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Il triste tracollo dell’industria automobilistica europea

di Alessandro
Scassellati

Le case automobilistiche europee e i loro 3 milioni di lavoratori sono sotto pressione mentre cercano di finanziare il passaggio dai modelli a benzina e diesel a quelli a batteria. Questa ambizione si è scontrata con una domanda incostante, oltre che con una crescente concorrenza dalla Cina. Ora aziende come Volkswagen e Stellantis parlano di tagli di lavoratori e costi evidenziando le difficoltà che le case automobilistiche europee tradizionali incontrano nel passare dalle redditizie, ma inquinanti, auto a benzina e diesel, a quelle elettriche, ma attualmente meno redditizie. Una crisi esistenziale per un’industria che rappresenta direttamente oltre il 10% dei posti di lavoro manifatturieri in sei paesi membri dell’UE, pari a circa il 7% del PIL dell’UE e all’8,5% dell’occupazione manifatturiera. Manca, come in altri settori, una politica industriale europea: per ora ci si affida solo ai dazi contro le auto elettriche cinesi.

L’industria europea, e quella tedesca in primis, è stata colpita dall’impennata dei prezzi dell’energia in seguito all’invasione russa dell’Ucraina. Il blocco ha superato l’emergenza immediata meglio del previsto, trovando alternative al gas russo, ad esempio, attraverso le importazioni (più costose) di gas naturale liquefatto dagli Stati Uniti. Ma la speranza che l’industria europea si sarebbe ripresa rapidamente è svanita, anche se l’economia dell’eurozona nel complesso è tornata a crescere. Il settore manifatturiero nel cuore industriale dell’Europa si è ulteriormente indebolito a luglio, confermando i peggiori timori degli analisti europei preoccupati per la direzione che sta prendendo l’economia del blocco. Il destino dell’Ucraina continua a essere in bilico dopo quasi tre anni di guerra e la Germania è in recessione praticamente dal 2023. La sopravvivenza del suo apparato industriale è messa a rischio. Una evoluzione critica che ha facilitato l’avanzata di partiti politici di estrema destra sia in Germania sia nel resto d’Europa (si veda il nostro articolo qui). La Germania è al centro della tempesta perché è il centro nevralgico dell’industria europea, ma l’allarme della crisi industriale/economica è ovunque in Europa. Molti gruppi industriali sono costretti a grandi ristrutturazioni. Un fenomeno che trova la sua origine nel disordine globale derivante dalla crisi sanitaria e geopolitica degli ultimi anni. I dati congiunturali sottolineano la sfida di mantenere la competitività e la rilevanza dell’Europa mentre Cina e Stati Uniti gareggiano per rimodellare l’economia globale nel contesto di una rivalità geopolitica sempre più acuta. Von der Leyen ha messo il ripristino della competitività al centro delle sue priorità politiche per il suo prossimo mandato, mentre lunedì Mario Draghi ha reso pubblico l’atteso rapporto (vedi qui e qui) che, almeno nelle intenzioni, dovrebbe contribuire a definire l’agenda economica dell’Unione Europea per gli anni a venire (analizzeremo il “rapporto Draghi” la prossima settimana).

Dal 2018, la Germania è stata l’economia a crescita più lenta nel G7, con un’espansione media dello 0,4% all’anno. Mentre il resto dei quattro grandi paesi dell’eurozona – Francia, Italia e Spagna – hanno mostrato segnali di ripresa dal rallentamento causato dallo shock energetico indotto dalla guerra in Ucraina, la Germania ha continuato a lottare e sta ancora danzando al ritmo della recessione tecnica. La produzione industriale tedesca è scesa più del previsto a luglio (-2,4%), trainata principalmente dalla contrazione della produzione nel settore automobilistico (-8,1%), alimentando il timore che la più grande economia europea possa contrarsi nuovamente nel terzo trimestre. Le esportazioni tedesche di beni in valori costanti (depurati dell’inflazione) sono in calo da due anni. L’export tedesco verso la Cina nei primi sette mesi del 2024 è crollato dell’11,5% rispetto a un anno fa. La Germania è stata particolarmente esposta all’aumento del costo del gas sui mercati globali innescato dall’invasione russa nel 2022, non da ultimo a causa della sua elevata concentrazione di industrie ad alta intensità energetica1.

Ma ci sono anche cause strutturali, la principale delle quali è la determinazione ad aggrapparsi al modello industriale e alle tecnologie del secolo scorso che ha portato tanto successo dal secondo dopoguerra, ma che ormai sono in via di superamento. Il mondo analogico sta rapidamente diventando digitale – con i nuovi settori in crescita: smartphone, veicoli elettrici, intelligenza artificiale (IA) – e la Germania è stata dolorosamente lenta a rendersene conto, riluttante a ricercare nuove soluzioni investendo di più2. In un certo senso, la Germania è diventata vittima del suo stesso successo. Non ha visto alcun motivo per cambiare il modello industriale e ha investito troppo poco in infrastrutture fisiche, umane e digitali (si vedano il nostri articoli qui e qui). Né la Germania ha mantenuto la sua reputazione di lungimiranza quando si tratta di transizione verso i veicoli elettrici. Al contrario, le grandi case automobilistiche sono state tristemente miopi quando hanno affrontato la minaccia esistenziale posta dai modelli cinesi a basso costo. In particolare, si segnala il fallimento di un gigante come Volkswagen, nel corso degli anni, nel cogliere le opportunità presentate dalle auto elettriche o dal mercato ibrido.

