La relazione introduttiva di Sergio Bellucci al convegno ‘La transizione come variante’ tenuto alle Frattocchie il 3-4 settembre1, si compone essenzialmente di due parti, una analisi sintetica delle condizioni che giustificano un discorso oggi sulla ‘transizione’ – che occupa gran parte della relazione- ed una proposta organizzativa per la creazione di una rete. Lo scopo dell’intervento appare in modo evidente quello di motivare la proposta organizzativa benché quest’ultima sia espressa in modo più che sintetico. Anticipiamo subito una valutazione secondo la quale la parte analitica della relazione è schiacciata dai tempi dell’intervento e piegata alla necessità di motivare la parte propositiva la quale a sua volta è eccessivamente schematica rispetto al senso ed all’orizzonte della proposta, lo sviluppo probabilmente era affidato al dibattito2, che non sembra aver soddisfatto alle aspettative, come era lecito aspettarsi. Nella conferenza online di bilancio del convegno si è confermato l’obiettivo di dare una forma politica determinata, uno sbocco organizzativo al processo di confronto politico che ha portato al convegno, il cui riferimento è quello della rete, sia nel senso del rapporto tra i soggetti che compongono l’organizzazione che in riferimento al dispositivo utilizzato per sorreggere l’organizzazione vale a dire le piattaforme digitali.
Come dice Fabio del Papa, nella sua relazione ‘La Transizione – Il modello organizzativo’3, “L’occasione che si presenta è allora quella di utilizzare le tecnologie digitali per costruire nuove forme di partecipazione democratica.” Una relazione che tematizza, anche in riferimento alle esperienze sviluppate sino a oggi, l’uso delle piattaforme digitali dalla conduzione delle campagne di mobilitazione sino alla creazione di nuove forme di organizzazione politica centrate su di esse. La stessa relazione lascia del tutto aperta la definizione degli sbocchi possibili, anche a fronte degli esiti controversi delle esperienze passate (vedi movimento 5 stelle), prende atto della crisi delle forme di rappresentanza e partecipazione democratica esistenti, fondate sul sistema dei partiti ed evidenzia come “Oltre alla “agilità” e alla leggerezza dell’apparato interno i partiti costruiti intorno alla rete, contrariamente a quelli novecenteschi, sono “aperti” nel senso che operano in stretta connessione con i movimenti sociali o con quelli di opinione”.
Sia il confronto interno al convegno che quello di bilancio ha lasciato aperto -a parere di chi scrive- anche nelle parole conclusive di Sergio Bellucci, il quesito attorno alla forma politica determinata che dovrebbe assumere una organizzazione politica costruita attorno all’obiettivo di intervenire almeno sul alcuni passaggi cruciali -nel nostro paese e non solo-di ciò che caratterizza la nostra epoca, la transizione ovvero una trasformazione radicale nei rapporti sociali di produzione che non lascia immutata alcun aspetto, micro o macro che sia, della riproduzione sociale. D’altra parte se parlare di ‘Transizione’ significa parlare della totalità di ciò che accade alla nostra specie ed al nostro mondo, ci troviamo a manipolare e a cercare di definire come un oggetto -o meglio un iperoggetto- un processo complesso, un insieme di processi correlati tra loro, che contiene l’attività di qualsivoglia soggetto, da cui il processo può essere influenzato, ma certo non governato.
A fronte di una sfida di questa qualità e dimensione, la qualità e la dimensione della soggettività politica necessaria ad affrontarla fa tremare le vene ai polsi di chiunque e qualunque soggetto politico e impone un buon senso della misura. Certamente le forme della politica -nella sua accezione più ampia e diversificata- non possono essere quelle del passato, la rete come metafora e costellazione di pratiche e modelli è il riferimento su cui si converge, con le più diverse commistioni di configurazioni e livelli; tuttavia sulla base anche delle esperienze dei movimenti di questo inizio di secolo, sballottati e disarticolati dalle acque tempestose della transizione in corso, dobbiamo essere consapevoli che ci tocca un lavoro istruttorio di lungo periodo e straordinaria difficoltà, che fa rima con umiltà.
Sull’analisi specifica del tema gigantesco della transizione, che Sergio Bellucci è stato costretto a contenere nelle poche pagine della sua relazione, vale la pena di fare alcune osservazioni che sono poco più di alcuni appunti sparsi mentre è chiaro il nostro impegno a confrontarci e ad approfondire sulla grande trasformazione che stiamo vivendo, come peraltro stiamo facendo un articolo dopo l’altro.
