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La resurrezione di Lula. Ora comincia la parte più difficile: governare un Paese lacerato

di Alessandro
Scassellati

Luiz Inácio Lula da Silva, l’ex presidente di sinistra, ha vinto il ballottaggio per la presidenza brasiliana, nonostante una sorprendente rimonta del suo avversario, Jair Bolsonaro. Ha promesso di riconciliare il Paese, ma prende in mano un Brasile profondamente lacerato a livello geografico, sociale, economico e politico, con un parlamento dominato da partiti di destra. Il progressismo di sinistra ha una nuova opportunità, ma le trasformazioni non saranno facili in una situazione come quella attuale. Per ora la sua vittoria dimostra che la destra può essere sconfitta, per questo quella di Lula è una grande vittoria sia per la democrazia sia per il clima

“Il Brasile ha un modo. Tutti insieme saremo in grado di riparare questo Paese e costruire un Brasile delle dimensioni dei nostri sogni, con l’opportunità di trasformarli in realtà.” (Luiz Inácio Lula da Silva)

Vittoria e pacificazione di un Paese polarizzato e lacerato

Domenica 30 ottobre l’ex presidente di sinistra del Brasile, Luiz Inácio Lula da Silva (77 anni), leader del Partido dos Trabalhadores (PT), ha battuto di poco al ballottaggio il presidente in carica di estrema destra Jair Bolsonaro dopo una delle campagne elettorali più significative e controverse (piena di intimidazioni, accuse aggressive e violenze) nella storia del Paese. Lula ha avuto il 50,9% dei voti (60,34 milioni), mentre Bolsonaro il 49,1% (58,2 milioni). Tra il primo e il secondo turno Bolsonaro ha guadagnato 7 milioni di voti in più, mentre Lula ne ha guadagnati circa 3, meno della metà.

Bolsonaro, come altri leader della destra populista mondiale, ha forgiato un rapporto quasi mistico con i suoi elettori, e i pessimi, se non addirittura catastrofici, bilanci, come gli scandali, che avrebbero fatto cadere chiunque altro non lo hanno nemmeno sfiorato. Dopo la sconfitta, Bolsonaro è rimasto in silenzio per 44 ore, facendo pensare che avrebbe potuto mettere in dubbio la correttezza del voto e rifiutare il risultato anche se i più importanti generali dell’esercito avevano dato chiari segnali che chiunque avesse vinto alle urne avrebbe assunto la presidenza. Inoltre, potenze straniere, come l’amministrazione Biden, avevano indicato che non avrebbero sostenuto iniziative antidemocratiche. Anche coloro che hanno sostenuto Bolsonaro – dai cristiani evangelici agli alleati politici conservatori – e le istituzioni, come la Corte Suprema e il Tribunale Superiore Elettorale, hanno prontamente riconosciuto che i giochi erano fatti, le elezioni erano state regolari e Lula aveva vinto.

Ma migliaia di camionisti – che hanno beneficiato della riduzione dei costi del gasolio da parte del governo Bolsonaro – e di attivisti bolsonaristi hanno bloccato strade e autostrade in tutto il Paese, limitando anche l’accesso all’aeroporto internazionale di San Paolo. Hanno chiesto l’intervento dei militari per rovesciare il risultato delle urne e, secondo la polizia, hanno messo in atto oltre 400 blocchi di autostrade e strade federali (una rete di più di 75mila chilometri), portando la Corte Suprema ad ordinare lo sgombero dei blocchi da parte della polizia della strada federale.

Bolsonaro ha parlato per due minuti senza riconoscere la vittoria di Lula né nominarlo, affermando di voler seguire quanto previsto dalla costituzione. Ha giustificato le manifestazioni dei camionisti e attivisti – “Gli attuali movimenti popolari sono il risultato dell’indignazione e del sentimento di ingiustizia su come si è svolto il processo elettorale.” -, ma ne ha condannato i metodi: “Saranno sempre ben accette dimostrazioni pacifiche, ma i nostri metodi non possono essere quelli della sinistra, che hanno sempre danneggiato la popolazione, come l’invasione delle proprietà, la distruzione del patrimonio e la chiusura del diritto di andare e venire“. Il suo discorso è stato seguito da una dichiarazione ancora più breve del suo primo ministro, Ciro Nogueira, che ha annunciato l’apertura del passaggio di consegne con la squadra del PT, da lui denominata “Presidente Lula“. La leader del PT, Gleisi Hoffmann, ha dichiarato che il vicepresidente eletto del Brasile Geraldo Alckmin coordinerà il passaggio al prossimo governo, che dovrebbe entrare in carica il 1 gennaio.

La riluttanza di Bolsonaro ad ammettere la sconfitta e, probabilmente, ad andarsene senza contestare il risultato potrebbe essere dovuta al fatto che teme di finire dietro le sbarre. L’immunità presidenziale e un procuratore generale compiacente hanno aiutato Bolsonaro e i suoi figli a superare indenni le indagini su sospetti di vecchia data di appropriazione indebita e corruzione. Per Bolsonaro, quello scudo scompare a gennaio, allo scadere del suo mandato. Quindi, è ancora tutto da vedere quanto sarà fluida la transizione1.