Il risultato è che oggi in Europa non ci sono abbastanza modelli elettrici accessibili per superare la soglia dei primi utilizzatori e dei ricchi, mentre la riduzione degli incentivi governativi ha ulteriormente minato l’interesse dei clienti (i due fattori che sono stati i driver del biennio d’oro finito nel 2023). I produttori europei non sono per ora riusciti a produrre un veicolo elettrico di massa. Modelli di fascia alta come la Porsche Taycan da 107.000 € e la BMW i7 da 116.000 € si rivolgono a consumatori d’élite3, ma le alternative economiche sono scarse. La versione elettrica della Fiat 500, tradizionalmente simbolo di mobilità accessibile per famiglie normali con redditi normali, costa quasi 35.000 €, il doppio del prezzo della sua controparte con motore a combustione4.

Le case automobilistiche cinesi stanno capitalizzando la lenta transizione dell’Europa, aumentando le vendite con veicoli elettrici a prezzi competitivi come la BYD Dolphin da 33.000 €, rispetto al prezzo iniziale di 37.000 € della VW ID.3. Negli ultimi mesi, il prezzo è diventato ancora più importante. L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia nel 2022 ha contribuito a un’ondata di inflazione che ha colpito duramente i bilanci delle famiglie e ha reso i nuovi veicoli fuori dalla portata di molti. Gli aumenti dei tassi di interesse della Banca centrale europea hanno ulteriormente aumentato il costo del finanziamento dei veicoli, alzando l’asticella per i consumatori.

I governi hanno anche fatto passi indietro rispetto al percorso più rapido verso la guida completamente elettrica. L’anno scorso, i funzionari tedeschi hanno spinto con successo per un’esenzione per i cosiddetti e-fuel da un divieto pianificato dall’Unione Europea sulle nuove vendite di auto con motore a combustione interna a partire dal 2035. Citando la concorrenza sleale della Cina, il blocco sta introducendo tariffe punitive sulle importazioni di veicoli elettrici Made in China.

Il risultato è stato un forte calo delle vendite. A luglio, le consegne di auto a batteria sono diminuite di oltre il 10% in tutto il blocco, principalmente a causa di un crollo del 37% in Germania, il mercato più grande della regione. Lo sviluppo ha colto di sorpresa i produttori e ha portato a una discrepanza tra i piani di investimento e le realtà del mercato.

La crisi della Volkswagen

All’inizio della scorsa settimana è stato annunciato che la Volkswagen sta valutando la chiusura di due stabilimenti tedeschi per risparmiare miliardi di costi. L’annuncio ha scioccato la sua forza lavoro, che ha dato un primo assaggio dell’opposizione che monterà, con striscioni di protesta portati in un incontro presso la sede centrale di Wolfsburg il 4 settembre tra 10-15 mila dipendenti e i dirigenti5. Durante l’incontro, i dirigenti VW hanno detto ai lavoratori che si aspettano di vendere 500mila veicoli in meno rispetto a prima della pandemia di CoVid-19, “l’equivalente di circa due stabilimenti di produzione” (ossia tagliare 20-25 mila lavoratori, riducendo la spesa di 10 miliardi di euro entro il 20266), e hanno previsto che le vendite di auto in Europa non torneranno ai livelli del 2019 (16 milioni), ma si attesteranno su 2-2,5 milioni di veicoli in meno (14 milioni). “E questo non ha nulla a che fare con i nostri prodotti o con le scarse prestazioni di vendita. Il mercato semplicemente non c’è più”.

La presidente dei consigli dei lavoratori che rappresentano 120mila dipendenti dell’azienda in Germania, Daniela Cavallo, ha affermato che la dirigenza della Volkswagen ha “danneggiato massicciamente la fiducia”. Il sindacato IG Metall non ha escluso scioperi e ha affermato di non vedere alcun motivo per ridurre le richieste salariali nelle negoziazioni pianificate7. “La dirigenza ha infranto un tabù in modo significativo e i lavoratori sono pronti a essere lì quando li chiameremo”, ha affermato Cavallo, promettendo di impedire le chiusure degli stabilimenti. “Non potete aspettarvi che siano i dipendenti a pagare le conseguenze dei vostri errori. Invece di fare risparmi unilaterali a spese della forza lavoro, ora abbiamo bisogno di una spinta strategica per le debolezze effettive: prodotto, complessità, processi, sinergie. Questo è il piano di cui abbiamo bisogno”, ha detto Cavallo ai dirigenti della Volkswagen durante l’incontro. Il consiglio di fabbrica della VW detiene metà dei seggi del consiglio di sorveglianza del marchio automobilistico e ha forti legami con la Bassa Sassonia, uno Stato settentrionale della Germania che ospita la sede centrale della VW, che controlla il 20% dei diritti di voto del consiglio di amministrazione.