Il senso dell’analisi di quanto scritto da Sergio Bellucci è forse riassunto nella seguente frase “Dobbiamo e possiamo farci società oltre il modo di produzione del valore imperante. Le tecnologie aprono questa possibilità diretta.”
La proposta è la seguente “Abbiamo bisogno di una “estrazione di intelligenza organizzativa” che parta dalle nuove forme dischiuse dalla potenza tecnologica e che sappia costruire connessioni politiche ai molti “fare” già presenti nei corpi sociali, nelle esperienze concrete dei territori. (…) Per far questo vi proponiamo la costruzione di una forma organizzativa a rete delle organizzazioni e delle persone che si predispongono a questo lavoro politico di nuova qualità. Una forma ibrida, basata su la cooperazione che le tecnologie digitali consentono, anche in forma deliberativa, ma anche la nascita di strutture “umane” che coordinino il lavoro.”
L’analisi tocca le problematiche, legate in sintesi alla trasformazione in corso nella formazione sociale globale, trainata dalla dall’innovazione tecnologica nell’orizzonte della catastrofe climatica prossima ventura, su cui stiamo riflettendo sulle pagine di questa rivista dallo scorso anno, a cominciare dall’articolo ‘Beni comuni, mercati e politiche pubbliche’4 che commentava e prendeva spunto dal documento di Marco Berlinguer “Experiments at the Frontier of Technological Revolution. Commons, Markets and Public Policy. Free and Open Source Software as a Laboratory for the Information Paradigm’5. L’articolo rendeva conto in modo molto parziale della complessità delle argomentazioni di Marco Berlinguer, che merita di essere riletto con attenzione; la sua analisi svolta sul ruolo del ‘software libero e open source’ (acronimo inglese FOSS free and open source software) nello sviluppo capitalistico fornisce spunti utili ed interessanti connessi alla riflessione che Sergio Bellucci propone.
Vale la pena riprendere alcune citazioni, nella traduzione della redazione del documento originale di Marco Berlinguer.
“Il software libero e open source è diventato il protagonista principale della gigantesca trasformazione che sta rimodellando le nostre società attraverso la diffusione e la penetrazione delle tecnologie digitali. Il software open source è diventato il nuovo standard nello sviluppo del software, vale a dire nell’industria centrale del nuovo paradigma digitale. È diventata la base centrale per la concorrenza capitalista alle frontiere dell’innovazione. Ma è anche un mondo in cui le collaborazioni tra migliaia di aziende si stanno sviluppando in modi nuovi e su una scala senza precedenti”.
“FOSS rimane la più potente manifestazione di ciò che Elinor Ostrom, negli ultimi anni della sua vita, ha chiamato i “nuovi beni comuni” (Hess e Ostrom 2007), a volte chiamati anche beni comuni digitali, dell’informazione o della conoscenza.(…) FOSS è il progetto di questi nuovi beni comuni e nulla testimonia meglio come nuovi tipi di beni comuni avranno un ruolo centrale nel futuro delle economie e delle società dell’informazione e delle reti. Tuttavia la sua evoluzione testimonia anche come la riscoperta e l’uso strategico di questi nuovi beni comuni possano assumere forme diverse e contraddittorie”.
“In questo senso, FOSS e il sistema operativo Linux in particolare, che erano stati spesso celebrati per la democratizzazione che avrebbero dovuto portare alla produzione di software e ad un livello cruciale di innovazione tecnologica, hanno fornito una potente base per ciò che è oggi considerata ‘industrializzazione’ e ‘platformizzazione’ di Internet – caratteristiche chiave della sua attuale architettura estremamente concentrata. Questa evoluzione indica un paradosso che viene spesso trascurato: il modello FOSS di accesso aperto non ha impedito, ma piuttosto ha permesso, lo sfruttamento diseguale e l’appropriazione del suo valore comune, e quindi ha permesso al suo sviluppo di seguire tali asimmetrie”.
Nel suo excursus Berlinguer dedica un capitolo alle politiche pubbliche nelle quali si riscontra l’assenza di un indirizzo strategico, in particolare in Italia, da parte delle pubbliche amministrazioni nonostante una certa crescita nell’adozione di software libero.
