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Quel che resta sotto le bandiere

di Istico
Battistoni

Davanti al Municipio di Berlino, quell’imponente Rathaus di mattoni rossi nel cuore della capitale tedesca, sono state issate otto bandiere: quattro bandiere ucraine una a fianco dell’altra, la bandiera dello Stato di Berlino, quella dell’Unione europea, quella tedesca e – sorpresa sorpresa – quella israeliana. Solo un parco pubblico separa il Rathaus dal blocco dove sorgeva il Palast der Republik della Repubblica democratica tedesca, e in cui sorge ora un nuovo centro culturale, l’Humboldt Forum. Solleva quantomeno degli interrogativi l’osservare come le onde della Storia si ripercuotano sulla contemporaneità in modo differente. Il Palast venne demolito tra il 2006 e il 2008, cancellando definitivamente il simbolo di un intero mezzo secolo di storia socialista tedesca; le bandiere di Israele, nato sulle ceneri di Auschwitz, sono invece dappertutto, anche di fronte a edifici privati, e sfarzosi, come la sede della grande casa editoriale Axel-Springer. È come se la Germania riuscisse a fare i conti con il proprio passato di nazione divisa dalla Guerra fredda, ma non con quello legato al Nazifascismo. Un ignoto ed ignorante turista potrebbe facilmente chiedersi se Israele faccia parte della Germania o viceversa, al vedere tutte quelle bandiere che sventolano nella capitale tedesca. Qui, manifestare in favore dei palestinesi è diventato un esercizio pericoloso per le centinaia di migliaia di musulmani o arabi che vivono in città, e politicamente marcato come fazioso, come mi confermano gli amici siriani e kurdi che si sono rifatti una vita in Germania. Allo stesso tempo, come se niente fosse, la Ministra degli affari esteri tedesca continua a incontrare il Ministro della difesa israeliano Gallant, che il Procuratore generale del Tribunale penale internazionale accusa di crimini di guerra e contro l’umanità: è quello che è successo ancora durante la prima settimana di settembre, durante l’ennesimo tour diplomatico della Baerbock.

E così, lo spirito della responsabilità storica tedesca nello sterminio degli ebrei continua indirettamente a forgiare i silenzi e affrancare le complicità europee in una guerra che, in risposta all’attacco di Hamas del 7 ottobre scorso che lasciò sul terreno mille e duecento vittime israeliane, ha già fatto più di quarantamila morti tra i palestinesi. La sola cosa che la Germania e la maggioranza dei paesi europei riescono ancora a fare è di alzare la voce o di implorare le autorità israeliane di fare la guerra in modo gentile. La verità non ha bisogno di orpelli, basta raccontarla citando fatti per mettere alla luce le stridenti contraddizioni dell’Europa in materia di diritti umani: fa scandalo come i miliziani palestinesi usino dei cittadini israeliani come ostaggi, ma non il fatto che siano tuttora nelle carceri israeliane per ragioni politiche migliaia di palestinesi, dei quali molti senza capi d’accusa o senza aver subito un processo. Fa scandalo la presunta esecuzione di sei ostaggi da parte di Hamas, ma non i bombardamenti di scuole e centri di accoglienza degli sfollati gazaoui da parte dell’esercito israeliano. E così, una pletora di suppliche diplomatiche si sussegue per forza d’inerzia, ma nessuna effettiva misura di censura, contenimento o sanzione viene messa in atto dalle nostre nazioni europee nei confronti di Israele; cosa che rasenta l’invito a fare la guerra in modo gentile, ma di continuare a farla. L’alone di impunità che avvolge lo Stato ebraico paralizza le cancellerie e perpetua il mantenimento dello status quo, in nome forse dell’antisemitismo, o semplicemente perché i palestinesi non sono nostri alleati, o peggio ancora perché sono solo degli arabi e molti di loro perdipiù musulmani. Assistiamo a inutili invocazioni rivolte ai governanti di Gerusalemme, quando dall’altra parte il nostro alleato israeliano coltiva un progetto neocoloniale spaventoso che prende corpo giorno dopo giorno: tutta la terra, un pezzo per volta, e tutta per Israele.

Le prove di questa inazione? Dodici su ventisette sono i paesi UE a a riconoscere lo Stato palestinese, ma tra loro nessun grande paese occidentale come Germania, Francia o Italia. Solo tre paesi europei hanno sospeso l’approvazione di nuove licenze di vendita di armi a Israele dal 7 ottobre ad oggi (Spagna, Belgio e Italia), mentre in Olanda è stato esclusivo merito della Giustizia se sono state bloccate parzialmente alcune esportazioni. D’altro lato, USA e Germania sono i paesi che hanno rifornito il 99% delle armi importate da Israele tra 2019 e 2023. Nonostante il lavoro incessante del capo della diplomazia UE Borrell, l’UE non ha adottato nessuna misura sanzionatoria contro i ministri israeliani Ben-Gvir e Smotrich per i loro propositi pubblici genocidari nei confronti dei palestinesi (all’ultimo consiglio dei ministri degli affari esteri UE, la sua proposta non ha riscosso consenso).  Nonostante i numerosi appelli della società civile europea a sospendere l’Accordo di associazione UE-Israele per violazione della clausola dei diritti umani (l’ultimo è questo), la questione non è nemmeno sul tavolo del Consiglio dei Ministri dell’Unione.

