articoli

I “Barcones” colmi di indignazione e denuncia

di  
Associazione Madiba Sinnai

Da venerdì 3 luglio 2020 è nuovamente visitabile, a Sinnai, la mostra di pitture di Nico Orunesu “Barcones – viaggio nel profondo blu”.

Sinnai è un paese di quasi 20.000 abitanti parte della ”Città metropolitana” di Cagliari, e i quadri sono esposti in due sale al piano terra della Biblioteca Comunale. Si trovano in quelle sale dal 29 febbraio scorso e, dopo essere stati visitabili per una settimana o poco più, sono rimasti anche loro confinati in quelle sale per oltre tre mesi. Anche loro finiti in quello stato di “sospensione” in cui apparentemente erano finiti pure i barconi reali, i migranti e i fuggitivi da guerra e carestia. Sappiamo, e abbiamo sempre saputo, che in realtà non c’è stata alcuna sospensione, né delle migrazioni né, tantomeno, di guerra e carestia.

L’autore delle pitture confessava da subito la sua “impotenza di artista e testimone” di fronte al fenomeno migratorio, descrivendo il suo lavoro come “Tentativo nobile, quasi poetico e onirico, con esito vago e praticamente “inutile” quello dell’artista, nel suo obiettivo liberatorio, di riscatto, del destino dei migranti-naufraghi, per mezzo dell’opera pittorica… Musei e biblioteche sono da tempo colmi di quadri e volumi che non sono serviti né a riscattare né tantomeno a salvare i destini, sia dell’uomo in generale che quelli degli emarginati e dei discriminati di classe e di razza…”. i

Ugualmente vane, e sostanzialmente ipocrite, sono state le profusioni di buone intenzioni di cui, al culmine della pandemia, ci siamo riempiti la bocca tutti o quasi, con i “niente sarà come prima” e gli appelli autorevoli alla cessazione dei conflitti.

Così tutto riprende come e peggio di prima, con le paure decuplicate, e con l’immutata necessità morale della denuncia contenuta nelle opere di Orunesu.

Quando stava portando avanti il suo ciclo Barcones, Nico Orunesu pensò che l’uscita pubblica di queste opere non dovesse restare in ambito “prettamente artistico”, ma doveva avvenire fuori dai circuiti soliti delle esposizioni d’arte, dentro gli ambienti attigui all’oggetto che le aveva suggerite. Lo propose a noi, che da anni lavoriamo sulle tematiche delle migrazioni; e noi ne abbiamo parlato subito con gli organizzatori della rassegna ”Buon compleanno Faber-sulle rotte di Fabrizio de André”.ii che stava definendo l’ottava edizione del suo importante festival itinerante di spettacoli e incontri, dedicato quest’anno proprio a Carola Rackete e Lorenzo Orsetti, e a tutti i “troiani” di oggi costretti a fuggire dalla loro terra.

L’idea della mostra ha convinto tutti, e già da metà febbraio una parte delle opere è stata esposta per 10 giorni alla casa della Cultura di Monserrato, fulcro centrale di Buon Compleanno Faber, facendo da “quinta” e commento visivo ad alcuni degli eventi più significativi del festival, con la presenza di alcuni dei protagonisti diretti di quanto i quadri suggerivano e ricordavano, a cominciare dai capitani di alcune delle imbarcazioni ONG che operano nel Mediterraneo (Sea Watch, Mediterranea, Open Arms).

A marzo le opere, nella loro interezza, sono “approdate” a Sinnai, dove erano previsti altri incontri con testimoni d’eccezione, fra cui Padre Abba Mussie Zerai e Giovanni Maria Bellu. E dove, con la collaborazione dei Circoli didattici del comune, erano stati organizzati laboratori di disegno con gli alunni delle scuole elementari e medie, da tenersi davanti alle opere di Orunesu.

Poi, il 9 marzo, abbiamo invece dovuto chiudere quelle due sale, coi dipinti appesi dentro.

Sino ad ora, che riapriamo per tutto il mese di luglio, con le limitazioni imposte da questa fase ma con la riproposizione dei laboratori di disegno coi bambini, pur senza le scuole.

La mostra

La ventina di pitture di Nico Orunesu del ciclo Barcones sono nate dall’elaborazione (umana ed estetica) del forte impatto emotivo suscitato nell’artista dalla visione di una serie di foto molto conosciute, una in particolare, “Mare Nostrum”, realizzata dall’alto di un elicottero il 7 giugno 2014 dal fotografo Massimo Sestini, iii e uscita allora a commento di un reportage del giornalista Fabrizio Gatti per l’Espresso. La foto, che ritrae una barca stracolma di donne, uomini e bambini in mezzo al blu del Mediterraneo, che volgono lo sguardo verso l’obiettivo del fotografo, è diventata un’immagine simbolo della tragedia dell’immigrazione, conosciuta e premiata in tutto il mondo, in esposizione permanente al Mandela Forum di Firenze.