Quello per il software libero è stato il movimento più importante per la condivisione della conoscenza, per lo sviluppo di una logica cooperativa ed il libero accesso ai prodotti della ricerca sviluppato all’interno del processo di innovazione tecnologica fondata sul digitale degli ultimi 30 anni. Costituisce la punta di diamante nel movimento per il libero accesso -Open Access- ad ogni forma di conoscenza. La crescita esponenziale nella produzione dei dati ha dato origine al movimento per gli Open Data che ha spinto verso una legislazione che garantisca il libero accesso ai prodotti dall’amministrazione pubblica, l’esempio più importante, che ha anticipato provvedimenti più o meno efficaci in altri paesi, compresa l’Italia, è il Freedom of Information Act (FOIA) emesso dalla amministrazione Obama nel dicembre 20056 e riformato ulteriormente nel 20167.
In Italia il movimento per gli Open Data ha trovato la sua espressione ed organizzazione nella mailing list ‘Spaghetti open data’, visionando la mailing list si ha la rappresentazione della drastica riduzione di attività di questa rete, che corrisponde alla perdita di parola di questo movimento in generale; oggi più che di open Data si parla diffusamente e quotidianamente di Big Data ovvero del dominio algoritmico delle Big Tech sullo sviluppo delle tecnologie digitali che pervade ogni livello delle relazioni sociali, estraendo valore dalla digitalizzazione di queste e relazioni, realizzando una reale economia digitale delle relazioni, rendendo sempre più evidente il paradosso segnalato da Berlinguer. Il movimento che affermava la conoscenza come bene comune non esclusiva e non rivale -che anzi nella condivisione si riproduce in modo allargato- si è scontrato con la capacità di appropriarsene da parte delle Big Tech del digitale. Il livello di appropriazione e penetrazione nel processo di riproduzione complessivo della formazione sociale è tale da creare una contraddizione con le diverse forme di governo e di organizzazione politica degli stati ognuno dei quali tenta in vario modo di governare, senza per questo rimuovere il conflitto anzi rilanciando la contraddizione.
La riflessione sui beni comuni, nelle diverse accezioni, sul ruolo delle politiche pubbliche, è stato un contenuto fondamentale dei movimenti di critica alla globalizzazione neo-liberista, alla finanziarizzazione dell’economia che ha preso la forma attuale con la sua digitalizzazione. Il movimento dei Social Forum nella sua composizione, nella sua prassi ha messo in relazione, come mai prima, il livello locale con il livello globale, l’espressione delle culture, l’autodeterminazione delle comunità e dei territori, la complessità dei movimenti con lo sviluppo globale delle contraddizioni, dalla finanziarizzazione dell’economia sino alle catastrofi ecologiche e climatiche. Ogni movimento che cerchi realizzare una qualsiasi forma di autodeterminazione delle relazioni sociali, che si possano definire in una certa misura liberate, non sopravvive senza una connessione globale con altre esperienze; purtroppo il quadro che il nuovo secolo ci offre è quello di un arretramento, di una dispersione della rete globale dei movimenti che si sono sviluppati a cavallo dei due secoli. Ciò non toglie movimenti sociali e politici, forme di organizzazione e conflitto si siano riprodotti, sino ai Fridays For Future prima dell’entrata in scena della pandemia, ma tutto è stato costantemente rimesso in discussione; siamo ben lontani da forme durevoli di autodeterminazione. Il contesto globale è caratterizzato invece dagli scontri di potere, lo scontro tra le ‘potenze’ sia a livello geopolitico – soprattutto tra Usa e Cina ed in seconda posizione Russia, Unione Europea- che all’interno delle formazioni sociali tra gli oligopoli tecnologico-finanziari e gli stati.
Siamo in presenza del procedere contraddittorio di una ‘rivoluzione dall’alto’ che l’esplosione della pandemia da Sars-Cov-2 ha ulteriormente articolato, saldandosi nel suo procedere e nei suoi effetti alle contraddizioni della formazione sociale di cui è a tutti gli effetti figlia legittima. Rispetto al rapporto tra locale e globale, alle potenzialità dei processi di autodeterminazione, il baricentro della situazione appare spostato verso l’alto, verso le strategie di contenimento della pandemia da parte degli stati, la concentrazione delle risorse verso Big Pharma per la produzione dei vaccini, nella disarticolazione delle reti logistiche e di produzione causata dall’altalena dell’andamento pandemico con le conseguenti fiammate inflazionistiche. Un contesto, un procedere che aumenta le diseguaglianze a partire dalla diseguale- è un eufemismo- distribuzione dei vaccini a livello globale. La nostra veloce analisi ci ha portato a descrivere il procedere di una rivoluzione dall’alto di cui in altri articoli abbiamo evidenziato l’estrema irrazionalità, in palese contrasto con lo sviluppo straordinario di tecnologie ‘intelligenti’ nel trattare moli crescenti di informazioni, big data, acquisiti tramite una rete – delle cose e delle persone- sempre più fitta di sensori fisici, sociali, relazionali, dove le cose, gli oggetti, i dispositivi diventano sempre più capaci di acquisire ed elaborare informazioni mentre le persone ne diventano sempre più dipendenti senza acquisire -nella maggioranza dei casi- una maggiore autonomia e controllo sulle proprie vite. Il massimo dell’irrazionalità, con la più classica contraddizione generata dal primato del profitto, si manifesta nell’aver lasciato gran parte dell’umanità in balia della pandemia, terreno fertile per lo sviluppo di varianti che potrebbero superare la barriera dei vaccini prodotti sino ad ora.