E così, se una sola nazione terza beneficia di un trattamento privilegiato, questo delegittima la politica estera europea tutta e indebolisce l’Europa quale partner globale per la giustizia, la pace e la prosperità nel mondo. Altrettanto preoccupante è l’emersione di una cultura della repressione del dissenso sul territorio europeo, in questo caso travestita di lotta all’antisemitismo, che non potrà che giovare ai partiti xenofobi, razzisti o di estrema destra, che vedono nell’ordine pubblico e nel nazionalismo uno strumento per consolidare la propria presenza, da un lato, e ai gruppi islamisti radicali come lo Stato islamico, che si alimentano della prerogativa della vendetta dei crimini perpetrati contro i palestinesi. Gli attacchi a mano armata che hanno avuto luogo a Solingen e a Monaco tra fine agosto e inizi di settembre ne sono un indizio.

D’altro lato, prendiamo il sostegno del partito di destra Allianz für Deutschland (AfD) a Israele, un sostegno che si basa sull’ipocrisia. Nonostante la loro storia di antisemitismo e le loro controverse posizioni in politica estera, sulla questione Israele/Palestina AfD sembra essere d’accordo con il governo israeliano. Le ragioni sono molteplici, ma alla fine si riducono alla loro agenda islamofobica e anti-immigrati, che utilizza l’attacco del 7 ottobre per demonizzare ulteriormente i palestinesi e gli arabi, compresi quelli che vivono in Germania. Uno dei suoi rappresentanti ha sostenuto che la difesa di Israele fa parte della Ragion di Stato, in quanto Israele è Occidente, e rappresenta il nostro modo di vivere e di pensare. Con la loro agenda, lo scorso 1 settembre AFD ha vinto le elezioni regionali in Turingia ed è arrivato secondo in Sassonia. È così che, travestendosi da paladino dell’antisemitismo, quel partito offusca la controversa politica estera del governo tedesco, e si mostra di fronte all’elettorato tedesco più conseguente e coerente nelle sue posizioni di difesa della cultura nazionale, guadagnando con il tempo sempre maggior consenso. Consenso che utilizzerà per ambire a posizioni di governo, non certo per difendere lo stato di diritto in Germania, in Europa o nel mondo.

Sto leggendo un saggio del francese Didier Lefebvre sull’influenza del bolscevismo russo sugli intellettuali tedeschi durante la Repubblica di Weimar. È straordinariamente interessante leggere di come il bolscevismo influenzò sia il pensiero di sinistra che di destra, e di come anche in molti ambienti conservatori e nazionalisti la Russia dell’epoca venisse rappresentata come culla dell’azione contro la “razionalità politico-culturale incarnata dalla democrazia e dalla repubblica”, le quali erano viste come estranee alla missione e ai valori della nazione tedesca. Opponendo un modo d’essere d’ordine emotivo fondato su immediatezza, violenza e desiderio, volevano distruggere il pensiero razionalista, l’idea di civiltà, gli interessi della borghesia. Volevano dunque che la Germania imparasse dalla Russia, che aveva fatto da apripista. Contrariamente alla mediocrità democratica, il bolscevismo portava in sè uno slancio idealista, costringendo l’individuo a sottomettersi al bene della totalità – diceva uno di quegli intellettuali della nuova destra tedesca, Paul Eltzbacher. Cosa è successo con il disfacimento della Repubblica di Weimar lo sappiamo tutti.

Non possiamo certo comparare l’immaginario della Russia del secolo scorso con quello che evoca Israele oggi, ma la presenza di contraddizioni evidenti e posizioni precostituite che domina il dibattito contemporaneo attorno a Israele, e soprattutto i privilegi di cui gode questo paese rispetto al diritto internazionale, fanno di Israele de facto un simbolo di una volontà impulsiva, che si muove tra mitizzazioni, doppi standard, spirito da fine della civiltà e faglie divisorie che contrappongono Occidente e Oriente.

Dovremmo ritornare a fare i conti con la realtà della legge internazionale, senza guardare in faccia nessuno. Altrimenti l’idea di Europa difesa finora dai suoi paesi fondatori rischia di glissare verso pericolosi terreni ideologici, dove tutto verrà giustificato in nome della “difesa dell’Occidente”. Nel frattempo, mi auguro che a Berlino usino le bandiere con meno intenti propagandistici. Meno bandiere e più sanzioni contro chi commette crimini contro l’umanità: sarebbe questo il modo migliore di difendere il progetto di Europa unita e quel che resta dei diritti universali di cui l’Occidente si proclama padre e padrino.

Istico Battistoni

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