di Andrea Allamprese e Enrico Sartor
- Amazon, Deliveroo, Uber e le altre: un modello basato sulla rendita finanziaria
In Gran Bretagna la devastazione della crisi economica e sociale causata dalla pandemia globale sta mettendo a nudo alcuni dei miti della destra economica e politica. Per esempio l’incompetenza del governo ultra liberista di Boris Johnson nel gestire la crisi (e la Brexit) – al di là dei toni retorici da fine impero e da carica della cavalleria leggera a Balaklava – appare sempre più evidente alla maggioranza degli elettori e delle elettrici britannici. Il rating di Boris Johnson è in continua discesa da aprile: secondo un’inchiesta pubblicata a metà giugno, il 76% degli intervistati pensa che la reazione del governo sia stata troppo lenta ed il 44% è direttamente critico verso l’azione di Bo Jo, contro solo il 37% a favore. Si tratta di un bilancio negativo del -7% (Redfield & Wilton Strategies).
Anche alcuni miti che hanno dominato il mercato finanziario negli ultimi anni vengono finalmente chiamati per quello che sono – come nella fiaba di Andersen I Vestiti Nuovi dell’Imperatore – un nulla incapace di coprire la cruda nudità della situazione reale. Uno di questi miti sostiene che il futuro dei servizi, soprattutto in aree molto inurbate, è rappresentato dalle start-up, società con un minimo di capitale investito ma con una forte struttura tecnologica e capacità innovative: si pensi ad Amazon, Uber o Deliveroo, quest’ultima con sede proprio in Gran Bretagna.
Secondo le parole dell’amministratore delegato e cofondatore di Deliveroo, il sig. Will Shu, riportate dal Financial Times, la ‘mission’ della società è quella di diventare l’impresa per eccellenza nel settore della distribuzione di cibo e della ristorazione. In realtà, agli inizi di aprile scorso, allorché ci si attendeva che il lockdown avrebbe favorito lo sviluppo di queste società di consegna a domicilio, il The Telegraph annunciava il taglio di 367 dei 2500 dipendenti Deliveroo e la collocazione in “cassa integrazione” di 50.
Le ragioni di questa crisi, di fatto iniziata prima del lockdown, vanno in gran parte ricercate nella realtà del modello di finanziamento di tali start-up; come scrive James Ball nel Guardian, esso si basa su una crescita sfrenata e incontrollata degli investimenti, del tutto indifferente alla sostenibilità (e persino alla profittabilità) dei danni sociali, in cambio della promessa che prima o dopo ci sarà un sostanziale profitto da dividere e che in ogni caso non c’e nessun rischio per i grandi investitori (le capital venture companies), dato che i costi di un eventuale fallimento verranno spostati sugli ultimi incauti azionisti (i piccoli risparmiatori).
I finanziamenti vengono rastrellati in buona parte attraverso IPOs, un meccanismo finanziario di offerta al pubblico di possibilità di investimento1. Il modello finanziario è quello di Amazon, che ha operato in perdita per i primi dieci anni, ma nel 2017 ha registrato un attivo netto di tre miliardi, più che triplicato nell’anno successivo.
L’esame dei numeri specifici danno l’idea di quanto sia surreale la gestione di queste società: Deliveroo nel 2018 ha visto una crescita dei guadagni pari al 72% (per un totale di 476 milioni di sterline di incassi) ed un aumento delle perdite del 16.6% (232 milioni). Nessun ristorante o impresa di distribuzione potrebbe sopravvivere con questi numeri, ma Deliveroo riesce a coprire le perdite rastrellando investimenti per 575 milioni di dollari in pochi mesi.
Se i grandi investitori sono i soli vincitori in questo tipo di operazioni finanziarie, i perdenti non sono solo gli imprenditori tradizionali dei settori coinvolti, quali negozianti, ristoratori, tassisti che non possono competere con un sistema che attira investimenti enormi pur lavorando in perdita, ma anche i consumatori stessi a cui viene venduta una narrativa vuota e fittizia. Per esempio, questi ultimi hanno l’illusione che attraverso Deliveroo o UberEat è possibile disporre in pochi minuti, restando comodamente sdraiati sul divano di casa, del cibo per avere il quale sarebbero necessari altrimenti un viaggio al centro di Londra, spese di trasporti o parcheggio, costi di coperti e bevande a prezzo di ristorante e magari disporre anche dell’extra bonus di poter scegliere con lo stesso ordine piatti diversi da più di un ristorante. In realtà abbiamo assistito, negli ultimi anni, alla proliferazione di containers adattati a cucine e installati in zone degradate della periferia londinese (dark kitchens – cucine oscure, come vengono chiamate), in cui cuochi pagati con il salario minimo scongelano e riscaldano specificamente per le consegne a nome di grandi società di food delivery i vari piatti simili a quelli che in teoria dovrebbero giungere dalle cucine di ristoranti del centro.