Probabilmente l’errore più clamoroso per la Volkswagen, tra tutte le aziende, è stato quello, a differenza dei suoi rivali cinesi, di essere arrivata tardi a produrre un modello di auto base, accessibile alle masse, simile al suo strepitoso successo, il Maggiolino VW (sarà messo in vendita il prossimo anno, ma verrà prodotto in Spagna, non in Germania). La Volkswagen è stata seconda solo alla giapponese Toyota nelle vendite di veicoli del 2023 nel mondo8. Più di ogni altra azienda, la VW è emblematica della potente industria automobilistica tedesca, che è stata una delle forze che hanno reso il paese il cuore industriale dell’Europa. Impiega (direttamente o indirettamente) 300mila persone in Germania su una forza lavoro globale di circa 680mila (con 114 stabilimenti e ricavi per oltre 300 miliardi di euro). Tuttavia, la Volkswagen e altri rivali europei sono stati lenti ad entrare nella produzione di auto elettriche, il che li ha messi in una posizione di svantaggio poiché i rivali cinesi prendono di mira l’Europa per vendere i loro modelli più economici. L’annuncio della VW, dunque, è arrivato mentre le grandi case automobilistiche europee si trovano schiacciate da tutte le parti. La domanda nel mercato automobilistico è debole determinando una sovracapacità produttiva, le norme UE e del Regno Unito sulle emissioni di carbonio si stanno inasprendo – dal 2025 sono previste multe sulle emissioni medie di carbonio in eccesso, mentre per il 2035 è previsto il divieto della vendita di auto e furgoni con motori a combustione interna9 – e i concorrenti cinesi si stanno facendo largo nella loro attività10.

Probabilmente è per queste ragioni che i proprietari della VW hanno deciso che è giunto il momento di tagliare le fabbriche di un’azienda che è da tempo considerata dagli analisti un “mostro gonfio” nelle sue operazioni domestiche, che negli ultimi 20 anni si è rifiutata di “tagliare il grasso” dalla sua rete di produzione, a causa della pressione sindacale. Il Gruppo ha la capacità di produrre 2,7 milioni di auto all’anno in Germania, secondo la società di dati Marklines. Tuttavia, le sue fabbriche hanno prodotto collettivamente solo poco meno di 2 milioni di auto nel 2023, il che suggerisce che diverse sono effettivamente gravemente sottoutilizzate. Osnabrück, in Bassa Sassonia, e Dresda, in Sassonia, sono state precedentemente indicate dagli analisti come potenziali obiettivi per la chiusura. Osnabrück, nominalmente in grado di produrre 100mila auto all’anno, ma che negli ultimi anni è andata molto al di sotto di tale cifra, secondo Marklines, produce la T-Roc Cabriolet e la Golf, che sta per essere abbandonata. Dresda ha una capacità inferiore di 20mila, ma la sua produzione del 2023 di 6mila suggerisce anche che sta funzionando in modo non efficiente.

Le decisioni di chiusura delle fabbriche per risparmiare miliardi di euro di costi sono sempre politicamente rischiose, ma la VW dovrà prestare maggiore attenzione rispetto alla maggior parte. Lo Stato della Bassa Sassonia è il secondo maggiore azionista della Volkswagen, con il 20% dei diritti di voto. Stephan Weil, il premier dello Stato, ha affermato che le chiusure degli stabilimenti “semplicemente non dovrebbero essere parte della discussione”. Anche il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, seguirà da vicino la situazione. Migliaia di perdite di posti di lavoro potrebbero alimentare risentimenti economici che hanno contribuito alla rinascita dell’estrema destra tedesca; Alternative für Deutschland due domeniche fa è diventato il primo partito di estrema destra dall’era nazista a vincere un’elezione statale (in Turingia e Sassonia).

Non è ancora chiaro in che modo le chiusure delle fabbriche della Volkswagen influenzeranno il passaggio dalla benzina all’elettrico. Il predecessore di Blume, Diess, aveva tracciato la rotta per la Volkswagen per raggiungere i rivali nei veicoli a zero emissioni, nel mezzo della reazione allo scandalo Dieselgate – in cui era stato scoperto che VW aveva imbrogliato i test sulle emissioni11 – e della crescente domanda di auto elettriche durante la pandemia. Ma ora le cose sembrano diverse per il mercato delle auto elettriche, con alcune case automobilistiche che tornano sui loro passi, mentre le vendite ristagnano e le ripercussioni si stanno facendo sentire sui componentisti. I tre grandi tedeschi – Bosh, Continental e ZF Friedrichshafen – hanno i programmi di ristrutturazione più drastici, con tagli che possono arrivare, diluiti nei prossimi 3-4 anni, fino al 10% della forza lavoro12. Anche altri colossi della subfornitura europea, come l’austriaca Magna International e la francese Forvia, stanno procedendo a profonde ristrutturazioni e a tagli di posti di lavoro.

Auto elettrica o ibrida e le regole europee

Sempre la scorsa settimana Volvo (di proprietà della cinese Geely) ha contribuito a dare l’impressione di un’industria europea in una fase di ritirata rispetto agli impegni annunciati e presi, poiché ha abbandonato l’obiettivo di vendere solo auto elettriche entro il 2030, optando invece per continuare a vendere alcuni veicoli ibridi (elettrici e a benzina) insieme ai modelli a batteria13. Un chiaro segnale delle difficoltà delle case automobilistiche euro-americane nel realizzare auto elettriche che siano redditizie (ossia che producano profitti e non perdite). Volvo, Ford e Mercedes-Benz sono tra le case automobilistiche che hanno in programma di aumentare la produzione delle loro redditizie auto ibride (che combinano una batteria più piccola con un motore a combustibile fossile) piuttosto che puntare tutto sulla soluzione elettrica14. D’altra parte, il rallentamento del mercato dei veicoli elettrici allunga la vita del motore termico, e questo è positivo per le case automobilistiche tradizionali, nella misura in cui prolunga la vita delle piattaforme produttive esistenti, massimizzando così il flusso di cassa dei modelli storici.

