Preambolo
L’indice della produzione industriale nel mese di marzo destagionalizzato è crollato del 29,3% rispetto al marzo 2019. Questo dato illustra gli effetti sull’economia delle misure di quarantena provocate dalla pandemia da virus Sars-Cov2. In tutti i paesi del mondo, accomunati dal crollo più o meno accentuato della propria economia, i governi prendono provvedimenti di varia natura e dimensioni per sostenerla, con vincoli diversi all’intervento pubblico.
Per quanto riguarda il nostro paese, come scrive Roberto Musacchio “In Italia non è un bello spettacolo. Difficile vedere una linea guida nei provvedimenti che non sia il seguire le spinte dei poteri economici e politici”. II governo, nel decidere l’intervento pubblico a sostegno dell’economia, si dibatte tra i vincoli dei ‘patti europei’. La Commissione Europea prevede che il debito pubblico dell’Italia salirà al 158,9% del Pil, mentre quello della Francia al 116,5% e quello della Germania al 75,6%. Il dibattito in Italia è concentrato in questo momento sull’ultima proposta di un MES light, liberato da una serie di condizionalità, mentre su Eurobond o Recovery Fund non c’è confronto o contrattazione alcuna, soprattutto sul Recovery Fund che prevederebbe una quota a fondo perduto. La Corte Costituzionale Tedesca ha aperto le ostilità nei confronti della BCE. Come scrive Franco Russo “Certo la sentenza riguarda solo il Public Sector Purchase Programme, il PSPP[1], e non l’insieme degli strumenti attivati in questi anni, o solo predisposti e mai usati come l’OMT; tuttavia ciò che viene sollevato dalla sentenza riguarda il fondamentale rapporto tra la politica economica e fiscale e la politica monetaria[2]. (…) La Corte tedesca afferma che la BCE non può assumere di nuovo i compiti di una tradizionale banca centrale e dunque sostenere con i suoi interventi le politiche di deficit spending, monetizzando il debito pubblico attraverso l’acquisto di titoli sui mercati secondari. Sostenere questa tesi in un periodo in cui molti degli Stati membri si vanno indebitando contando sugli acquisti della BCE, come è il caso dell’Italia, significa aprire un’ulteriore crisi finanziaria, oltre a quella politica, economica e sociale prodotta dal coronavirus (…) Lo scontro, come si evince facilmente, è di una estrema durezza e purtroppo esso non prelude a niente di buono per i popoli dell’UE, perché se vincerà la linea della Corte tedesca avremo una nuova riedizione dell’austerità, se prevarrà la BCE avremo una gestione tecnocratica della politica economica, sottoposta alle condizionalità di una nuova Troika. A meno che…. il cigno nero non apra la via al sovvertimento dell’ordine capitalistico dell’Unione Europea”.
Gli articoli di Russo e Musacchio sul sito di Transform Italia meritano e richiedono una lettura completa ed attenta, tuttavia le citazioni sono sufficienti allo scopo di indicare il contesto europeo della vicenda italiana. Lo scontro aperto dalla corte tedesca radicalizza il conflitto interno all’area dell’euro, ne approfondisce gli squilibri interni sino a metterne in discussione la stessa esistenza pur di ribadirne i rapporti di forza interni: a nessuno degli attori può sfuggire la posta in gioco.
Nel confuso quadro italiano, dopo il disastro della sanità nel prevenire, controllare e gestire la pandemia, un assetto politico disarticolato e contraddittorio fatica a definire programma di minima rispetto alla portata della crisi economia e sociale.
Uscire dalla gabbia del debito
Gli sbocchi all’ordine del giorno della crisi puntano tutti all’aumento del debito con variazioni sul tema della durata e del livello degli interessi. Il bilancio dello stato italiano ha presentato un saldo primario – al netto degli interessi – positivo dal 1992 al 2019, escluso il 2009, il nostro paese vive nella trappola del debito, le previsioni per il 2020, che prevedevano un ulteriore avanzo primario, sono state completamente ribaltate.
il nostro paese, intrappolato nella gabbia del debito, non esprime una classe dirigente in grado di proporre un’uscita da questa trappola assieme a un’alternativa nel modello di sviluppo.
Perché introduciamo il tema della ‘moneta fiscale’?
Da anni si svolge un dibattito attorno alla cosiddetta moneta fiscale come dispositivo per allentare la morsa del debito, per fornire liquidità al sistema economico, sgusciando tra le maglie dei vincoli europei.
