Il 21 luglio è morta a 73 anni Bianca Pomeranzi. Riprendiamo da enciclopediadelledonne.it la “voce” a lei dedicata –
Tutto iniziò nel dicembre del 1973, quando una donna sportiva depositò sul tavolino di una parrucchiera di provincia il primo numero di “effe” (…). Quella donna, che poi era Edda Billi, mi divertiva perché parlava di sessualità. (…) Da allora l’unico disegno della mia vita fu di venire a Roma e frequentare Pompeo Magno…
È un colpo di fulmine quello che segna la vita della giovane Bianca. Nata e cresciuta ad Arezzo, figlia unica – papà Evandro giornalista sportivo, mamma Marisa Rondini insegnante – seria educazione cattolica, liceo classico e poi Lettere e Filosofia a Firenze dove si laurea con una tesi a tema storico e non manca le manifestazioni studentesche, mentre i primi palpiti del cuore si indirizzano senza tentennamenti verso le donne… Ed eccola buttarsi nella mischia del femminismo romano a 26 anni “per fare quella urgentissima rivoluzione di cui tanto parlavo”. E la molla è, da subito, il lesbismo, che vive in modo potente ma semiclandestino nei collettivi. Ma Bianca non ci sta e fa uno dei primi coming out a memoria di donna: In un’assemblea cittadina inizia il suo intervento dicendo: “Sono lesbica e di provincia”, e poi si stupisce dei momenti di totale silenzio collettivo che accolgono la dichiarazione.
I suoi primi cinque anni di militanza – intensa, totalizzante, ficcante – si giocano in questo intreccio: partecipare fino in fondo, senza filtri, all’onda enorme del movimento e contemporaneamente non rassegnarsi al silenzio, complice ma penalizzante, che soffoca le donne lesbiche.
Partecipa, il 2 ottobre 1976, alla prima notte di occupazione del palazzo di via del Governo Vecchio a Roma, promossa dall’MLD1. È tra le organizzatrici della manifestazione contro la violenza maschile “Riprendiamoci la notte” (27 novembre 1976), e sfila con una bandana di seta con la scritta “Flying Lesbians”. Ospita con le sue compagne di casa Claudia Caputi, giovane ragazza oggetto di violenza di gruppo e – scrivevano i giornali – avviata alla prostituzione, e dà impulso all’ampia mobilitazione del movimento romano per lei. Partecipa al primo gruppo di autocoscienza lesbica di Pompeo Magno, voluto da Rina Macrelli). È tra le autrici del numero 4 della rivista Differenze curato da Pompeo Magno e dedicato alla sessualità. Sostiene con Pompeo Magno la partecipazione dei collettivi femministi alle manifestazioni per la legge sull’aborto e, dopo il caso Moro, sulla violenza politica e il separatismo.
Il 1981 è l’anno cruciale di quella “emersione imprevista” che vede le lesbiche prendere definitivamente la parola e il Convegno del 26, 27 e 28 dicembre al Governo Vecchio si può guardare come la tappa miliare di tutto il processo. Bianca, tra le organizzatrici più attive, introduce i lavori della prima giornata coordinati dal gruppo sulla sessualità da lei promosso. Il suo giudizio complessivo sul Convegno è netto: si tratta di “una svolta decisiva all’interno del movimento delle donne”: “la nascita del movimento lesbico-femminista”.
Da qui in poi percorrerà la strada di una politica lesbica non autosufficiente e di un femminismo che vuole incidere nel dibattito pubblico mantenendo sempre ferma la propria assoluta autonomia, un femminismo che non si accontenta del solo piano simbolico e che punta alla dimensione transnazionale. Nel 1983, per esempio, mentre la politica della differenza promossa dalla Libreria delle Donne di Milano terremotava il femminismo italiano, con Michi Staderini e Cloti Ricciardi Bianca prova a organizzare (senza grande successo) un’assemblea sul progetto di un partito autonomo delle donne. Nel 1986, l’anno che vede l’incontro tra femminismo della differenza e donne del Pci nel percorso della Carta delle donne, viene coinvolta in un nuovo progetto: il gruppo Onda (Organizzazione Nazionale Donne per l’Autonomia).