Eppure, anche se lo volessero, le case automobilistiche europee non possono ignorare la necessità di ridurre le emissioni delle loro auto, un passo fondamentale per raggiungere l’obiettivo climatico di Parigi di mantenere il riscaldamento globale entro 1,5 °C rispetto ai livelli preindustriali. Le case automobilistiche devono soddisfare obiettivi più severi nel 2025 in base alla legge dell’UE, altrimenti dovranno pagare multe salate di 95 € per ogni grammo di CO2 in più prodotto in media da ogni auto. Attualmente, Volkswagen è nella posizione peggiore per la conformità al 2025 tra le principali case automobilistiche europee. Deve ridurre le emissioni medie delle auto vendute nel 2025 del 23% rispetto ai livelli del 2023 per evitare multe. Gli obiettivi di CO2 per il 2025 potrebbero accelerare la ristrutturazione della capacità produttiva in tutto il settore.

Le case automobilistiche europee stanno cercando di mantenere le auto ibride “molto più redditizie”, ma allo stesso tempo devono continuare a investire nella tecnologia elettrica perché devono cercare di affrontare la sfida di rivali cinesi sempre più competitivi. Questa è forse la più grande ombra che sta calando sulle fabbriche europee, anche perché la quota di mercato globale di un Gruppo come Volkswagen è diminuita con l’aumento delle vendite di veicoli elettrici15. Non c’è molto tempo: il direttore finanziario ha avvertito che la Volkswagen ha “un anno, forse due per invertire la rotta”.

Le strategie delle grandi aziende automobilistiche europee sono in forte contrasto con quelle cinesi. Un nuovo concorrente cinese, Xiaomi, ha dichiarato di aver superato i suoi obiettivi di consegna e di voler vendere 120mila delle sue auto elettriche entro la fine del 2024, ovvero 20mila in più rispetto a quanto inizialmente previsto16. Xiaomi è molto più nota come produttrice di smartphone, ma la sua spinta nel mercato delle auto elettriche insieme a BYD, Geely, SAIC Motor, Great Wall Motor, Hongqi, GAC International, Chery Auto e altri circa 150 marchi è diventata un simbolo della minaccia competitiva rappresentata dalle aziende cinesi per gli operatori storici in Europa e negli Stati Uniti, tra cui anche il pioniere statunitense dei veicoli elettrici Tesla che sta lottando per rilanciare le vendite in calo17. Gli Stati Uniti e l’UE hanno risposto imponendo tariffe elevate sui veicoli di fabbricazione cinese, sostenendo che le case automobilistiche cinesi hanno beneficiato di sussidi governativi molto più grandi18.

Diversi sono i vantaggi competitivi che i concorrenti cinesi sfruttano per espandere la propria quota di mercato globale: economie di scala, strutture di costo vantaggiose, tra cui integrazione verticale (possedere la catena di fornitura a partire dalla produzione e raffinazione delle materie prime, piuttosto che acquistare parti altrove, conferisce un ampio controllo sui costi), ingegneria a basso costo, tecnologia avanzata delle batterie multi-energia (soprattutto quelle più economiche della chimica litio-ferro-fosfato – LFP) ed esperienza nel mondo digitale (con gli schermi touch che rimpiazzano decine di interruttori, connettori e cavi) che ha portato al “software design vehicle” in cui le funzioni sono governate dal software. Producono auto con un elevato rapporto qualità/prezzo, che costano molto meno e sono migliori come prestazioni di quelle euro-americane. L’apertura programmata di fabbriche di batterie e automobili nei paesi dell’Unione Europea – in Ungheria, Slovacchia, Spagna, Francia e (forse) Italia – e nel Regno Unito consentirebbero loro di produrre ed esportare nell’UE senza dazi doganali. Ma probabilmente consentirebbe anche ad una parte dei produttori europei di componentistica (come quelli italiani) di diventare fornitori (la UE potrebbe stabilire una quota percentuale di forniture europee).

Stellantis e il settore della componentistica auto in Italia

Anche Stellantis, proprietaria di marchi tra cui Fiat, Peugeot e Vauxhall, ha bisogno di tagliare la capacità produttiva. In Francia ha avviato un piano di riduzione del personale da 2mila unità entro il 2024. In Italia, dove ha oltre 40mila dipendenti, le strategie di Stellantis non sono assolutamente conosciute, ma sappiamo che è critica, in particolare, la situazione a Mirafiori, dove la crisi dei volumi ha pesanti ripercussioni sull’indotto, tanto che si parla di circa 3mila posti di lavoro in bilico nel comparto. Diversi stabilimenti del gruppo (Mirafiori, Atessa e Melfi) continuano ad andare avanti solo grazie alla cassa integrazione. L’azienda aveva inviato migliaia di lettere per incentivare le uscite nell’autunno 2023. Nel 2024 ha fatto accordi con i sindacati per un programma da 3.200 uscite.