Rivolgendosi ai giornalisti in un hotel di San Paolo, Lula ha promesso di riunificare il suo Paese dopo una corsa al potere tossica che ha profondamente diviso una delle più grandi democrazie del mondo. “Vivremo nuovi tempi di pace, amore e speranza“, ha detto. “Governerò per 215 milioni di brasiliani… e non solo per chi ha votato per me. Non ci sono due Brasile. Siamo un Paese, un popolo, una grande nazione. Non è nell’interesse di nessuno vivere in un Paese diviso e in costante stato di guerra“.

Allo stesso tempo, Lula ha detto che la sua prima priorità sarà aiutare i 100 milioni di brasiliani che vivono in povertà. “Non possiamo accettare che sia normale che in questo Paese milioni di uomini, donne e bambini non abbiano abbastanza da mangiare. Se siamo il terzo produttore mondiale di cibo e il più grande produttore di proteine animali … abbiamo il dovere di garantire che ogni brasiliano possa fare colazione, pranzo e cena tutti i giorni”.

Lula era stato eletto presidente nel 2002 e nel 2006. Alla fine del suo secondo mandato, nel 2010, aveva un indice di gradimento vicino al 90%, mentre il PIL del Brasile cresceva del 7,5%. Dopo l’impeachment di Dilma Rousseff nel 2016, il PT è stato demonizzato dalle destre come forza cleptocratica ed è stato il principale obiettivo dell’indagine anticorruzione di Sergio Moro che aveva portato in carcere lo stesso Lula. Lula venne accusato e condannato a 12 anni per un’accusa di corruzione (ritenuto colpevole di aver intascato una tangente in cambio di contratti con la compagnia petrolifera di Stato Petrobras). Incarcerato dall’aprile 2018 per oltre 580 giorni ed escluso dalle elezioni presidenziali di ottobre/novembre, vinte da Bolsonaro, Lula è poi tornato libero allorquando l’accusa è stata annullata sulla base del fatto che era stato ingiustamente inquisito e processato da Sergio Moro, un giudice di destra che in seguito ha accettato la carica di ministro della Giustizia nel governo di Bolsonaro. “Hanno cercato di seppellirmi vivo ed eccomi qui” sono state le prime parole del suo discorso di vittoria, ma la resurrezione di Lula rende evidente che negli ultimi vent’anni il PT non ha saputo rinnovarsi e non ha favorito un cambiamento generazionale della sua leadership, anche se l’erede di Lula, Dilma Rousseff, è stata abbattuta con un “colpo di Stato” orchestrato dalle forze parlamentari di centro-destra guidate dal vicepresidente Michel Temer (poi divenuto presidente) con cui il PT si era alleato nelle elezioni presidenziali del 2010 (Per una ricostruzione delle vicende politiche ed economiche da Dilma al regime di Bolsonaro si vedano i nostri articoli qui e qui).

I leader di Stati Uniti, Canada, Francia e altri Paesi occidentali e latinoamericane si sono affrettati a congratularsi con il presidente eletto. Il ritorno al potere di Lula arriva dopo una serie di vittorie di centro-sinistra e sinistra in America Latina. Gustavo Petro, che è diventato il primo presidente di sinistra della Colombia dopo la sua elezione quest’estate, ha twittato “Lunga vita a Lula” e poi ha condiviso una mappa che mostra che la maggioranza dei Paesi dell’America Latina è ora guidata da governi progressisti o di sinistra (una seconda “marea rosa”), seppur molto diversi fra loro per stile e riferimenti politico-culturali (Brasile, Messico, Nicaragua, Honduras, Colombia, Venezuela, Bolivia, Perù, Argentina, Cuba).
Anche il presidente russo Vladimir Putin ha offerto le sue “sincere congratulazioni” affermando che i risultati confermano “l’imponente autorità politica di Lula”. Il Brasile, che fa parte dei Paesi BRICS ed è fortemente dipendente dalle importazioni di fertilizzanti russi, ha finora tenuto una posizione equidistante sul conflitto in Ucraina.

Lula ha ringraziato con un messaggio rivolto all’intera comunità internazionale: “Oggi diciamo al mondo che il Brasile è tornato. È un Paese troppo grande e troppo importante per essere bandito in questo triste ruolo di paria globale”. Lula vuole rafforzare il Mercosur (composto da Brasile, Argentina, Uruguay e Paraguay, con il Venezuela che è stato sospeso, mentre sono associati Bolivia, Cile, Perù, Colombia ed Ecuador) e la cooperazione a livello regionale (con la CELAC che comprende 32 Paesi dell’America Latina e del Caribe, compresa Cuba), arrivando a lanciare l’idea di una moneta unica per il subcontinente latinoamericano. Ma vuole aumentare anche la cooperazione con l’Africa e l’Unione Europea (che deve diversificare i suoi flussi commerciali allontanandosi dalla Russia e, in misura minore, dalla Cina). Lula vuole perseguire di nuovo una politica autonoma in un mondo che ha definito “multipolare” (mentre Bolsonaro si era allineato con l’America di Trump). Il portavoce del ministero degli Esteri cinese Zhao Lijian ha salutato con favore la vittoria di Lula, dicendo che la Cina vuole elevare la partnership strategica globale con il Brasile a un nuovo livello2.