E qui entra in gioco il secondo, precoce, colpo di fulmine che incide in modo irrevocabile sulla vita di Bianca, mischiando con una modalità bellissima professione e militanza. È un giorno di marzo del 1979 e Kate Millett – dopo una settimana in Iran da cui è stata espulsa con l’accusa di attività controrivoluzionaria – tiene una conferenza stampa a Roma (al Governo Vecchio, organizzata da Pompeo Magno) per denunciare il clamoroso restringimento delle libertà femminili imposto nel giro di pochi giorni dal governo provvisorio khomeinista. “Ho pensato molto a quell’episodio negli ultimi anni. L’incontro con la Millett, infatti, per quanto breve e tumultuoso, aprì uno squarcio nella mia immaginazione”, racconta Bianca. I dubbi su come la femminista statunitense annulla la complessità delle differenze culturali che la distanziano dalle iraniane contano tantissimo per Bianca: la femminista statunitense sembra non cogliere le differenze culturali che la distanziano dalle iraniane e questo a Pompeo Magno suscita grossi dubbi.
“Sono stati proprio quei dubbi, (…) di cui discutemmo molto nel collettivo, (…) che mi condussero verso il lavoro complicato e affascinante della cooperazione internazionale, verso le conferenze delle Nazioni Unite e gli incontri femministi transnazionali. (…) All’inizio (…) non si trattava di sfornare teorie, ma di conoscersi per capire se fosse possibile, rafforzandosi nel conflitto contro le varie forme di patriarcato, mantenere vivo il dialogo tra donne. Il punto dirimente era la possibilità di trovare “corrispondenze” tra donne di mondi, allora, molto lontani. Per farlo, tuttavia, occorreva impegnarsi a tradurre in realtà quello che l’immaginazione suggeriva”.
Eccolo qua, l’intreccio che permea l’esistenza e il lavoro di Bianca. La quale subito propone alle compagne di Pompeo Magno di fondare una Associazione internazionale di donne per il separatismo (Aidos), non trova immediato riscontro, non si scoraggia (“cercai altrove le compagne femministe interessate a quella pratica”) e strada facendo incontra pure l’amore della sua vita: come lei stessa racconta, “con Daniela Colombo usammo il nome Aidos per l’Associazione italiana di donne per lo sviluppo che fu fondata nel 1981, ma cosa forse più importante, da allora vivo una intensa relazione con Maria Rosa Cutrufelli con cui ho condiviso il percorso femminista transnazionale”.
Bianca va alla Conferenza Onu sulle donne di Nairobi (ne scrive sul quotidiano Reporter) e firma ricerche per diversi committenti, dalla Fao alla Ue, sulla condizione delle donne in diversi paesi del Sud del mondo. Con Aidos contribuisce alla stesura della nuova legge sulla cooperazione internazionale, conquistando l’istituzione di “un ufficio di studio e proposta per la promozione del ruolo della donna nei Paesi in via di sviluppo” (art. 10) in seno alla nascente Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo del Ministero degli Esteri.
Poi vince il relativo concorso e assume il ruolo di esperta presso la stessa Direzione. La sua lunga battaglia sarà quella di assumere le relazioni tra donne e uomini come perno di nuove politiche di sviluppo e nuovi assetti sociali. Il rapporto e l’elaborazione con le compagne femministe accompagneranno sempre il suo lavoro istituzionale.
Tra il 1992 e il 1996 suoi articoli su temi internazionali firmati Eva Rondini escono su noidonne. Progetta con Paola Melchiori, Antonella Picchio, Raffaella Lamberti, Luisa Morgantini, Gabriella Rossetti, Alessandra Mecozzi e altre la Rete VADO/WAVE (Visioni Alternative di Donne Ovunque/Women Alternative Visions Everywhwere), che, fedele al suo nome, agli inizi degli anni Novanta cerca di mettere in comunicazione a livello globale diversi punti di vista femministi. Nel 1995, con le altre della Rete organizza vari seminari in giro per l’Italia per preparare la Conferenza mondiale delle Donne di Pechino, che si caratterizzerà per la grande trasversalità tra funzionarie pubbliche e militanti.
A Pechino è advisor della composita delegazione italiana e svolge un grande lavoro di coordinamento e di presenza ai colloqui internazionali, in particolare collaborando attivamente alla stesura del documento finale, come sottolineò anche Natalia Aspesi su La Repubblica. Dopo Pechino l’Italia si impegna finalmente in attività internazionali direttamente dedicate ai diritti delle donne e Bianca, in collaborazione con il neonato Ministero per le Pari Opportunità, segue programmi specifici (nei Balcani, in Palestina, in Africa Sahariana e Subsahariana).