Allo stesso tempo, dal governo non arriva alcun segnale preciso relativo a una qualche forma di politica industriale nel settore, anche se afferma che vorrebbe che l’Italia tornasse a produrre un milione di veicoli19 e di voler aprire all’ingresso di partner cinesi, che finora ha ostacolato. E della Gigafactory di batterie prevista a Termoli non si hanno notizie da un po’. Secondo le associazioni del settore della componentistica, solo nel 2030, con la messa a regime degli investimenti sull’Alfa a Cassino e sperando nel successo dei nuovi modelli di Melfi, si potrà arrivare al fatidico milione di veicoli prodotti in Italia.

Per le imprese della componentistica il futuro è particolarmente incerto dato che l’amministratore delegato di Stellantis, Carlos Tavares, e i suoi colleghi delle altre case automobilistiche ribadiscono ad ogni occasione che la filiera deve comprimere i costi del 40%, per contrastare la concorrenza cinese. “La tecnologia elettrica, in Europa, è del 40% più costosa. Se vogliamo rendere i veicoli elettrici accessibili dobbiamo digerire il 40% del costo addizionale. Che ci piaccia o no. Noi stiamo facendo tutto quello che serve per ridurre i costi in fabbrica, ma tutti gli stakeholders sono chiamati a ridurre i loro costi come noi per rendere possibile l’abbassamento del prezzo dei veicoli elettrici. Questa è la verità brutale”, ha detto Tavares alla presentazione degli investimenti sui veicoli commerciali nello stabilimento di Atessa. Stellantis ha invitato i componentisti a valutare lo spostamento della produzione in Marocco dove i costi sono molto inferiori all’Italia. Per questo non ci si può meravigliare che il negoziato per il rinnovo del contratto dell’industria metalmeccanica (1,5 milioni di lavoratori), con la richiesta economica di 280 euro, fatta dai sindacati (Fiom, Fim e Uilm) a Federmeccanica e Assital, per il periodo 2024-2027, si stia incamminando su una ripida salita. L’ultimo rinnovo (2021-2024) è stato trascinato a quasi 311 euro dalla fiammata inflattiva e dall’adeguamento ex post.

L’incertezza sul futuro dell’auto, con motore sia endotermico sia elettrico, sta avendo delle pesanti ricadute sull’indotto, sul settore della componentistica, che si trova in una fase di difficile transizione, con diversi punti interrogativi dopo la crisi di qualche anno fa che ha già toccato diverse realtà, la più nota delle quali è stata quella della ex GKN. Situazioni critiche sono quelle della Marelli a Crevalcore (ma si ricorre alla cassa integrazione negli stabilimenti di Bari, Melfi, Sulmona e Rivalta), dello stabilimento per la produzione di iniettori della Bosch a Bari che è da riconvertire nella produzione di biciclette elettriche (700 esuberi su 1.700 dipendenti), della Lear, della Denso, e di tante altre piccole e medie realtà produttive.

Siamo nel bel mezzo di un passaggio critico, un cambiamento strutturale in atto nella produzione dei veicoli. In una vettura elettrica il 40% del costo totale è ormai rappresentato dalle batterie e un altro 40% circa dal software. Tutto il resto pesa quindi soltanto per il 20%. Meno pezzi, meno aziende, meno lavoratori. Un recente studio della società di consulenza globale AlixPartners per l’associazione dei componentisti Anfia e l’associazione dei produttori di macchine utensili Ucimu ha stimato gli effetti su filiera e indotto del passaggio dall’auto tradizionale all’auto elettrica (tenendo conto del bando alla vendita di auto a benzina e diesel a partire dal 2035 stabilito dalla UE) in un rischio di 7 miliardi di perdita di valore al 2030 e 20-40mila posti di lavoro in potenziale esubero. Tutto questo significa che la transizione verso l’auto elettrica è complicata, soprattutto per l’industria della componentistica, un settore di alta specializzazione dell’economia italiana che comprende 2.200 imprese con 166.800 lavoratori. Sono aziende generalmente di medie-piccole dimensioni, ma molto internazionalizzate. Molte sono nate come fornitori FIAT, ma adesso solo il 60% ha rapporti, peraltro non esclusivi, con Stellantis. Il fatturato del settore è di 60 miliardi (23,5 miliardi di esportazioni). Il saldo commerciale del comparto è attivo per 5,2 miliardi.

La crisi dei grandi produttori di auto e i loro piani di ristrutturazione hanno ricadute pesanti su tutta la filiera, nel breve e nel lungo periodo. Tra gennaio e maggio 2024 la produzione della componentistica italiana è scesa del 18%, mentre tra gennaio e luglio 2024 le ore di cassa integrazione erogate nel settore automobilistico (produttori e fornitori) sono salite del 18%. Ovviamente, la principale richiesta degli industriali e delle loro associazioni è una revisione dei tempi e/o obiettivi 2035 “se non si vuole mandare in fumo la filiera della componentistica italiana”. “È una follia” sostiene il presidente di Confindustria Emanuele Orsini, perché lo stop all’endotermico coinvolge circa 70mila occupati in Italia, in una filiera che è un’eccellenza riconosciuta a livello mondiale.

Il mancato decollo del mercato delle auto elettriche, con le vendite che in Europa sono ferme al 13,8% e in Italia al 3,9% (gennaio-luglio 2024), offre numeri troppo bassi per remunerare gli investimenti di quei componentisti di parti del motore endotermico che hanno investito sull’elettrico e cercato diversificazioni alternative come la riconversione verso settori compatibili o affini per tecnologie (aerospazio, difesa, elettrodomestici). Investimenti che difficilmente saranno ripagati entro il 2030. D’altra parte, se l’elettrico non decolla, anche la produzione di auto tradizionali è in caduta. Nel primo semestre del 2024, in Italia è diminuita del 32%, in Francia del 7,6%, in Germania del 6%.