Una difficile missione da compiere

Lula si insedierà alla presidenza il 1° gennaio 2023 e avrà l’arduo compito di ricostruire e riunificare un Paese che è stato danneggiato e diviso durante quattro anni di politiche anarchiche di estrema destra di Bolsonaro (una dei risultati più catastrofici è stata la morte per CoVid-19 di quasi 700mila brasiliani). A sostenere Lula sono stati soprattutto donne, neri, indigeni, abitanti delle favelas e minoranze in genere, bersaglio costante delle politiche di Bolsonaro3. Ora, Lula dovrà dare loro risposte in termini di diritti e giustizia senza perdere, però, il centro moderato, cruciale per la vittoria e per il sostegno del governo.

Le sfide sono immense: 33 milioni di brasiliani affrontano la fame acuta e 100 milioni vivono in povertà, il numero più alto degli ultimi anni4. E, alla vigilia delle elezioni, Bolsonaro, ha deciso di ampliare ammontare e beneficiari, senza copertura di bilancio per l’anno prossimo. La sfida per Lula sarà quella di mantenere il sostegno, come promesso, riformulato, però, nella versione Bolsa Familia che fece uscire dalla povertà 40 milioni di brasiliani, imponendo ai riceventi di far frequentare la scuola ai figli e effettuare i controlli prenatali per le future mamme. Lula aveva anche aumentato il salario minimo, convertendo decine di milioni di cittadini in consumatori di classe medio-bassa, dando un forte impulso al mercato interno e di conseguenza agli investimenti delle imprese. L’obiettivo “Fame Zero” che ha segnato per anni la presidenza di Lula ora è di nuovo messo alla prova. Le politiche di Bolsonaro, in particolare in Amazzonia, hanno portato il Brasile a diventare un paria internazionale.

In una lettera scritta al popolo brasiliano la settimana prima del voto, Lula ha delineato le sue priorità, avanzando proposte ambiziose, tra cui la parità di retribuzione tra uomini e donne, la cancellazione di tutte le liste d’attesa per interventi chirurgici ed esami medici e l’offerta di un posto all’asilo nido per ogni bambino. Obiettivi che sono stati proposti senza dettagli o costi chiari, ma Lula scommette che potrà ripetere le sue imprese del periodo 2003-2011. Molte delle sue promesse sono simili a quelle che aveva fatto allora, come la promessa di sradicare la fame. Promette di costruire alloggi più abbordabili e di portare elettricità e cisterne d’acqua in villaggi scollegati e lontani. Grandi progetti infrastrutturali come i trasporti pubblici, l’energia e l’acqua che saranno realizzati come in passato, con i finanziamenti delle banche statali. Ha anche promesso una riforma fiscale e un aumento del salario minimo.

Grazie al rinnovato programma di contrasto alla povertà Bolsa Familia, acclamato a livello internazionale, le famiglie più povere riceveranno 600 reais (115 euro) al mese e quelle con bambini di età inferiore ai sei anni riceveranno altri 150 reais (circa 30 euro). Il sussidio verrà fornito con l’obbligo di tenere i bambini a scuola e di fare tutte le vaccinazioni.

Dove prendere le risorse per fare tutto questo rimane ancora una questione aperta – e molto grande. Il boom delle materie prime che aveva finanziato molti dei suoi programmi durante i suoi primi due mandati5 è finito (anche se UE e Cina vogliono rafforzare le relazioni commerciali con il Brasile). Secondo il FMI, la crescita prevista per il Brasile è solo del 2,8% nel 2022, con un’inflazione che viaggia intorno al 9%. E Lula dovrà affrontare un parlamento ostile, dove il bolsonarismo è forte.

Il partito di Bolsonaro, il Partido Liberal (PL), ha ottenuto un risultato travolgente nel parlamento, 99 deputati (la prima forza politica della Camera); il PT di Lula ne ha ottenuti 79. Nel complesso, i bolsonaristi hanno eletto 187 deputati, ovvero il 36% dei 513 seggi. Al contrario, il PT e i suoi alleati hanno 108 seggi (21%). Dei 27 senatori che si rinnovavano il 2 ottobre, il PL ne ha ottenuti 8, il PT 4. La stessa cosa è successa per i governatori che si eleggevano il 2 ottobre (il PL governerà in due Stati, mentre il PT in quattro). Nei maggiori Stati del Paese, Minas Gerais e Rio de Janeiro (il terzo e il secondo collegio elettorale più importante del Brasile), la destra ha vinto al primo turno e al ballottaggio nello Stato di San Paolo (il primo collegio elettorale del Paese) ha vinto al secondo turno il candidato bolsonarista (anche se Lula ha avuto più voti di Bolsonaro nella città capitale). Dei quattro Stati più importanti della federazione, il PT ha vinto solo nello Stato di Bahia6.

Molti importanti deputati e senatori sono finanziati dall’agrobusiness (dall’agrobusiness sono venuti 33 dei 50 maggiori donatori della campagna di Bolsonaro) e potrebbero essere il principale ostacolo in quella che sarà una delle aree più prioritarie di Lula, l’Amazzonia. La deforestazione è aumentata ogni anno da quando Bolsonaro ha preso il potere. Lula fermerà le politiche di sviluppo incontrollate di Bolsonaro che incoraggiavano allevatori, coltivatori di soia, cercatori d’oro, compagnie minerarie e tagliatori di legna ad assediare l’Amazzonia e saccheggiare le sue risorse naturali. Ha promesso di “mirare a una deforestazione zero“, ma sarà soddisfatto se il suo governo riuscirà a ridurre la deforestazione dell’83%, come si è visto sotto Lula e Dilma tra il 2003 e il 2014.