Quando scoppia la guerra del Kosovo, con Maria Luisa Boccia, Manuela Fraire, Maria Rosa Cutrufelli, Tamar Pitch, Laura Gallucci, Hela Mascia, Paola Masi, Gabriella Bonacchi e altre femministe storiche, dà vita al gruppo Balena, per opporsi alla guerra e alla missione Arcobaleno varata dal governo italiano di centrosinistra.
Con l’affermarsi del modello neoliberale di governance della globalizzazione propugnato da Clinton e Blair, in sede Onu c’è sempre meno spazio per le proposte dei movimenti femministi transnazionali che nelle Conferenze sulle donne avevano immaginato un welfare globale.
Bianca negli anni Duemila si interroga molto sul disegno stesso delle politiche di cooperazione che, nel contesto della globalizzazione finanziaria e della guerra al terrorismo, rischiano paradossalmente di avere conseguenze negative sulla vita delle popolazioni, e in particolare delle donne.
Ma una come lei non getta la spugna. Con alcune delle compagne di Balena partecipa attivamente per un paio d’anni alla Rete femminista del Partito della Sinistra Europea e pubblica interventi su Liberazione.
Al declino di quell’esperimento, con Fulvia Bandoli, Letizia Paolozzi, Maria Luisa Boccia, Elettra Deiana, Laura Gallucci, Bia Sarasini, Rosetta Stella, Isabella Peretti e Stefania Vulterini dà vita al Gruppo delle femministe del mercoledì che dal 2008 in poi interviene su temi cruciali del dibattito pubblico con numerosi documenti e approfondimenti.
Nel 2010 e 2011 è direttrice dell’Ufficio di Dakar della Cooperazione Italiana per il Senegal e l’Africa Orientale.
A giugno 2012 arriva il traguardo professionale più importante: Bianca è candidata su proposta italiana al Comitato per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne (CEDAW) delle Nazioni Unite. È la prima tra elette ed eletti, con 132 voti, in una votazione che vede 25 candidature internazionali per gli 11 seggi disponibili: un successo, italiano e suo personale, che riconosce un impegno ultraventennale. Ricopre il ruolo dal 2013 al 2016, occupandosi soprattutto della coerenza tra i principi della CEDAW e gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile per l’Agenda del 2030 (varati dalle Nazioni Unite nel 2015), grazie alla sua conoscenza dei movimenti femministi e femminili del Nord e del Sud del mondo.
Partecipa alla fondazione della Global Mae, rete Lgbti dei dipendenti del Ministero degli Esteri.
Concluso il suo ruolo all’interno della Direzione generale per la Cooperazione allo sviluppo, dal 2017 ha svolto una intensa attività di consulenza e docenza su politiche di genere e eliminazione delle discriminazioni contro le donne per università e istituzioni nazionali e internazionali.
Ha fatto parte del consiglio di amministrazione dell’organizzazione non governativa Oxfam.
È morta a Roma il 21 luglio 2023, dopo una malattia vissuta continuando ad amare la vita fino alla fine.
A me sembra che il nucleo del suo lascito, prezioso per tante, si possa trovare nel breve bilancio che ha scritto per il primo dei Quaderni del Centro di documentazione Alma Sabatini nel 2021:
A distanza di molti decenni, dopo aver attraversato momenti esaltanti e cocenti delusioni e dopo aver vissuto in prima persona gli incontri e gli scontri femministi in varie parti del mondo, mi sono resa conto che solo l’ingenuità, la curiosità e l’energia di quegli anni potevano sospingermi verso il “vaso di pandora” dell’attivismo femminista transnazionale e delle sue sfide all’egemonia patriarcale e all’affermazione della globalizzazione neoliberale. (…) Penso sarebbe necessario interrogarsi sulle forme che ha assunto oggi la radicalità femminista e sulla sua efficacia per una trasformazione di portata globale. (…) La radicalità femminista è nel modo in cui ci si apre al mondo, al vivente in tutta la sua diversità…
- Movimento di Liberazione della Donna.[↩]