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La Sinistra Irlandese e la Brexit

di Darragh
Golden

da Dublino Darragh Golden –  Se Brexit ci insegna qualcosa è che la questione dell’integrazione Europea e l’appartenenza all’Unione Europea sono divisive quanto complesse. Certamente, la frase ‘Brexit significa Brexit’ avrà suo posto nella storia e verrà tramandata (probabilmente come una barzelletta). Tuttavia è utile chiedersi: cosa significa la Brexit per la sinistra irlandese? Innanzitutto, bisogna ricordare che gli irlandesi hanno bocciato il trattato di Lisbona nel 2008. Questo è stato visto come una vittoria per la resistenza al neoliberalismo e ha ripetuto la bocciatura francese ed olandese. Un dato di fatto importante di questo referendum è la correlazione del voto con la classe, infatti la classe lavoratrice ha tendenzialmente votato contro il trattato (e la classe politica). Fu così anche per la maggioranza dei membri del Labour, malgrado l’appoggio del gruppo dirigente del partito al Sì al referendum. Nel fratempo il mondo si è cambiato significativamente con la crisi profonda del 2008/9. Questo cambiamento ci aiuta a spiegare, in parte, l’inversione del voto irlandese nel secondo referendum.

Nel decennio di crisi appena trascorso ci sono stati tanti punti bassi. Sicuramente uno di essi è la decisione degli elettori britannici di votare per Brexit nel giugno di 2016. Siamo all’inizio d’ottobre 2019 e siamo ancora incerti sul vero significato di Brexit. In questo breve articolo cercherò di delineare come la sinistra irlandese abbia affrontato i colpi di scena della Brexit. Mi concentrerò sui tre partiti principali della sinistra, ovvero il partito laburista, che ha participato al governo dal 2011 al 2016, Sinn Fèin, che dall’accordo di Venerdì Santo del 1997 ha visto la sua rappresentanza aumentare ad ogni elezione, e il più piccolo, People Before Profit (PBP). Mentre il partito laburista è presente solo nella Repubblica d’Irlanda, Sinn Fèin e in misura minore PBP operano anche nell’Irlanda del Nord, eleggendo rappresentati nel parlamento di Stormont.

La crisi e la sinistra irlandese

Mentre l’Irlanda ha vissuto una crisi profonda, la sinistra irlandese ha avuto un notevole successo elettorale. Questo sviluppo ha sfidato la posizione egemonica dei due partiti di centrodestra, Fianna Fàil e Fine Gael, entrambi prodotti della guerra civile (1922-1923). La sinistra irlandese rappresenta tuttavia una famiglia abbastanza disparata, caratterizzata anche dalla presenza di un alto numero di parlamentari indipendenti. Nel parlamento, tra i due cicli elettorali di 2011 e 2016, la presenza di una sinistra è rimasta abbastanza stabile con circa il 30 per cento dei seggi. Da 2016 l’Irlanda ha un governo di minoranza guidato dal Fine Gael. L’unica ragione pre cui questo governo non è ancora caduta è a causa di Brexit. Per essere precisi, il principale partito d’opposizione, Fianna Fàil, ha stipulato un accordo di non far cadere il governo finchè Brexit sia realizzato. Ma dove si posizionano i tre partiti menzionati sulla contorta questione della Brexit?

Senza dubbio il partito più colpito dalla Brexit è il Sinn Féin, per due ragioni. Primo, Sinn Fèin è un partito ‘all-island’, eleggendo rappresentanti sia nell’assemblea dell’Irlanda del nord sia nella Repubblica. Dato che il nord dell’isola fa parte del Regno Unito, Sinn Fèin participa pure nelle elezioni per Westminster a Londra. Invece di boicottare le elezioni britanniche, Sinn Fèin segue, per quasi due secoli, una strategia di astensionismo, ossia elegge parlamentari che però non prendono possesso del seggio. Secondo, il partito è stato lungamente critico dell’Unione Europea, respingendo gli ultimi tre trattati europei: Nizza, Lisbona e il Patto Fiscale. L’essenza principale della loro opposizione si basa su due punti: la direzione neoliberista dell’integrazione europea e la militarizzazione dell’UE sotto PESCO che potrebbe compromettere la storica neutralità irlandese. Ciononostante, quando il partito ha affrontato la scelta netta tra lasciare o rimanere nell’UE, Sinn Fèin, al contrario del partito degli unionisti Democratic Unionist Party (DUP), ha fatto una campagna per rimanere. In Irlanda del Nord il 56 per cento degli elettori ha votato sulla stessa linea del Sinn Féin. Le cose si sono ulteriormente complicate quando il sostegno del DUP è stato necessario per formare un governo conservatore nel Regno Unito.