Molta attenzione sarà rivolta anche alle questioni relative alle popolazioni indigene (circa 900mila persone). Una rapida ricostruzione delle agenzie per gli indigeni (anche con l’istituzione di un Ministero dei Popoli Originari) e l’ambiente che sono state svuotate da Bolsonaro segnalerà l’effettivo impegno del governo di Lula nel difendere i diritti delle popolazioni indigene e combattere la deforestazione. Negli ultimi quattro anni, Bolsonaro ha adottato una serie di misure per incentivare le concessioni minerarie e l’attività di estrazione nei territori indigeni e ha ridotto la vigilanza ambientale in tutto il paese tagliando i fondi e riducendo i compiti delle istituzioni statali che se ne occupavano. Durante il suo mandato la deforestazione e gli incendi sono cresciuti così tanto che, secondo molti scienziati, la foresta sta raggiungendo il punto di non ritorno, quello cioè in cui comincia a emettere più carbonio di quanto ne possa assorbire, entrando così in un processo di desertificazione. “Invece di essere leader mondiali nella deforestazione, vogliamo essere campioni del mondo nell’affrontare la crisi climatica e nello sviluppo socio-ambientale“, ha affermato Lula durante la campagna elettorale. “In questo modo avremo cibo sano nei nostri piatti, aria pulita da respirare e acqua da bere e molti posti di lavoro di qualità con investimenti verdi“.

Poi, ci sarebbero anche le tante promesse non mantenute da Lula nei suoi due mandati precedenti, le riforme di cui il Paese ha bisogno per essere più moderno, più equo ed inclusivo: una riforma reale della struttura di potere nel Paese tesa a ridurre le disuguaglianze sociali, con una riforma del sistema fiscale (assai generoso con i multimilionari e con le imprese, mentre penalizza la classe media e quelle più povere, che continuano a pagare elevate imposte dirette e indirette ricevendo in cambio servizi di bassa qualità7); una riforma del sistema politico (caratterizzato da frammentazione partitica, clientelismo, corruzione e perenne assalto al bilancio dello Stato); una riforma tesa a ridurre l’influenza dei grandi gruppi dei media privati (sistema radiotelevisivo e dei nuovi media) – la rete Globo per esempio – che hanno in pratica il monopolio dell’audience e determinano spesso con i loro programmi le sorti di un governo.

Ci sarebbe anche la questione della democratizzazione delle forze armate (emblematico il mancato processo dei militari responsabili dei crimini commessi durante la dittatura).

Infine, la questione agraria rimane cruciale per il futuro del Paese: da un lato, ci sono la piccola agricoltura familiare e i contadini senza terra, dall’altro c’è il mondo rapace dell’agrobusiness e del latifondo. La riforma agraria continua a essere una promessa per cui si battono milioni di brasiliani sem terra. Ma l’agrobusiness è un settore altamente industrializzato in Brasile, responsabile di oltre un quarto del PIL e del 48,3% delle esportazioni totali nella prima metà del 2022. E la sua portata geografica è vasta, coprendo gran parte del nord sopra San Paolo; una fascia significativa degli Stati meridionali; due potenti Stati centro-occidentali, il Mato Grosso e il Mato Grosso do Sul; e Roraima nel nord. Durante la presidenza di Bolsonaro, la maggior parte dei guadagni di reddito in Brasile sono andati a queste regioni, poiché il settore agricolo ha beneficiato di una valuta nazionale svalutata e dei prezzi internazionali elevati delle materie prime. Non sorprende che le regioni dominate dall’agrobusiness sono state tra le maggiori sostenitrici di Bolsonaro. Tereza Cristina, ex presidente del Fronte Parlamentare Agricolo (FPA) – la potente “bancada rural” –, era stata nominata a capo del ministero dell’Agricoltura da Bolsonaro nel 2019. Il 2 ottobre, al primo turno delle elezioni, Cristina, nota anche come “Signora della Deforestazione” e “musa del veleno” – è stata eletta senatore del Mato Grosso do Sul, ottenendo oltre il 60% dei voti. Il 70% dei rappresentanti dell’FPA alla Camera dei Deputati è stato rieletto. L’organizzazione prevede di avere almeno 40 degli 81 seggi al Senato nel 2023 e progetta persino nuove “adesioni“, che potrebbero portare il totale a 45.

La via d’uscita dalla profonda crisi in cui è precipitato il Brasile nell’ultimo decennio potrebbe essere un New Deal brasiliano che introduce alcuni di questi cambiamenti strutturali, valorizza il ruolo creativo delle minoranze e abbraccia la centralità dell’agenda ambientale globale. Purtroppo, la composizione del parlamento fa presagire che tutte le riforme saranno ancora una volta rinviate. D’altra parte, la congiuntura di questa terza presidenza Lula è profondamente diversa da quella degli anni dei primi due mandati, con il mondo sull’orlo di una grave recessione e in subbuglio sul piano geopolitico, con la competizione aperta tra USA e Cina, la guerra in corso in Europa, inflazione e tassi di interesse in crescita ovunque. Fenomeni che mettono in grandi difficoltà le economie del continente latinoamericano.