Nella sua introduzione Bellucci si rifà alla possibilità di una prassi ‘copia incolla’ per la diffusione delle tecnologie, portando l’esempio della produzione dei respiratori ‘incollandone’ il modello originale sulle stampanti 3D. Un bell’esempio, che dimostra i benefici effetti della condivisione delle conoscenze, che contrasta drammaticamente con la vicenda dei vaccini, ma anche con limitata disponibilità di tecnologie, nel caso precedente le stampanti 3D. Le aspettative alimentate dalle possibilità pressoché illimitate di condivisione delle conoscenze si sono infrante di fronte agli sviluppi concreti delle strutture di controllo sull’accesso, la produzione e la distribuzione delle informazioni ed hanno intrapreso un percorso molto più complicato entro cui oggi noi tutti ci troviamo e con cui dobbiamo fare i conti; del resto di questo abbiamo già molto ragionato negli articoli precedenti. Il frutto velenoso del radicamento dei social network nella vita sociale e quotidiana è stata la proliferazione di subculture, di credenze e orientamenti con effetti rilevanti anche sul piano politico. L’assalto al Campidoglio dei seguaci di Trump ne è stata la plastica rappresentazione.
I movimenti a cavallo del passaggio di secolo hanno utilizzato le reti digitali per connettersi, diffondersi e produrre anche momenti di mobilitazione globale; nel secondo decennio del secolo, questa spinta verso la liberazione dal giogo di vecchi regimi e nuovi poteri globalizzatisi è stata bloccata dalla reazione di vecchi regimi e ideologie, pensiamo alle primavere arabe, connessi al confronto geopolitico e militare, dalla diffusione pervasiva e planetaria delle nuove piattaforme digitali in cui è prevalsa, vale la pena di ripeterlo, la capacità di controllo sociale e di estrazione di valore dalle relazioni umane digitalizzate.
Bellucci descrive invece la fase di transizione nel modo seguente. Le culture entrano nel frullatore. Le connessioni tra gli umani si moltiplicano, gli scambi e le relazioni divengono di un ordine di grandezza più alto. Nuove consapevolezze, sociali e individuali, si affacciano. Emergono percezioni del se e immagini della forma sociale completamente nuove, inaspettate. I linguaggi si contaminano e le parole cambiano il loro senso; le tecnologie per la loro produzione e il loro scambio si moltiplicano e si trasformano, inondando i corpi sociali di nuove forme di relazione e di conoscenza del mondo. C’è nelle sue parole la sottolineatura del potenziale liberatorio della transizione trainata dalle tecnologie digitali, quasi un afflato futurista.
Tematizzare la transizione costringe a muoversi tra due orizzonti uno utopico, l’altro distopico, di quest’ ultimo dice “La storia, in realtà, si sta prendendo la briga di mostrarci la possibilità di una Transizione che produca una società oltre-capitalistica basata su processi di controllo e assoggettamento individuale e collettivo ancora più profondi della precedente. La Transizione, però, apre uno spazio per la rivendicazione del punto più alto del confronto politico: quello del potere.” In quest’ultima frase sembra stare il discrimine tra i due orizzonti, ma sembra più una citazione del nesso transizione-rivoluzione che l’apertura di una vera riflessione in merito. L’analisi invece sembra privilegiare, nonostante queste avvertenze, la possibilità dell’avverarsi di dell’orizzonte utopico.
Si dice infatti nel discorso introduttivo.