In sostanza, i componentisti del settore auto sembrano essere entrati in un vicolo cieco: gli specialisti dell’endotermico vedono assottigliarsi il mercato, mentre chi sta riconvertendo in parte l’attività all’elettrico (solo il 6% delle aziende non ha prodotti adatti al motore elettrico) non ha ricavi sufficienti per la scarsità delle produzioni e vendite delle auto elettriche. Una trappola che sta mandando al tappeto molte imprese. Dal punto di vista territoriale, il Piemonte è il più colpito anche perché rappresenta un terzo del settore in Italia. Nel 2023, nella sola provincia di Torino, le imprese della componentistica auto sono diminuite del 4,4%, più del doppio del resto dell’industria. Il calo dei volumi di produzione di Stellantis ha messo in crisi la Lear di Grugliasco (sedili per auto, fornitore Maserati) e la Te Connettivity (componenti elettroniche). Magnetto (sistemi elettronici), 280 dipendenti, è stata posta in liquidazione giudiziaria a fine maggio. Delgrosso, produttore di filtri di Nichelino, 108 dipendenti, ha chiuso a marzo, come la Proma di Grugliasco, produttore di stampi e stampaggio lamiere, 110 dipendenti.

Alessandro Scassellati

  1. Il sabotaggio del North Stream, principale fonte di energia dalla Federazione Russa, ha posto fine a uno dei vantaggi competitivi dell’industria tedesca dovuti alle forniture di gas russo a basso costo, senza dimenticare che molti problemi erano già derivati dalle politiche frutto della cosiddetta transizione green, che hanno determinato, prima ancora dello scoppio del conflitto, una crescita generali di prezzi e tariffe, che hanno inciso su beni primari come cibo e carburanti, determinando una contrazione dei consumi.[]
  2. Nella classifica sulla “competitività digitale” dell’International Institute for Management Development di Losanna, la Germania è 23esima su 64 Paesi e in arretramento da anni. Nella classifica sull’economia e la società digitale dell’Unione Europea, la Germania è sestultima per competenze di base della popolazione dietro a Ungheria e Cipro[]
  3. La BMW vende le sue auto elettriche di fascia alta e in luglio ha raggiunto Tesla in Europa. Nel semestre ha ottenuto un +24,6% con i tre marchi (BMW, Mini e Rolls-Royce). Gli ultimi investimenti in Ungheria, Messico e Germania (Regensburg e Monaco) comporteranno una espansione della forza lavoro. In questi giorni, l’azienda ha rivelato che dovrà richiamare 1,5 milioni di veicoli a causa di un problema al sistema frenante (prodotto dalla Continental), con un costo di quasi 1 miliardo di euro.[]
  4. Stellantis spera di offrire presto un modello elettrico che dovrebbe costare meno di 20.000 €, ma costruito con la collaborazione della cinese Leapmotors, in cui la società francese ha preso una quota di partecipazione rilevante, formando una joint-venture con la stessa.[]
  5. Sarebbe la prima volta negli 87 anni della sua storia che Volkswagen andrebbe a chiudere degli stabilimenti industriali. In passato, i dirigenti non hanno avuto il via libera. Quando Bernd Pischetsrieder tentò di tagliare posti di lavoro alla Volkswagen nei primi anni 2000, fu costretto ad andarsene. Quando Herbert Diess ci provò, ottenne lo stesso risultato, lasciando nel 2022. Eppure ora la Volkswagen sembra voler deliberatamente seguire la strada della ristrutturazione. L’amministratore delegato Oliver Blume è “VW fino in fondo”, e le sue azioni riflettono probabilmente i desideri delle dinastie Porsche e Piëch che controllano il Gruppo. Ci sono le condizioni per uno scontro storico sul futuro della più grande casa automobilistica tedesca. I lavoratori hanno mantenuto una forte tutela del posto di lavoro negli stabilimenti automobilistici della Volkswagen, grazie a un accordo del 1994 che li ha protetti dai licenziamenti fino al 2029. Ora, i dirigenti della VW affermano che l’accordo deve giungere anzitempo alla fine.[]
  6. Il programma di risparmi prevede anche la riduzione dei costi del personale amministrativo fino al 20%. Un obiettivo da realizzare principalmente sfruttando la curva demografica, ovvero partendo dai baby-boomer. Per questo sono stati stanziati incentivi per 900 milioni di euro.[]
  7. Nel frattempo, sono già in corso le trattative della contrattazione collettiva per i lavoratori del settore metalmeccanico ed elettrico. Il sindacato IG Metall ha annunciato a luglio che i lavoratori vogliono un aumento salariale del 7% per compensare l’aumento dell’inflazione. L’incontro del 4 settembre della Volkswagen è stato il momento in cui l’azienda “ha messo le carte in tavola” e potrebbe essere utilizzato come leva nelle future trattative con i lavoratori sindacalizzati. Con la prospettiva di chiusure di stabilimenti e perdite di posti di lavoro sul tavolo, il produttore automobilistico potrebbe usare la minaccia per ridurre gli aumenti salariali e altre richieste. Ma se le trattative di contrattazione collettiva dovessero fallire, IG Metall ha avvertito che i lavoratori potrebbero andare in sciopero a partire dal 29 ottobre. Sarà un autunno turbolento.[]
  8. Nel 2023, rispetto a una produzione totale di veicoli a livello mondiale pari a circa 82 milioni di unità, in Asia ne sono uscite dalle fabbriche per un volume vicino al 60% del totale e nella sola Cina si è superato un terzo del totale. Anche per quanto riguarda le esportazioni, nel 2023 la Cina si è collocata al primo posto nel mondo, con 5.1 milioni di unità vendute all’estero, seguita peraltro nella classifica da un altro paese asiatico: il Giappone. Ancora più rilevante il predominio cinese nel comparto delle vetture elettriche. Su una produzione totale di circa 9,5 milioni di unità nel 2023, con un aumento del 33% sull’anno precedente, la quota dei produttori cinesi si è collocata vicino al 60%. Negli ultimi mesi del 2023 le elettriche, comprese quelle ibride, hanno superato il 40% del totale dei veicoli venduti in Cina. A livello mondiale poi la quota di mercato delle full electric è stata del 14% (del 17% comprese le ibride plug-in), cifre comunque in crescita. E le stime per il 2030, pur corrette al ribasso, parlano di un 30-40%.[]
  9. Quando si sono stabiliti gli obiettivi per i veicoli elettrici, le case automobilistiche non hanno considerato a sufficienza i prezzi che le persone sarebbero state disposte a pagare per i veicoli elettrici e non hanno sufficientemente garantito che sarebbero stati redditizi. Il divieto di auto a combustione interna dell’UE potrà essere rivalutato nel 2026 e negli ultimi mesi si sono intensificate le discussioni dietro le quinte tra rappresentanti dell’industria, dei governi e della Commissione europea per annacquare l’obiettivo. Inoltre, i movimenti populisti di destra in tutta Europa hanno sfruttato la sofferenza economica per seminare malcontento per le politiche climatiche. In Germania, c’è stata una reazione diffusa alla riforma del riscaldamento (le pompe di calore), ma le auto sono ancora più emotive per un paese che considera la velocità illimitata in autostrada un diritto civile. Anche i partiti di destra in paesi come Italia e Francia sono sempre più critici nei confronti delle normative sul clima che, a loro dire, danneggiano le famiglie della classe operaia. I politici europei sono più sensibili alle preoccupazioni sui tagli di posti di lavoro e l’industria automobilistica del blocco ha continuato a sostenere stabilimenti ad alto costo dopo la crisi finanziaria globale. È assai probabile, quindi, che i divieti governativi ed europei sui nuovi veicoli con motore a combustione saranno rinviati.[]