Riuscirà Lula a governare?

La vittoria è certamente molto gratificante per Lula perché è uscito dalla prigione, ha sfidato i suoi nemici politici e sconfitto la sua nemesi, Jair Bolsonaro. Ma il Paese che guiderà è molto diverso da quello che era quando era entrato in carica all’inizio del 2003.

Le elezioni di domenica hanno mostrato quanto sia diventato diviso il Paese. Nell’ultimo anno e mezzo, i sondaggi d’opinione hanno costantemente sottovalutato il sostegno di cui gode Bolsonaro, suggerendo che molti conservatori o si rifiutano di partecipare ai sondaggi o sono timidi riguardo alle loro convinzioni. Prima del primo turno, i sondaggi suggerivano che Bolsonaro non avrebbe vinto più del 37% dei voti: ha vinto il 43%8. Prima del voto di domenica, la maggior parte dei sondaggi prevedeva che Lula avrebbe vinto tra quattro e sei punti percentuali, ma nel ballottaggio effettivo Bolsonaro ha ridotto il divario a 1,9 punti.

Il “bolsonarismo” ha messo radici, rappresenta milioni di brasiliani, i loro desideri, le loro paure, le loro aspirazioni conservatrici e finanche reazionarie. Questa destra estrema e sovranista ha preso il posto della destra moderata, democratica e repubblicana, che è stata vittima dei propri errori, dei propri personalismi, delle guerre interne. Come ha notato lo stesso Bolsonaro nel suo primo discorso dopo la sconfitta: “La destra è davvero emersa nel nostro Paese. La nostra solida rappresentanza al Parlamento mostra la forza dei nostri valori: Dio, patria, famiglia e libertà. Abbiamo formato diversi leader in Brasile. I nostri sogni sono più vivi che mai. Siamo per l’ordine e il progresso” (che è il motto scritto sulla bandiera brasiliana).

Bolsonaro, inoltre, ha vinto in 14 dei 27 Stati del Brasile, dominando in una fascia di territorio che si estende dalla costa atlantica alle terre della savana del centro-ovest. Negli Stati più ricchi e sviluppati del sud, Bolsonaro ha vinto con ampie maggioranze. Fernando Haddad, il candidato presidenziale sconfitto quattro anni fa e un membro chiave della squadra della campagna elettorale di Lula, è stato sconfitto in modo deciso dal candidato di Bolsonaro – Tarcísio de Freitas, ex soldato, ingegnere dell’esercito ed ex ministro delle Infrastrutture del governo – nella corsa per diventare governatore dello Stato di San Paolo, la regione più popolosa e ricca del Brasile. Bolsonaro ha trionfato in modo spettacolare anche nella prospera fascia agricola del centro-ovest.

Lula ha ottenuto una vittoria nello Stato industriale del Minas Gerais (50,2% contro 49,8%), ma deve il suo successo nazionale alla valanga di consensi ottenuta nei 10 Stati relativamente poveri del nord-est. Il 70% delle persone a Bahia, lo Stato con la più alta popolazione nera, ha votato per Lula. Soprattutto Lula ha ottenuto molti voti in alcuni dei comuni più popolati del Brasile, ma anche nella maggior parte delle aree scarsamente popolate. In queste ultime ha raggiunto più dell’80% dei voti. Bolsonaro, invece, si è comportato molto bene nelle città di medie dimensioni, nei distretti con un numero compreso tra 100mila e 1 milione di abitanti.

Inoltre, i sondaggi hanno mostrato che coloro che vivevano con un reddito inferiore a 400 euro al mese avevano maggiori probabilità di votare per Lula e che chiunque stava sopra a quel livello di reddito tendeva a favorire Bolsonaro. Secondo alcuni analisti, Bolsonaro ha attirato più voti di Lula dal “precariato” – brasiliani che sono al di sopra della soglia di povertà ma, tuttavia, devono affrontare una costante insicurezza economica. Si tratta di persone che sono microimprenditori, che hanno lavori nella gig-economy, nelle piccole imprese o che sono lavoratori autonomi. Lottano economicamente e cercano la stabilità che l’estrema destra promette. Le tendenze di destra di questo strato della società brasiliana sono diventate evidenti prima delle elezioni del 2018, quando ha avuto luogo un grande sciopero nazionale dei camionisti. La protesta è iniziata per l’aumento dei prezzi del carburante, ma si è conclusa con l’appello di alcuni partecipanti all’intervento dell’esercito e alla “soluzione dei problemi” dello Stato. Bolsonaro aveva sostenuto lo sciopero, aumentando la sua popolarità prima del voto. Non a caso, dopo la sconfitta elettorale di Bolsonaro i camionisti – che hanno beneficiato della riduzione dei costi del gasolio da parte di Bolsonaro – e i sostenitori del presidente in carica sono tornati a bloccare strade e autostrade in tutto il Paese chiedendo l’intervento dei militari per rovesciare il risultato delle urne.

