di sintesi che dessero almeno un senso alle differenze reciproche. Ricordo quando nella primavera del 2024 partecipai a Marsiglia all’incontro dello European Common Space for Alternatives (rete che si propone di proseguire l’esperienza dei Social Forum dei primi anni Duemila): le riunioni sull’Ucraina organizzate rispettivamente dalle associazioni “in solidarietà” e da quelle pacifiste si tennero lo stesso giorno e la stessa ora, in luoghi distanti almeno un chilometro l’uno dall’altro. Neppure il massacro del 7 ottobre 2023 e la conseguente intensificazione parossistica della guerra mossa da Israele contro i palestinesi hanno portato, non dico a un avvicinamento, ma neanche a una comune riflessione: per esempio, davvero l’unica solidarietà concreta a un popolo aggredito è quella militare contro l’aggressore “fino alla vittoria”? Il militarismo è un valore o un disvalore? È auspicabile l’aumento delle spese militari fino al 5% del PIL a discapito delle spese sociali? Quali devono essere le strategie e le politiche della sinistra per realizzare l’autodeterminazione dei popoli e la convivenza reciproca in Ucraina, in Palestina e altrove? Per dire. Invece niente. Persino nella fuoriuscita dell’Alleanza della Sinistra Europea dal Partito della Sinistra Europea, a fine estate dell’anno scorso, le divisioni sull’Ucraina non hanno in realtà avuto un ruolo. Permane un silenzio che non promette nulla di buono su cosa questa sinistra pensi la caratterizzi e per cosa valga la pena presentarsi e chiedere voti alle elezioni.
Resta il fatto, tuttavia, che quindici europarlamentari del gruppo The Left hanno votato una Risoluzione che non giova in nulla all’Ucraina, ma che serve in primo luogo a costruire ideologicamente il nemico russo. Peraltro basandosi ridicolmente sulle politiche della memoria e della propaganda, e ignorando (ironie della tempistica!) le altre minacce alla pace, alla democrazia e ai diritti umani che vengono addensandosi da oltre Atlantico. È qui che appare chiara la tragica paralisi di un’Europa che, sin dall’alba della crisi russo-ucraina oltre dieci anni fa, ha rinunciato a mettere in pratica gli insegnamenti della sua lunga storia dolorosa, ad assumersi la responsabilità di un ruolo di mediazione e di difesa della sicurezza comune e dei diritti collettivi in tutto il continente, promuovendo in questo modo, sul serio, la pace e la democrazia. La tragica paralisi di un’Europa che invece ha preferito conformarsi agli interessi geopolitici dominanti – il “pilota automatico” serve ovviamente a prevenire il confronto e la discussione delle opzioni possibili –, scivolando indietro, riproducendo visioni, atteggiamenti e mentalità che si speravano consegnati alla spazzatura della storia. Le gerarchie tra i popoli europei (per non dire degli altri) – non solo “i russi non sono come noi”, ma anche gli ucraini come carne da cannone che “combattono per noi fino alla vittoria”. La ripresa del detto dei dominatori “si vis pacem para bellum”, che fa strame del diritto internazionale e di anni di studi per la pace, e che pone chi lo dice, magari crollando gravemente il capo come davanti a un esempio di profonda misconosciuta saggezza, in posizione simmetrica a Putin. Gli spazi per reagire si vanno sempre più restringendo. Ne sono tutti consapevoli al gruppo The Left?
Francesca Lacaita