Questo lo spunto per il ”pittore” Orunesuiv, artista conosciuto come un pittore di “terra e di terre”, sin dai tempi delle sue pitture su juta (riutilizzando vecchi sacchi usati nel mondo agropastorale). La terra dei miti ancestrali e dell’immaginario che forma l’humus culturale di Orunesu, e quella agognata (“Queste pitture sono la memoria di una terra promessa”, scrive di lui Natalino Piras nel 2008); e quella persa, traditrice di sogni e speranze giovanili (“dei riferimenti alla civiltà pastorale e contadina qui se ne perdono quasi le tracce: di quel mondo rimane solo terra, pietra, cielo” scrive nel 2019 Giovanni Dettori, presentando il ciclo di dipinti Telos-Kampos-Kelos).

Ma l’immaginario di chi vive il proprio tempo è nutrito anche da suggestioni apparentemente lontane dal proprio substrato culturale; e indubbiamente Orunesu vive pienamente il proprio tempo, anche se la magia della sua pittura sembra portarci spesso in una dimensione atemporale, una pittura che si interroga su paure e speranze ancestrali.

Così la visione di una foto, di quelle macchie di colore, donne, uomini e bambini che coprono quasi completamente la barca che li trasporta attraverso il blu profondo del Mediterraneo, tutto questo spinge il pittore a confrontarsi con colori nuovi e istanze apparentemente lontane dalla terra d’origine. Scoprendo, e facendoci scoprire, che materiali e istanze non sono poi così lontane. Che la forza, i miti, i sogni di chi sale sopra una barca per attraversare un mare che forse mai ha visto prima d’allora, sono anche i nostri. E se non lo fossero, devono diventarlo. E se li abbiamo dimenticati o nascosti, dobbiamo ritirarli fuori. Ed è per questo che abbiamo un disperato bisogno di arte, di musica, di poesia. Per ricordarci che i vari strati culturali di cui siamo impregnati, in maniera conscia o meno, controversa e contraddittoria quanto vogliamo, sono ciò che fanno di noi quel che siamo. E sono ciò che possono fare di noi quel che vogliamo.

Nico Orunesu fa poesia e pittura, e lo fa con una solida formazione e conoscenza di quanto è stato fatto e detto sulla pittura e sulla poesia. Con un linguaggio inconfondibile e originale, con una tensione creativa che lo fa tornare alle sue tele e a suoi colori ad olio, qualsiasi cosa questo possa voler dire nei dibattiti attuali sull’arte figurativa, su cui non ci azzardiamo ad avventurarci.

Il ciclo “Barcones” ci aiuta a riflettere sul significato del vedere e dell’elaborare un dramma come quello delle persone che mettono in gioco tutto attraversando deserti, fiumi, mari, frontiere…

Ci aiuta a chiederci cosa vuol dire vedere, magari da un elicottero, o con la mediazione di uno schermo televisivo, comunque “venire a sapere”; e in quanto consapevoli essere comunque complici, diretti o indiretti, di quanto accade, anche per il solo fatto di godere dei privilegi che determinano tali drammi.

A chiederci cosa significa essere “testimoni”, anche quando testimoniamo con il nostro impegno ma ci sentiamo impotenti, non sufficienti.

Noi, noi che abbiamo voluto che questi dipinti venissero esposti per questa occasione, siamo però convinti che non sia vero che sia inutile, come rifletteva amaramente l’autore presentando il suo lavoro. Siamo convinti che un’opera d’arte lasci comunque una traccia. Magari, purtroppo, non utile nell’immediato a salvare alcuna vittima, alcun sommerso. Ma forse utile a far riflettere noi, ”carnefici” involontari e impotenti, a darci quei pugni nello stomaco necessari a combattere indifferenza e complicità. Senza assolverci perché ci emozioniamo davanti a un quadro o a una musica ma nella speranza che si possa ancora “restare, tornare a essere, umani”.

Orari e dettagli sulla pagina FB dell’Associazione Madiba Sinnai https://www.facebook.com/Madiba.sinnai

E dell’evento https://www.facebook.com/events/567967170560630/

In attesa di poter recuperare gli eventi previsti, e annullati, del festival diretto da Gerardo Ferrara.

NOTE

i Dalla presentazione della mostra

ii https://buoncompleannofaber.home.blog/

iii http://www.massimosestini.it/

iv http://www.sardegnacultura.it/j/v/253?s=25124&v=2&c=2678&c1=2818&visb=1&t=1

http://www.regione.sardegna.it/index.php?v=9&s=17&xsl=2435&ric=2&c1=orunesu&c=4461&ti=
migranti
Articolo precedente
Pie illusioni e socialismo scientifico
Articolo successivo
Le aziende di consegna dell’economia delle piattaforme tra mito e realtà

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Compila questo campo
Compila questo campo
Inserisci un indirizzo email valido.