Anche i cristiani evangelici – che ora sono circa un terzo della popolazione (65-70 milioni), forse il doppio di quando Lula era stato eletto nel 2002 – sono grandi sostenitori di Bolsonaro. I pastori evangelici, che costituiscono una potente forza conservatrice nella politica e nella società brasiliana, per lo più hanno espresso il loro sostegno a Bolsonaro e la sua posizione “pro-famiglia”. La destra religiosa, fautrice della “teologia della prosperità“, ha predicato attivamente contro tutte le forme di politica di sinistra e ha affermato che Lula avrebbe chiuso le chiese. Il multimilionario telepredicatore Silas Malafaia è stato al fianco di Bolsonaro in molte delle sue manifestazioni elettorali e ha persino viaggiato con lui verso il funerale della regina Elisabetta II in Gran Bretagna. Lula ha cercato di erodere la base religiosa del suo avversario includendo riferimenti a Dio nei suoi discorsi e scrivendo una “lettera agli evangelici” in cui ha cercato di dissipare le loro paure.

La forza di questo blocco conservatore aiuta a spiegare perché la destra si è comportata così bene al primo turno e poi anche ai ballottaggi. Già nel 2018, la destra aveva guadagnato terreno a spese dei partiti “socialdemocratici” (come il PSDB, l’MBD, PDT e altri) che in un modo o nell’altro hanno svolto un ruolo importante nel governo dalla fine della dittatura militare nel 1985. Lo scossone era stato a qualcosa di simile a un terremoto politico. La cosa notevole delle elezioni di quest’anno è che la destra ha migliorato quella performance.

Lo sviluppo più impressionante è stata l’elezione al parlamento di alcune delle figure più controverse dell’amministrazione Bolsonaro. Eduardo Pazuello, ad esempio, il generale dell’esercito che da ministro della Salute è stato ignominiosamente cacciato dopo aver presieduto alla gestione disastrosa della pandemia di CoVid-19, ha conquistato un posto alla Camera. Tra gli eletti al parlamento ci sono anche l’ex giudice ed ex ministro della Giustizia, Sergio Moro, l’ex ministro dell’Ambiente, Ricardo Salles9 e un altro ex ministro bolsonarista, Damares Alves, il maggiore sostenitore della teoria del complotto dell'”ideologia di genere“, che sostiene che i valori della famiglia sono minacciati.

Complessivamente, i partiti di destra hanno aumentato la loro rappresentanza alla Camera da 240 a 249 deputati, poco meno della metà del totale di 513. Il PT di Lula e i suoi alleati ne hanno solo 141, quindi il presidente eletto dovrà spostarsi verso il centro se vuole governare. Lula aveva segnalato la sua disponibilità a farlo a maggio, quando aveva annunciato la sua alleanza nel ticket per la presidenza col moderato Geraldo Alckmin (un ex rivale che era stato il suo avversario presidenziale nel 2006). D’altra parte, anche molti dei politici del centro e del centro-destra che si erano opposti a Bolsonaro hanno preferito allearsi con il PT perché temevano quello avrebbe potuto fare se avesse vinto un secondo mandato. Per questo, durante la campagna elettorale, Lula ha sottolineato più e più volte che il suo governo non sarebbe stato solo un governo del PT. E per riuscire effettivamente a governare, Lula dovrà assicurarsi che sia davvero così.

Lula semplicemente non sarà in grado di far approvare nuova legislazione senza il sostegno di almeno una parte della destra brasiliana. Per cui dovrà concludere accordi anche con gli stessi leader politici – i famigerati politici conservatori del centrão (“grande centro”) frammentato in una ventina di partiti, ma di orientamento più conservatore rispetto al passato – che sono stati alleati di Bolsonaro negli ultimi due anni e mezzo. Ciò complicherà enormemente il compito di gestire l’economia e tenere sotto controllo un crescente disavanzo fiscale (che dovrebbe raggiungere circa l’8% del PIL nel 2023). In questi ultimi mesi Bolsonaro ha gettato soldi agli elettori, distribuendo sussidi e prestazioni sociali con generosità. I leader del parlamento filogovernativi hanno incanalato ingenti somme verso i progetti voluti dai loro sostenitori. Lula dovrà vedersela con una miriade di partiti politici con rappresentanza parlamentare che negoziano instancabilmente il loro appoggio al governo di turno in cambio di posti di potere, di prebende e di modifiche alla legge di bilancio per far fronte a clientele locali.

Le difficoltà da affrontare per Lula in carica saranno enormi. Sarà accerchiato da tutte le parti: l’establishment imprenditoriale chiederà pareggi di bilancio, mentre i movimenti popolari di sinistra e i sindacati che sono la sua base (i lavoratori della gig economy in Brasile tendono verso Bolsonaro) si aspettano enormi aumenti della spesa sociale. Un presidente in Brasile può fare molte cose in modo unilaterale, e Lula può certamente ribaltare la determinazione di Bolsonaro di ridurre il ruolo dello Stato, ma i bilanci devono essere approvati dal parlamento. Per cui Lula dovrà assicurarsi l’accordo del parlamento se vorrà realizzare i suoi programmi. Sicuramente i leader del centrão esigeranno un prezzo pesante per il loro sostegno.