Due provvedimenti previsti dal governo introducono la possibilità della trasformazione in liquidità dei crediti fiscali che lo stato rivendica nei confronti di cittadini ed imprese.
Per andare però in contro alla crisi economica che ha colpito il settore del turismo, Franceschini ha confermato l’intenzione di prendere una “misura che aiuterà imprese e famiglie è il tax credit vacanze, un bonus da spendere entro il 2020 in alberghi e strutture ricettive per persone sotto un reddito Isee di 40 o 50 mila euro, stiamo definendo”. La cifra dovrebbe andare dai 150 per un singolo, ai 500 per una famiglia. La trasformazione in moneta potrebbe essere completata dalla possibilità di effettuare pagamenti con questi certificati.
Ragionamento analogo vale per l’innalzamento del vantaggio fiscale per varie tipologie di intervento sugli immobili. Il decreto di maggio dovrebbe reintrodurre per le opere agevolate la possibilità di cedere il credito fiscale all’impresa, questa a sua volta può passare il suo diritto a terzi (ad esempio una banca).
La proposta della moneta fiscale è stata compiutamente elaborata in un testo di Biagio Bossone, Marco Cattaneo, Enrico Grazzini e Stefano Sylos Labini, con la prefazione di Luciano Gallino, un e-book edito da MicroMega: Per una moneta fiscale gratuita. Come uscire dall’austerità senza spaccare l’euro.
Nella sua introduzione Gallino scriveva: “Questo libro a più voci osa proporre, nientemeno, che allo scopo di combattere la disoccupazione e la stagnazione produttiva in corso lo stato, massima istituzione politica, si decida a fare in piccolo qualcosa che le banche private fanno da generazioni in misura immensamente più grande: creare denaro dal nulla – adottando però modi, le banche, che non aiutano a combattere né l’una né l’altra. Scegliendo di entrare nella zona euro, lo stato italiano sì è privato di uno dei fondamentali poteri dello stato, quello di creare denaro (che nella nostra lingua chiamiamo moneta quando ci riferiamo a denaro che ha una sua specifica connotazione nazionale, tipo la sterlina, la corona o il franco svizzero). Per gli stati dell’eurozona, in forza del Trattato di Maastricht soltanto la BCE può creare denaro in veste di euro, sia esso formato da banconote, depositi, regolamenti interbancari o altro; a fronte, però, del divieto assoluto, contenuto nell’art. 123 (mi riferisco alla versione consolidata del Trattato) di prestare un solo euro a qualsiasi amministrazione pubblica – a cominciare dagli stati membri. Per quanto attiene alle banche centrali nazionali della zona euro, esse non possono più emettere denaro; nondimeno sono libere di ricevere miliardi in prestito dalla BCE a interessi risibili. Al tempo stesso accade che le banche private abbiano conservato intatto il potere di creare denaro dal nulla erogando crediti o emettendo titoli finanziari negoziabili. Le banche private creano denaro in due modi. Il modo più noto e discusso, in specie a causa del ruolo che esso ha avuto nello scatenare la crisi del 2007, consiste nel concedere un credito, senza togliere un solo euro ad altri correntisti o al proprio patrimonio. L’operazione consiste semplicemente nell’inscrivere sul conto corrente di qualcuno, con pochi tocchi al computer, una certa somma a titolo di prestito. La stessa somma figurerà nel bilancio della banca da un lato come passivo (la somma che la banca si è impegnata a mettere a disposizione del cliente), dall’altro come un attivo (la somma che il cliente ha promesso di restituire). Si stima che il denaro così creato rappresenti nella UE (in questo caso l’eurozona più i paesi non euro) circa il 95 per cento di tutto il denaro in circolazione. Al confronto, le banconote stampate dalla BCE, di cui la TV ci ripropone l’immagine dieci volte al giorno, sono bruscolini.