- Allergiche ai vincoli
Queste società della logistica distributiva, inoltre, sono allergiche a controlli o limitazioni.
Un’indagine attivata dalla Commissione antitrust britannica (CMA) sugli investimenti di Amazon in Deliveroo, in cui si esprimevano “serie preoccupazioni, basate su numerosi riscontri”, ha scatenato le ire degli investitori che hanno accusato la Commissione di creare un “precedente pericoloso” e di danneggiare la possibilità di scelta dei consumatori. Secondo Dominic Hallas, direttore esecutivo della Coalition for a Digital Economy, “[la CMA] deve comprendere che le imprese a crescita rapida non possono, nel contesto della concorrenza globale, premere il bottone stop per un anno”.
E così l’emergenza economica causata dalla pandemia globale è stata usata, nell’aprile scorso, come una giustificazione per autorizzare l’investimento di Amazon nella società Deliveroo. Con questa inversione di marcia, la CMA ha dimostrato al governo liberista di Johnson che è disponibile a non creare problemi per ragioni di principio, come nota il Financial Times. Si tratta di un segnale importante in vista dei piani governativi di rimuovere molti dei controlli posti dalla legislazione dell’Unione Europea una volta che la Brexit sarà completata all’inizio del prossimo anno.
Un altro esempio di come il basso tasso d’investimento in capitale fisso offra a Deliveroo la possibilità di muoversi agevolmente sul piano transnazionale e una libertà quasi assoluta dai vincoli delle procedure commerciali tradizionali è la decisione della società, nell’estate 2019, di sospendere ogni attività in Germania, ove era attiva una rete di 2000 ristoranti serviti e di 1100 ciclofattorini a partite iva; decisione comunicata ai lavoratori via e-mail con sole tre settimane di preavviso e senza addurre motivazioni.
Una volta acquisita una posizione dominante sul mercato, alcune società possono approfittare di un modello organizzativo basato su condizioni di lavoro al limite della legalità, evasione fiscale e contributiva, monopolio della pubblicità, finendo per imporre ad altri venditori (si pensi ad Amazon) l’uso della loro piattaforma on-line, in cambio di dividendi sostanziosi sulle vendite.
E quando le cose vanno male, o sono gli ultimi incauti piccoli azionisti a rimanere con il cerino in mano o è il governo nazionale a pagare il conto. Per esempio, come parte del pacchetto economico per fronteggiare la crisi da Covid-19, il governo conservatore britannico è andato in soccorso delle start-up con misure di politica economica volte ad incoraggiare prestiti bancari di sostegno, che dovrebbero ignorare la natura altamente speculativa degli investimenti in queste compagnie2. E’ una decisione di un’ipocrisia estrema che sdogana e offre aiuto a speculatori finanziari che per definizione dovevano essere coscienti della grossa possibilità di perdere i loro investimenti, in cambio della evenienza di profitti considerevoli. E’ un po’ come usare il denaro pubblico per finanziare le perdite dei giocatori al tavolo della roulette.
Il soccorso del governo di Boris Johnson non è tuttavia in grado di supplire all’estrema fragilità del sistema. Un consulente finanziario, Adam DeWitt, ha definito una “falsa illusione” l’idea che un aumento esponenziale del volume di servizi ridurrà i costi logistici delle operazioni di Amazon, Uber e Deliveroo. Per attirare fondi questo modello deve operare in uno stato di continuo ottimismo da Mondo Nuovo huxleyiano.
La fragilità di questa narrativa iper-ottimistisca era già stata evidenziata dal deteriorarsi della situazione economica nel 2019, ancor prima della pandemia globale, ed aveva già messo sotto pressione sia Deliveroo, sia Uber Eat sotto il profilo della redditività. L’arrivo della più catastrofica crisi economica in tempo di pace ha svelato la nudità di un sistema coperto dai vestiti inesistenti di una pretesa maestria di innovazione tecnologica e scaltrezza finanziaria.