L’unica notizia davvero buona, non solo per il Brasile, ma per il pianeta, è che ripristinare le protezioni in Amazzonia è qualcosa che può essere fatto in gran parte per decreto, e queste sono mosse che Lula farà senza dubbio. Potrà rivitalizzare le agenzie statali che sono state trascurate e sottofinanziate da Bolsonaro. Tra il 2004 e il 2012, i governi guidati dal PT hanno ottenuto il plauso internazionale per il loro successo nella riduzione della deforestazione nella foresta pluviale amazzonica. Agenzie come l’Istituto brasiliano per l’ambiente e le risorse naturali rinnovabili hanno svolto un ruolo importante in questo.

C’è da dire che la retorica elettorale adottata da Lula è stata abbastanza diversa dalle elezioni precedenti. A differenza del passato, quando si scontrava apertamente con le élite, questa volta il leader del PT si è presentato come il candidato del sistema, come una sorta di “Biden brasiliano”. Lula ha raccolto un fronte straordinariamente ampio, che comprende quasi tutta l’opposizione di sinistra, ma anche i principali rappresentanti del potere economico di vari settori10, socialdemocratici, liberali conservatori, l’ambientalista di sinistra Marina Silva (prossimo ministro dell’Ambiente), ex funzionari, Simone Tebet (del Movimento Democratico Centrista, l’MDB, e un rappresentante degli interessi dell’agrobusiness), Ciro Gomes (del Partito Democratico del Lavoro di centrosinistra, il PDT, un tempo ministro nel governo di Lula), il liberale socialdemocratico Fernando Henrique Cardoso (per due volte presidente della repubblica e rivale di lunga data di Lula) e altri. Ha anche cercato di aprire un dialogo con il blocco evangelico.

Per Lula la vittoria impone dover affrontare grandi sfide. Dato il predominio della destra in parlamento, sarà difficile portare avanti politiche progressiste. I movimenti sociali, i collettivi e gli attivisti dovranno concentrarsi sulla difesa del governo e questo sottrarrà energie e risorse alle lotte in corso, come è successo durante il processo di impeachment del 2016 contro Dilma. Il PT e i suoi sostenitori si troveranno ad affrontare un’opposizione radicalizzata e armata impegnata a difendere il “vero cristianesimo”, i “valori familiari” e i ruoli tradizionali di genere. In questo contesto, una vittoria di Lula non significa un ritorno al “Brasile felice” degli anni 2000, come invece ha suggerito Lula durante la campagna elettorale.

Lula prenderà il controllo di un Paese profondamente diviso e stremato. Per avere successo avrà bisogno di tutta la sapienza, tutta l’esperienza, tutta la capacità di fare sintesi e, soprattutto, di tutte le sue famose abilità di ex-sindacalista pragmatico e negoziatore. Negli ultimi tre anni, Lula e il PT hanno fatto bene quello che sanno fare meglio: articolare, negoziare e fare campagna elettorale. A partire dal prossimo anno, avranno la sfida di ricostruire un Paese in frantumi, impegnarsi con un parlamento la cui tradizionale politica centrista-conservatrice si è radicalizzata a destra e guidare un governo formato da una coalizione eterodossa. Tutto ciò richiederà il superamento dei limiti della prima versione del lulismo per cercare di produrre un nuovo ciclo di inclusione attraverso la creazione di un welfare state urbano basato sul riconoscimento dei diritti sociali e su un ampio accesso ai servizi pubblici.

Lula e tutto il fronte che lo ha sostenuto hanno la possibilità di far funzionare il Brasile. Ci vorranno anni per ripulire il veleno sparso a piene mani dal bolsonarismo e che richiede molto di più del voto di domenica. Il percorso è lungo e servirà a mettere alla prova l’umiltà del campo progressista. Sarà un duro lavoro non solo per la classe politica, ma per l’intera società. Come Lula ha ribadito nel suo primo discorso dopo la vittoria elettorale: “Conosco la grandezza della missione che la storia ha in serbo per me e so che non sarò in grado di compierla da solo. Avrò bisogno di tutti: partiti politici, lavoratori, uomini d’affari, parlamentari, governatori, sindaci, persone di tutte le religioni. Brasiliani che sognano un Brasile più sviluppato, più giusto e più fraterno”.