  10. La Volkswagen è stata pioniera in Cina, creando in gran parte la sua filiera di fornitura automobilistica e aiutando uno dei suoi più grandi marchi automobilistici, SAIC Motor, a decollare attraverso una joint venture obbligatoria. La scommessa ha pagato e VW si è presto trovata a dipendere dal mercato cinese per la maggior parte della sua crescita e delle sue vendite. Ma i consumatori cinesi non sono più interessati alle auto con motore a combustione e i marchi nazionali hanno raggiunto (e superato) i loro concorrenti stranieri nella transizione, rendendo veicoli come VW ancora meno allettanti. “Non ci sono più assegni in arrivo dalla Cina”, ha detto il CEO Oliver Blume ai lavoratori durante l’incontro. Nella prima metà di quest’anno, le vendite della Volkswagen in Cina sono diminuite di quasi il 20%. Il calo dei ricavi cinesi lascia alla Volkswagen poche opzioni per compensare il suo deficit finanziario, rendendo la chiusura degli stabilimenti una scelta scontata. In ogni caso, la Cina è ancora il mercato più grande per tutti i “tre grandi” produttori di automobili tedeschi (VW, Mercedes e BMW), soprattutto nella nicchia delle auto di lusso.[]
  11. Il Dieselgate è tornato alla ribalta la scorsa settimana per l’inizio del processo all’ex amministratore delegato della VW Martin Winterkorn. L’agenzia statunitense per la protezione dell’ambiente aveva scoperto nell’estate del 2015 che Volkswagen aveva manipolato 11 milioni di modelli venduti dal 2009 in avanti, perché non risultasse dai test che i loro motori diesel inquinavano ben oltre i limiti. Da quello scandalo, Volkswagen avrebbe subito 30 miliardi di euro in pagamenti di risarcimento in tutto il mondo, oltre a vedere intaccata in modo incalcolabile la sua reputazione di simbolo dell’abilità tecnica e dell’affidabilità tedesca. L’amministratore delegato di Audi Rupert Stadler, parte del gruppo, è stato condannato a un anno e nove mesi di carcere (con la condizionale) per aver continuato a vendere modelli manipolati ben dopo l’emergere dell’inganno.[]
  12. ZF ha programmato 14mila uscite entro il 2028; Bosh 2mila entro due anni; Continental oltre 7mila.[]
  13. Volvo ha dichiarato che punta a far sì che oltre il 90% delle sue vendite globali siano “elettrificate” entro il 2030, una definizione che include sia le auto completamente elettriche che le ibride plug-in che combinano una batteria più piccola con un motore a benzina inquinante. Ha affermato che ciò significherebbe maggiori emissioni di carbonio per ogni auto: un calo pianificato del 75% delle emissioni, rispetto al 2018, diventerebbe invece del 65%. “Siamo risoluti nel credere che il nostro futuro sia elettrico”, ha affermato Jim Rowan, amministratore delegato di Volvo Cars. “Un’auto elettrica offre un’esperienza di guida superiore e aumenta le possibilità di utilizzare tecnologie avanzate che migliorano l’esperienza complessiva del cliente. Tuttavia, è chiaro che la transizione all’elettrificazione non sarà lineare e clienti e mercati si stanno muovendo a velocità di adozione diverse. Siamo pragmatici e flessibili, pur mantenendo una posizione leader del settore in materia di elettrificazione e sostenibilità”.[]
  14. Mercedes-Benz Group AG ha sollevato preoccupazioni sul ritmo degli sviluppi del mercato. Dopo aver inizialmente promesso di passare all’elettrico entro il 2030, il CEO di Mercedes-Benz Ola Källenius ha dichiarato a un’assemblea degli azionisti a maggio che la società offrirà probabilmente modelli con motore a combustione interna per buona parte del prossimo decennio, osservando che “la trasformazione potrebbe richiedere più tempo del previsto”.[]
  15. Il Gruppo Volkswagen controlla il suo marchio omonimo, oltre ad Audi, Porsche, Seat, Škoda ed altri. A luglio ha dichiarato che stava valutando la possibilità di chiudere una fabbrica Audi a Bruxelles (2.600 posti di lavoro) che produce due modelli elettrici con scarsa domanda: si tratta della prima proposta di chiusura di una fabbrica in Europa e della prima per il Gruppo a livello mondiale in 40 anni.[]
  16. Xiaomi ha affermato che la sua unità di veicoli elettrici non era ancora redditizia, ma che aveva realizzato ricavi per 6,2 miliardi di yuan (562,8 milioni di euro) nel secondo trimestre del 2024 dopo aver presentato la berlina SU7 a marzo.[]
  17. Secondo i dati della società di consulenza automobilistica Inovev, la quota di vendite di autovetture cinesi in Europa è salita al 17% nei primi sette mesi del 2024, rispetto al 12% dell’anno precedente, e le esportazioni di auto cinesi hanno raggiunto livelli record quest’anno. Geely ha venduto circa 200mila auto in Europa nella prima metà di quest’anno, ma dovrà affrontare nuove tariffe fino al 19,3% (oltre al 10% già esistente) sui suoi veicoli elettrici prodotti in Cina, secondo gli attuali piani della Commissione Europea.[]
  18. Gli USA hanno proposto una tariffa del 100% sulle importazioni di auto elettriche cinesi. L’UE ha annunciato tariffe aggiuntive che vanno dal 17,4% al 37,6% sulle importazioni cinesi, che già comportano un’imposta sulle importazioni del 10%, sostenendo che le aziende hanno beneficiato di pesanti e ingiusti sussidi statali. Tuttavia, tale è il vantaggio in termini di costi che molti produttori cinesi potrebbero ancora essere in grado di vendere auto in modo redditizio in Europa. Le tariffe UE devono essere approvate dagli Stati ai primi di ottobre, a meno che Pechino non trovi il modo di accogliere le preoccupazioni dell’UE. Ciò sembra improbabile, dal momento che la Cina ha risposto con le proprie indagini sugli esportatori di cognac, latticini e carne di maiale dell’UE, spingendo il capo diplomatico dell’UE, Josef Borrell, a dire che una guerra commerciale potrebbe essere “inevitabile”. In ogni caso, le imprese del settore automobilistico cinese stanno investendo molto nell’espansione all’estero, in tutti i continenti.[]
  19. Nel 2023 sono uscite dalle linee di montaggio circa 750mila unità in tutto, compresi i veicoli commerciali leggeri. Molte meno di quante se ne vendano.[]
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1 Commento. Nuovo commento