“Ad una “crisi sistemica” e che noi definiamo come una Transizione, infatti, si risponde con una politica sistemica di qualità “altra” e con logiche di intervento di nuova generazione che, viste dalla tradizione, possono sembrare “aliene”. Una politica che deve riscoprire la radice del suo fare “di parte” ricercando le forme per il superamento della suddivisione del lavoro e quella tra i generi e, con essa, il costituirsi di una “comunità reale” – volontaria e consapevolmente umana – capace di superare i limiti delle attuali forme di comunità, più apparenti e illusorie che materialmente tali, una società di individui “veramente umani” in quanto “onnilaterali” e, quindi, di individui la cui libertà personale è reale, se libertà è sinonimo di razionalità, universalità, condivisione, cooperazione, equità. Una comunità dell’umano che sappia ricostruire il rapporto con la sfera della vita sul pianeta e con gli equilibri ambientali, diventando conscio del proprio fare.”
Più avanti riafferma. “È sotto i nostri occhi il possibile inizio della fase storica dell’umanità in cui la conoscenza accumulata diventa direttamente produttrice. Serve, però, una politica che sappia indirizzare le risorse pubbliche verso tale nuovo esito sociale e non per il sostegno del vecchio modo di produzione e di alienazione umana.”
Qui sta il punto. Dentro la crisi delle forme della politica, della rappresentanza, della regolazione dei conflitti sociali, si è sviluppata una speculare crisi dei movimenti sociali di liberazione, nonostante i molti episodi che hanno mostrato la possibilità di un uso liberatorio della ‘conoscenza accumulata’. Oggi le diverse forme statuali trovano il loro punto di massima contraddizionenon nei movimenti sociali, che pure non mancano, ma nella competizione con la potenza dei nuovi poteri tecnologico-finanziari.
Il circolo vizioso si avvolge attorno al nodo dello stato, delle forme di organizzazione politica della società, dove la dissoluzione della politica nelle forme della comunicazione, 8 non ha dissolto il potere politico, non ha -sino ad ora almeno- incrementato stabilmente le forme e l’efficacia della partecipazione democratica dal basso al governo della società, anzi lo ha reso ancora di più arbitrario nonostante la vigenza di costituzioni, come quella italiana, che lo legittimano.
Il modello, i modelli, forse la metafora dell’organizzazione a rete rischia di diventare poco più di un escamotage per superare un’impasse da cui non si sa come uscire; con ciò rischiando di perdere il gigantesco patrimonio di esperienze che hanno caratterizzato i movimenti, i conflitti degli ultimi decenni, di questo inizio di secolo in particolare, che continuano a manifestarsi ed evolversi nello scontro politico e sociale degli ultimi anni. La transitorietà delle esperienze, la difficoltà, il rifiuto spesso di fronte alle difficoltà, a fare un salto di qualità nella competizione per il potere politico, nell’intraprendere un cammino di lungo periodo nella trasformazione dello stato e degli assetti di potere delle società, ci devono rendere accorti, capaci di intraprendere un lungo lavoro istruttorio -paziente, umile e non settario- capace di riannodare fili di connessioni che in parte sono state perse e di crearne di nuove.
La posta in gioco in questi mesi, con l’instabilità geopolitica, economica e finanziaria a livello globale, con la precarietà della risposta sanitaria alla pandemia, con la nuova dimensione degli interventi pubblici nella crisi economica indotta dalla pandemia, con l’accelerazione indotta dalla pandemia in molte delle trasformazioni già in atto, ebbene tutto questo ci deve, speriamo ci possa indurre ad un agire organizzato, fondato su quella mole di conoscenze e saper fare che possiamo vedere e riconoscerci reciprocamente. Purché, questo è vero, si sappia alzare lo sguardo e scrutare i cieli tempestosi della transizione
- https://transform-italia.it/la-transizione-come-variante/ [↩]
- https://www.youtube.com/playlist?list=PL4ixa0a_6Ra4PjS0h0ZAJNtaW5xbVF1ky [↩]
- https://transizione.net/la-transizione-il-modello-organizzativo/ [↩]
- https://transform-italia.it/beni-comuni-mercati-e-politiche-pubbliche/ [↩]
- https://www.transform-network.net/publications/issue/commons-markets-and-public-policy/ [↩]
- https://obamawhitehouse.archives.gov/omb/foia_default [↩]
- https://www.justice.gov/oip/blog/president-obama-signs-foia-improvement-act-2016 [↩]
- Il riferimento è a quanto Bellucci dice “Quando la velocità degli eventi raggiunge quella del flusso comunicativo, le forme della politica tendono a coincidere con quella della struttura di comunicazione”. [↩]