Alessandro Scassellati

  1. Durante la campagna elettorale, Bolsonaro aveva affermato di vedere tre esiti possibili delle elezioni: morte, prigione o vittoria. Ciò rende difficile immaginare che se ne vada in modo gentile ed educato entro la fine dell’anno. Per tutto il 2022, Bolsonaro ha fatto una campagna per l’installazione di schede elettorali cartacee al posto delle collaudate macchine per il voto, sostenendo che quelle macchine sarebbero state inevitabilmente manipolate. Ha detto di avere prove di irregolarità (ma non le ha mai prodotte) e ha chiesto ai militari di gestire il conteggio dei voti. Quando i governi statali hanno reso gratuiti i trasporti pubblici nel giorno delle elezioni per garantire una maggiore affluenza alle urne al primo turno, Bolsonaro ha cercato di fermarli. Nel secondo turno, la polizia federale dei trasporti ha effettuato blocchi del traffico vicino alle aree di voto nel nord-est brasiliano, roccaforte politica di Lula. Ciò ha costituito il passaggio dall’ostruzionismo legale all’interruzione illegale.[]
  2. A questo proposito, il quotidiano cinese Global Times ha scritto che “Il Brasile ha creato tre “primati” nei suoi legami con la Cina: il primo Paese in via di sviluppo a stabilire una partnership strategica con la Cina; il primo Paese dell’America Latina a stabilire un partenariato strategico globale con la Cina; e il primo Paese dell’America Latina il cui volume di scambi bilaterali con la Cina ha superato la soglia dei 100 miliardi di dollari. L’amicizia a lungo termine tra Cina e Brasile, l’approfondimento della cooperazione reciprocamente vantaggiosa è nell’interesse fondamentale dei due Paesi e dei due popoli ed è favorevole al mantenimento della pace e della stabilità regionale e globale, promuovendo lo sviluppo e la prosperità comuni”.[]
  3. Bolsanaro è stato soprannominato il “Trump dei tropici” e ha usato metodi simili. Come l’ex presidente degli Stati Uniti, Bolsanaro ha polarizzato il suo Paese diviso, denigrando le donne, i gay e le minoranze. Ha armato i suoi sostenitori, inondando il Paese di armi da fuoco. Una pandemia che ha ucciso quasi 700mila persone ha contribuito a portare il numero delle persone in povertà al più alto mai registrato e lo ha visto affondare nei sondaggi. La sua risposta è stata quella di inondare l’infosfera di notizie false, distribuire pagamenti per il welfare e inviare la polizia stradale federale a bloccare le strade nelle aree pro-Lula il giorno del voto.[]
  4. Per la prima volta dall’inizio del millennio, il Brasile è tornato nella mappa ONU della fame. Le donne e gli uomini incapaci di alimentarsi a sufficienza sono 33 milioni. Il governo Bolsonaro ha creato il programma Auxilio Brasil, un sussidio di emergenza per 20 milioni di poveri. Inizialmente, l’Auxilio Brasil era stato istituito come programma di aiuti di emergenza durante la pandemia di CoVid-19, poi si è rivelato uno dei pochi strumenti che Bolsonaro aveva a disposizione per sollevare i suoi tristi indici di gradimento. Dunque, nell’ottobre del 2021 il presidente ha approvato una normativa per mantenere vivo il programma fino alla fine del 2022, giusto in tempo per la campagna presidenziale.[]
  5. Durante gli otto anni della sua presidenza, Lula riuscì a far quadrare il cerchio di conciliare la crescita economica con l’aumento delle spese sociali e degli investimenti pubblici, mantenendo una politica monetaria austera, rimborsando i debiti con il FMI e accumulando enormi riserve internazionali in dollari. Il boom dei prezzi delle materie prime e delle esportazioni verso la Cina furono fondamentali per porre in essere queste politiche. Allo stesso tempo, furono scoperti dalla Petrobras (la società statale degli idrocarburi) enormi giacimenti di gas e petrolio in acque profonde, consolidando il Brasile come superpotenza energetica.[]
  6. La caratteristica del Brasile come repubblica federale è che i governatori statali hanno un grande bisogno del presidente della repubblica, per cui è assai probabile che i governatori saranno pragmatici e dialogheranno con il governo federale per ottenere risorse e portare avanti le opere pubbliche e fornire servizi ai cittadini. Nello Stato di Santa Catarina, ad esempio, dove Jorginho Mello del PL ha vinto al secondo turno con il 70% dei voti validi, è urgente l’investimento in infrastrutture stradali. Nello Stato di Belo Horizonte, il neoeletto Zema ha promesso di realizzare la metropolitana nella capitale e avrà bisogno delle risorse finanziarie del governo federale per far andare avanti i lavori.[]
  7. Oltre ai poveri, Lula dovrà dare delle risposte anche ai settori produttivi della media e piccola impresa e alla classe media che guadagna fino a 5mila reais al mese (circa 960 euro) probabilmente introducendo una esenzione dell’imposta sul reddito.[]
  8. Molti analisti avevano interpretato i risultati del primo turno delle elezioni del 2 ottobre come una netta vittoria per Lula e la sinistra brasiliana, ma uno sguardo più attento rivela una realtà diversa. Lula aveva ottenuto 57 milioni o il 48% dei voti validi – meno di quanto previsto da molti sondaggi – che lo hanno mandato al ballottaggio con Bolsonaro. Il presidente in carica aveva ottenuto 51 milioni di voti, due milioni in più rispetto al primo turno delle elezioni presidenziali del 2018. Questo nonostante il fatto che il suo governo abbia fallito nelle sue politiche economiche, nella gestione della pandemia, nella lotta alla corruzione e nell’agenda sul cambiamento climatico, in particolare per quanto riguarda il contenimento della deforestazione in Amazzonia.[]
  9. Nel 2018, Salles è stato condannato in tribunale per il primo grado per “irregolarità amministrativa” mentre era a capo di un’agenzia ambientale statale di San Paolo. Eppure è diventato ministro dell’Ambiente un mese dopo e ha presieduto un’ondata di deforestazione nella foresta pluviale amazzonica e importanti tagli ai programmi di protezione ambientale, prima di essere costretto a dimettersi l’anno scorso per le accuse di coinvolgimento in un programma di traffico di legname.[]
  10. A luglio il leader del PT Gleisi Hoffmann ha incontrato 30 uomini d’affari per discutere di come un governo Lula potrebbe cercare di finanziarsi. Hoffmann ha promesso che il PT lavorerà con la banca centrale e che non cercherà di controllare i prezzi del carburante.[]
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