Il Bloco de Esquerda è la principale formazione della sinistra radicale portoghese. Dispone di 19 parlamentari su 230 a livello nazionale e di 2 europarlamentari. Aderisce al Gue/Ngl e al Partito della Sinistra Europea.
Nel corso degli ultimi anni ed in particolare dopo il 2015, quando la Grecia ha dovuto piegarsi ad un accordo con la trojka che confermava in gran parte le politiche di austerità, ha modificato la sua posizione nei confronti del processo di integrazione europea. All’inizio della crisi finanziaria del 2008-2009 si dichiarava un partito “europeista di sinistra”, il cui obbiettivo era la “rifondazione sociale e democratica dell’Europa”, come recitava la mozione approvata alla sesta convenzione nazionale. A distanza di dieci anni l’orientamento del Bloco non è più definibile negli stessi termini.
Intervenendo nel volume annuale di Transform! Europe del 2018, Marisa Matias e José Gusmao scrivevano: “È tempo che la sinistra europea comprenda quello che settori sempre maggiori della popolazione europea hanno capito: l’Unione Europea non cambierà”. Se il treno europeo sta spingendo i nostri paesi contro gli scogli, aggiungevano allora forse sarebbe meglio scendere per tempo.
Pur partendo da queste premesse, il Bloco è intervenuto nella crisi aperta dalla pandemia di Covid 19 con una proposta molto articolata e ben motivata che si muove dichiaratamente all’interno della struttura legale della UE. Questa proposta è rivolta in particolare alla costituzione di un Fondo di Recupero europeo che non si traduca nell’ennesima minaccia di imposizione di politiche di austerità. È una proposta che va valutata con attenzione perché in sintonia con quanto avanzato dal governo spagnolo ma anche con altre iniziative assunte dalle forze di sinistra radicale europea. Come ha dichiarato Catarina Martins, leader del Bloco, nell’intervista di lunedì scorso organizzata da Transform! Europe, senza un cambiamento radicale di politica la UE rischierebbe di non sopravvivere alla crisi.
Il documento del Bloco esamina innanzitutto la questione del Mes, inquadrandola in una critica complessiva delle misure finora assunte dall’Unione Europea come il Sure e l’intervento della BEI (Banca Europea di Investimento). Si tratta di meccanismi che impongono altri debiti agli Stati europei con il rischio concreto che si innesti un nuovo ciclo di indebitamento seguito da politiche di austerità.
Nello specifico del Mes si motivano le ragioni per le quali non è utile per il Portogallo ricorrervi. La proposta è stata scritta e pubblicata prima dell’ultima riunione dell’eurogruppo. Si scriveva allora nel documento del Bloco de Esquerda che il tasso d’interesse prevedibile per il finanziamento del Mes, lo 0,76%, sarebbe stato più alto di quello registrato nelle recenti emissioni del tesoro portoghese.
Ora l’effettivo tasso di interesse previsto per il Mes sarà più basso e quasi vicino allo zero. Anche in quel caso, scriveva la sinistra portoghese , le normali obbligazioni del tesoro verranno in misura sostanziale acquisite dalla BCE nell’ambito del suo programma di acquisti. Il 90% di quanto maturato con i tassi di interesse di queste obbligazioni, vengono poi girate dalla BCE alla Banca centrale portoghese e da questa allo Stato.
In sostanza non c’è convenienza economica e il reperimento di fondi direttamente sul mercato ha il duplice vantaggio di non avere alcuna restrizione quanto all’utilizzo e soprattutto di non causare alcun “danno reputazionale”. Il Ministero delle Finanze portoghese ha già assicurato che non ricorrerà al Mes.
Il Bloco segnala il pericolo che tutte le misure approvate dalla Commissione implichino l’imposizione di politiche di austerità in quanto le regole del Patto di Stabilità e Crescita sono state solo sospese non cancellate. L’obbiettivo deve essere quindi non solo la proroga della sospensione ma se possibile la revoca definitiva del Patto.
La proposta principale che avanza il Bloco riguarda il cosiddetto Recovery Fund, previsto dall’accordo dei governi dell’UE mail cui contenuto per ora è allo stadio di ipotesi. Fondamentali saranno le dimensioni del fondo, come sarà finanziato, come sarà distribuito e se avrà condizionalità associate.
Innanzitutto si chiede che siano sempre escluse qualsiasi condizionalità o memorandum di aggiustamento. È assurdo creare meccanismi finanziari che aiutano gli Stati se poi da questi derivano politiche recessive che prolungano la crisi.
Per quando riguarda la dimensione del Fondo, si propone di quantificarlo sulla base dell’obbiettivo di riportare il PIL complessivo europeo, nel 2021, al livello del 2019, incrementato del 3%. Quindi si può prevedere che sia necessario arrivare fino a 1.470 miliardi di euro pari a circa il 10% del PIL.
Il finanziamento del Fondo (che avrebbe esistenza solo per questa operazione) dovrebbe avvenire attraverso obbligazioni emesse dal Fondo stesso o dalla BEI. In entrambi i casi le obbligazioni dovranno essere interamente acquistate dalla BCE. I tassi di interesse saranno quasi a zero e la durata dovrà essere di 80 anni (il governo spagnolo aveva proposto la perpetuità). Questa lunga durata, ipotizzando una inflazione media dell’1,5% ,farà sì che alla fine il debito si sarà svalutato del 70%. Si avrà quindi una monetizzazione del debito non legalmente (perché è vietato dai Trattati europei) ma di fatto.
L’ammontare del Fondo andrà distribuito tra gli Stati membri secondo una formula di distribuzione associata al principio di coesione. Ogni Stato sarà responsabile della restituzione della propria quota e quindi non ci sarà trasferimento diretto o indiretto di fondi tra Stati.
Questi fondi produrranno comunque debito per gli Stati ma la sua natura (bassi tassi di interesse, tempi lunghissimi di scadenza, possesso da parte della BCE) farà si che non produrrà un aggravamento reale della situazione debitoria dei singoli Stati, potrà aiutare a ridurre gli spread rispetto alle obbligazioni tedesche e così via. Inoltre si chiede, per questi motivi, anche qualora restassero in vigore le norme del Piano si Stabilità che questa parte del debito non venga conteggiata ai fini del rispetto di quelle regole.
Come abbiamo richiamato in precedenti articoli, le forze di sinistra europee hanno avanzato proposte che vanno nella stessa direzione, impedire che il costo della crisi produca nuovi pesanti sacrifici per i ceti popolari, pur con meccanismi diversi. È evidente che qualsiasi proposta di carattere economico e monetario, per quanto tecnicamente fondata, non è sufficiente senza una corrispondente azione politica che si muova a tutti i livelli possibili e in modo coordinato. Catarina Martins ha proposto, con questo obbiettivo, una possibile alleanza degli stati periferici dell’Unione.