 

Proteggere il Processo di Pace e Niente Confine ‘Hard’

Dopo il risultato del referendum, i tre partiti principali della sinistra irlandese, cioè Sinn Fein, Labour e People Before Profit, vogliono a tutti costi evitare un confine ‘hard’ tra l’Irlanda del nord e la Repubblica. Sinn Féin ha fatto una campagna per rimanere proprio perché Brexit potrebbe minare l’accordo del Venerdì Santo, che ha avuto un ruolo importantissimo nel garantire due decadi di pace. Il ritorno ad un confine ‘hard’ potrebbe attivare attagonismi latenti e potrebbe significare il ritorno ai vecchi tempi quando la violenza settaria era un evento regolare. Dopo il risultato a favore di Brexit, Sinn Féin è stato il primo partito ad insistere che l’Irlanda del Nord debba essere trattata come uno stato speciale. Su questo giudizio vi è stata poi la convergenza della posizione del governo irlandese e dell’Unione Europea. L’accordo di recesso negoziato con Thresa May ha riconosciuto lo stato speciale del Nord con il cosiddetto ‘backstop’. Brevemente, il ‘backstop’ sarebbe una ‘assicurazione’ che impedirebbe la reintroduzione di una frontiera rigida con controlli doganali sull’isola d’Irlanda dopo la Brexit. Implica che il Regno Unito, o almeno meno l’Irlanda del Nord, resti nell’unione doganale finchè non venga negoziato un accordo di commercio.

Tuttavia, dopo il fallimento di May nell’ottenere l’approvazione del parlamento, è diventato più difficile garantire la presenza del backstop.  L’ascesa di Boris Johnson come leader e la sua riluttanza a negoziare rende la prospettiva di un no-deal Brexit sempre più probabile. E così ora il ritorno di un confine ‘hard’ sembra una certezza.

People Before Profit, un partito socialista di ispirazione trozkista che di recente ha iniziato ad organizzarsi sull’intera isola, sebbene con minore successo, ha favorito l’uscita della Gran Bretagna dall’UE con l’argomente che l’UE attuale è contro gli interessi della classe operaia. Inizialmente, il partito era felice della decisione della maggioranza del popolo britannico, però poco dopo lo stesso ha fatto retromarcia quando si è reso conto che l’economia irlandese sarà la più colpita dalla Brexit. Ora il partito è contro un ‘Tory Brexit’, che differisce da un ‘Lexit’, cioè un’uscita lungo linee di sinistra. Anche il Labour, assieme alle confederazioni sindacali irlandesi e britanniche, è molto preoccupato per il fatto che un Tory Brexit potrebbe significare l’inizio di un’agenda iper-liberalista, con un falò della regolamentazione del mercato del lavoro e del mondo finanzario. Un tale scenario potrebbe esercitare una pressione al ribasso sulle tutele occupazionali.

Brexit e Democrazia Diretta

Tutti e tre i partiti chiedono un nuovo referendum, sebbene su tematiche diverse. Partendo dal fatto che la prima campagna sulla Brexit è stata vinta su falsità e menzogne, Labour sostiene che un secondo referendum sia necessario per il Regno Unito. People Before Profit insiste invece che il popolo irlandese, nord e sud, dovrebbe essere consultato sui negoziati eventuali tra l’UE e la Gran Bretagna. Sinn Fèin suggerisce una proposta più radicale: un cosidetto ‘border poll’, ovvero un referendum sull’unità irlandese. Sinn Fèin ritiene che questa proposta, prevista nell’accordo del Venerdì Santo, abbia un’importanza ancora maggiore in caso di un ‘no deal’ Brexit. Così, nel caso di un risultato positivo, l’Irlanda del Nord potrebbe rimanere dentro l’UE. Dalla cessazione della violenza settaria nel nord e lo scioglimento dell’IRA, Sinn Fèin ha attraversato una forma di “pulizia politica” nel tentativo di essere più accettabile per gli elettori moderati. Sebbene abbia avuto risultati deludenti alle ultime elezioni europee, Sinn Fèin ha compiuto progressi significativi nelle elezioni nazionali nel corso degli anni. Questo non è passato inosservato ai due partiti principali, Fianna Fàil e Fine Gael. Entrambi cercheranno un divorzio amichevole tra il Regno Unito e l’UE in modo da limitare la popolarità di Sinn Fèin. Credo che il primo ministro irlandese Leo Varadkar (Fine Gael) e la controparte britannica cercheranno un accordo prima della fine di ottobre, proprio per evitare che i loro rivali possano ricavarne un vantaggio sul piano politico.  Con la scadenza di fine d’ottobre in vista, forse il tempo avrà l’ultima parola, e la Brexit sarà rinviata. Ancora una volta si conferma che Brexit è una promessa senza un piano.

Un ringraziamento è dovuto a Vincenzo Macccarrone per suggestioni e correzioni.

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