Sfortunatamente anche in questa crisi manca, in Gran Bretagna, una risposta di opposizione radicale capace di proporre nuovi scenari. Il nuovo leader del Labour Keir Starmer pare pensare ad altro. Da un lato, continua nel suo impegno di smantellamento sistematico di quanto permane della sinistra “corbynista” all’interno del partito: si pensi alla recente nomina di David Evans a segretario generale al posto di Jennie Formby, con il candidato di sinistra Byron Taylor sconfitto di misura; oppure al recente licenziamento di Rebecca Long-Bayley, candidata corbinista alla leadership laburista, dal “governo ombra” in cui era stata originariamente inclusa. Dall’altro lato, Starmer pare intenzionato a dare manforte al governo conservatore nel criticare il crescente movimento antirazzista – che ha mobilitato decine di migliaia di dimostranti a maggio e giugno – per aver demolito a Bristol una statua dedicata a Edward Colston, uno dei tanti capitani d’industria britannici che hanno fatto i soldi col traffico di schiavi.
- Dalla Gran Bretagna all’Italia. Il caso Uber Italy
Anche in Italia gli articoli che la stampa filo-imprenditoriale ha dedicato alla società Deliveroo nel 2019 parlavano ottimisticamente di una inarrestabile ascesa. Ad esempio, sulle pagine del Sole 24ore si legge che “gli affari in Italia marciano a ritmo sostenuto […] il consuntivo del 2019 vede un aumento degli ordini del 100%, con la copertura di 154 città, […] un aumento del 354% [rispetto alla copertura dell’anno precedente]”.
Ebbene questa narrativa ottimistica deve fare i conti, anche nel belpaese, con una realtà assai problematica. Una vicenda importante sia per le sue dimensioni, sia per le questioni che solleva in un settore come quello della logistica distributiva da cui emerge una condizione lavorativa molto ricattata e pesantemente precaria (al limite dello “schiavismo”), su cui da tempo i sindacati (confederali ed informali organizzati su base cittadina3) hanno avviato un intervento sul piano contrattuale e giudiziale, è quella che ha coinvolto Uber Italy s.r.l. a Milano.
La Procura locale ha dato notizia dell’apertura di una inchiesta giudiziaria nei confronti della società. A fronte degli accertamenti finora prodotti, ha chiesto al Tribunale di Milano, Sezione Autonoma Misure di Prevenzione, di applicare a Uber Italy l’art. 34 del Codice Antimafia che prevede l’amministrazione giudiziaria. Il Tribunale ha accolto la richiesta dei PM che seguono l’indagine, nominando un amministratore giudiziario. Il decreto n. 9 del 27 maggio 2020, col quale la società Uber Italy è stata collocata in amministrazione giudiziaria, mette a nudo una situazione lavorativa dei ciclofattorini (c.d. riders) pesantemente precaria e ricattata, insieme a un quadro giudiziario che potrebbe riguardare non solo la realtà milanese ma anche le realtà di Torino, Bologna, Firenze, Roma e oltre.
Come ci insegna la Corte Europea dei Diritti Umani, la “schiavitù” ha molte sfumature. Il tema del lavoro schiavistico (in Europa e in tutta Italia) dai riders ai braccianti agricoli, passando per i settori della ristorazione, del commercio ecc., è di triste attualità anche nel periodo di attenzione sanitaria che stiamo attraversando, che, oltre ad incidere sulla tutela della dignità e della salute (in senso ampio) dei lavoratori, incide negativamente anche sul principio democratico e sulla consapevole partecipazione dei lavoratori alla vita della Repubblica.
Al di fuori di vere e proprie forme di lavoro “schiavistico”, va detto che in Italia la stragrande maggioranza delle relazioni di lavoro dei riders è stata dai giudici ricondottaalle collaborazioni organizzate dal committente (cui si applica la disciplina di tutela lavoristica), quando non direttamente all’area della subordinazione. Durante i mesi scorsi, i riders hanno intentato causa alle aziende committenti per vedersi riconosciuti il diritto alla fornitura da parte di queste dei dispositivi di protezione individuale necessari a fronteggiare i rischi di contagio. E i Tribunali hanno finora sempre ritenuto sussistente il diritto all’integrale applicazione del testo unico sulla salute e sicurezza sul lavoro (d.lgs. 81/2008)4.
In allegato l’ordinanza del Tribunale di Milano Uber Eats
1 Secondo dati riportati dal Sole 24 Ore, negli ultimi 29 anni le IPO hanno generato profitti medi del 23,2% dopo un solo anno dall’emissione dei titoli azionari.
2 Financial Times, edizione 14 aprile 2020.
3 M. Marrone, Rights against the machines! Food delivery, piattaforme digitali e sindacalismo informale, in Labour & Law Issues, n. 1, 2019, I.1; disponibile qui: https://labourlaw.unibo.it/article/view/9602.
4 Vedi, ad esempio, Tribunale Firenze, ord. 5 maggio 2020 (controversia tra rider e Just eat); Tribunale Bologna, ord. 1° luglio 2020 (controversia tra rider e Deliveroo).