  • Luigi Porro
    16/09/2024 21:14

    Non c’è dubbio. che tutta l’industria dell’auto europea ha dormito sugli allori.
    Da almeno 3 decenni, si perlava di un nuovo modello di mobilità compatibile con nuove fonti di energia. Oltre alle auto elettriche si cominciavano a sperimentare motori alimentati a idrogeno. Qualche anno fa, in Baviera si stavano installando colonnine per la distribuzione di idrogeno liquido. Poi nessuno ne parlò più. Premesso che l’idrogeno si può ottenere scindendo gli atomi di idrogeno e ossigeno dall’acqua con un processo di elettrolisi; però non c’è stata la volontà politica e imprenditoriale di predisporre impianti atti allo scopo. Non perché mancasse la tecnologia necessaria, in Europa esistono dei colossi chimici che se avessero voluto intraprendere questa strada ne avrebbero avuto la capacità, i capitali necessari e la forza di persuasione per indurre il mondo politico per agevolare questo processo produttivo. Stessa cosa ve anche per l’industria meccanica sempre in cerca di energia a basso costo. Se si fosse intrapresa questa nuova strada, forse tutta l’industria europea, non solo quella delle auto si troverebbe in vantaggio rispetto a quella cinese e americana.
    Può darsi che tutto ciò, possa sembrare frutto di utopie, però vorrei ricordare che il mondo è progredito, grazie a coloro che hanno creduto nelle utopie e si sono sforzati, per renderle reali.

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