Un altro modo di creare denaro da parte delle banche private, assai meno compreso e discusso del precedente, anche tra gli economisti, consiste nell’emettere prodotti finanziari che possono venire convertiti facilmente in denaro liquido. Si tratti di obbligazioni aventi per collaterale un debito ipotecario (CDO), di titoli garantiti da un attivo (ABS), di certificati di assicurazione del credito (CDS) o di un qualsiasi altro titolo “derivato” (nel senso che il suo valore deriva dall’andamento sul mercato di un’entità sottostante) inventato dagli alchimisti finanziari, esso può venire venduto in qualsiasi momento al suo valore di mercato. Di solito, o meglio in media, quest’ultimo è di molto inferiore al valore nominale (o nozionale, come dicono gli addetti ai lavori) del titolo, ma nell’insieme si tratta pur sempre di cifre colossali[3]. A fine 2008, ad esempio, l’ammontare nominale dei derivati ‘scambiati al banco’, cioè al di fuori delle principali borse, si aggirava sui 680 trilioni di dollari, mentre il loro valore di mercato superava i 32 trilioni”.
Gallino aggiunge: “Personalmente credo che la definizione meno problematica dei Certificati di Credito Fiscale che gli autori propongono lo Stato italiano emetta, nella misura di un centinaio di miliardi il primo anno e di duecento miliardi l’anno successivo, sia appunto quella che vede in essi una forma di ‘denaro potenziale’. I CCF sono distribuiti gratuitamente a vari gruppi di popolazione, a cominciare dai disoccupati o dai giovani in cerca di prima occupazione, e a imprese che si impegnino ad assumere nuovo personale per realizzare (piccole ma numerose) opere pubbliche. Trascorsi due anni dall’emissione, i CCF possono essere utilizzati per pagare qualsiasi tipo di imposte o tasse dovute a stato, regioni o comuni. Ma sin dal momento della loro emissione essi possono essere venduti a terzi, utilizzati come mezzo di pagamento, versati a un creditore a titolo di collaterali e altro[4]. La loro convertibilità in denaro contante o moneta elettronica è istantanea”.
Il teatro dell’assurdo
La crisi globale che la pandemia ha generato, irrompe, come abbiamo avuto modo di dire, dalla base materiale dell’economia dentro lo sviluppo ipertrofico del sistema finanziario. Un esempio paradigmatico è l’altalena dei prezzi del petrolio, i cosiddetti futures, dove la riduzione drastica dei consumi si trasferisce dalla base materiale della produzione alla più astratta e volatile rappresentazione finanziaria della materia prima, ancor prima che un singolo barile si muova.
Il confronto tra saldo primario e costo degli interessi nel bilancio pubblico, l’arbitrarietà dei vincoli europei a debito pubblico e deficit – con le rispettive soglie del 60% e del 3% – il ruolo delle società di rating nel segnare i destini dei titoli di stato – i titoli italiani sono prossimi al livello ‘spazzatura’ – la creazione di mezzi di pagamento da parte del sistema bancario a livello globale, la gigantesca iniezione di capitali negli Usa ed in Germania, mentre altre economie sono prossime al default… ebbene questo elenco sommario illustra l’arbitrarietà del sistema economico in cui viviamo. In questo contesto la proposta della moneta fiscale e le iniziative che vi alludono, in particolare dentro questa crisi, hanno quanto meno il pregio di mettere in discussione la totale arbitrarietà del moloch finanziario che riproduce crescenti diseguaglianze e ci porta diritti verso la catastrofe ambientale ed ecologica, di cui la pandemia è parte.
[1] Il Public Sector Purchase Programme (PSPP, dal 9 marzo 2015), per l’acquisto di titoli emessi da governi, da agenzie pubbliche e istituzioni internazionali situate nell’area dell’euro.
[2] La corte tedesca si fa paladina dell’ortodossia liberista chiedendo che la BCE si occupi solo della stabilità dei prezzi e del valore dell’euro, insomma essa deve pensare all’inflazione e non a promuovere le politiche pubbliche di sostegno dell’economia.
[3] Il valore nozionale dei derivati in circolazione a livello mondiale potrebbe sfiorare la strabiliante cifra di 2,2 milioni di miliardi di euro, vale a dire 33 volte il Pil mondiale e quattro volte tanto quello che si pensava finora (Sole 24 ore 6 dicembre 2018 – Dati R&S – Mediobanca).
[4] Il risultato dell’operazione è che nell’economia verrebbero immessi a regime duecento miliardi di denaro potenziale che può diventare in breve denaro fresco, destinato non alla speculazione o ad accrescere l’accumulazione di patrimoni privati, bensì a sostenere in modo mirato e selettivo il soddisfacimento di quelli che Keynes chiamava “bisogni assoluti” da parte di strati di popolazione in difficoltà e di piccole imprese.