Ad oltre 10 anni da una grave crisi finanziaria globale originata in larga parte a seguito della fine di un boom del mercato immobiliare, tutte le grandi aree metropolitane del mondo (le prime 30 ospitano quasi il 15% della popolazione mondiale) devono affrontare una crisi legata all’insicurezza abitativa. Si sono sovrastrutturate per alloggiare ricchi, benestanti e turisti, mentre mancano di alloggi a prezzi accessibili per le classi lavoratrici medie e popolari, i cui stipendi e salari sono rimasti pressoché stazionari (in termini reali) negli ultimi 30 anni.
Da solo il mercato non è in grado di soddisfare la domanda di alloggi decenti a prezzi accessibili a tutti. Negli USA circa 40 milioni di famiglie spendono più del 30% del loro reddito in affitto o in un mutuo; circa 20 milioni spendono più della metà delle loro entrate in affitto. I giovani, mentre lottano con la sottoccupazione, la disoccupazione frequente, il lavoro precario e la mancanza di risparmi, devono affrontare crescenti costi di alloggio. L’insicurezza lavorativa e alloggiativa rafforza un circolo vizioso che contribuisce a peggiorare una disuguaglianza economica che polarizza drammaticamente le società.
L’impennata degli affitti e dei prezzi delle case in molte città del mondo, ha fatto diventare una richiesta sempre più urgente un intervento pubblico che si faccia carico di politiche abitative e di controllo degli affitti, con l’introduzione di tetti agli aumenti che tengono conto dell’inflazione e degli interventi migliorativi realizzati. Una richiesta che fa inorridire economisti e neoliberisti, per i quali è un articolo di fede che le politiche pubbliche per la casa e il controllo degli affitti, come qualsiasi regolamentazione del mercato abitativo, siano sempre forieri di disastri.
Il prossimo 26 settembre, gli elettori berlinesi riceveranno sei schede elettorali. Quel giorno, infatti, si vota per eleggere i rappresentanti del popolo a livello statale (l’Abgeordnetenhaus – Camera dei rappresentanti della città-Sato di Berlino) e distrettuale (le 12 Bezirksverordnetenversammlungen – Assemblee distrettuali), ma anche per il Bundestag, cioè il Parlamento federale (con una prima scheda per votare per un candidato di un partito che si candida in una circoscrizione e una seconda per votare per un partito), e per il referendum “Espropriare Deutsche Wohnen e altre società” (promosso con una campagna lanciata nel 2018) con il quale si deve decidere se sia possibile espropriare le grandi società immobiliari1. Una nazionalizzazione a favore del social housing per calmierare il caro-affitti e per affrontare la carenza abitativa che colpisce le classi meno agiate.
I sei voti sono interconnessi e possono avere una rilevanza nazionale. Berlino è attualmente governata da una coalizione rosso-rosso-verde (Spd, Die Linke, Die Grünen) e, sebbene per ora questa combinazione sia tra tutte quelle ipotizzate a livello federale la meno probabile, vale per dimostrare sul campo che un governo a tre partiti si può fare, e che quindi per la prima volta potrebbe essere sperimentato su scala nazionale.
Se i berlinesi dovessero aumentare i voti a sinistra e ai Verdi e se contemporaneamente il “sì” dovesse vincere al referendum, allora la confisca degli appartamenti – finora un’opzione poco plausibile – potrebbe realizzarsi: se i colossi del real estate, quelli con un portafoglio oltre i 3.000 appartamenti, dovessero subire una confisca a prezzi sotto il livello di mercato, questo sarebbe un terremoto con epicentro a Berlino. Le scosse di una nazionalizzazione farebbero tremare l’intera Germania, perché il mercato immobiliare su scala nazionale in qualche misura soffre lo stesso problema che attanaglia i berlinesi: prezzi delle abitazioni in vendita e in affitto in continuo aumento, con picchi che rendono appartamenti e case irraggiungibili dai più con qualche punta da bolla speculativa, e offerta strutturalmente bassa rispetto alla domanda.
I problemi del mercato immobiliare sono all’ordine del giorno per tutti i partiti impegnati nelle elezioni generali tedesche che si terranno il 26 settembre a livello federale2. La gamma delle soluzioni contro il caro-affitti e contro l’impennata dei prezzi delle case in vendita è molto variegata. Tutti puntano sul social housing che in Germania è diventato oramai un diritto acquisito. L’Unione Cdu/Csu ha un approccio più vicino al mercato, con incentivi per la costruzione di nuovi appartamenti da parte dei privati, agevolazioni fiscali per la prima casa, riconversione di siti industriali; l’Spd punta sul freno al caro-affitti e ad allentare le regole per la riconversione di immobili in uso abitativo nei centri urbani; i Verdi hanno le politiche immobiliari più aggressive, con limiti all’aumento dei prezzi, incentivi e sovvenzioni per il cambiamento climatico, tagli pesanti dei costi fissi di acquisto. La Linke, Jusos (l’organizzazione giovanile dell’SPD) e Verdi sono le uniche organizzazioni politiche che sostengono con forza l’esproprio proposto dal referendum berlinese. La Confederazione tedesca dei sindacati ha chiesto un congelamento degli affitti di sei anni a livello nazionale. “Chiediamo una nuova politica abitativa dal nuovo governo federale che si concentri su alloggi più economici e sociali“, ha affermato Stefan Körzell, membro del consiglio, in un discorso nel corso di una recente manifestazione a Berlino contro la “follia degli affitti e degli sfratti” e a supporto del “sì“ al referendum.
Per tutte queste ragioni, è sicuro che il 26 settembre gli occhi dei grandi investitori nel mercato immobiliare residenziale europeo saranno puntati su Berlino per conoscere l’esito di un referendum – secondo l’ultimo sondaggio il 47% degli lettori si è dichiarato favorevole, contro il 43% che si è dichiarato contrario – che cerca di cambiare radicalmente lo scenario della proprietà immobiliare, riportando al centro il ruolo delle politiche pubbliche.
Il referendum sull’esproprio delle grandi società immobiliari
Con il referendum, i berlinesi potranno votare se sia possibile espropriare le società immobiliari che hanno più di 3.000 appartamenti, in cambio dell’erogazione di un risarcimento. Complessivamente si tratta di decidere se espropriare circa 243 mila appartamenti attualmente di proprietà di un gruppo ristretto di grandi società immobiliari quotate in Borsa. Da sola, ad esempio, Deutsche Wohnen ha 113 mila appartamenti a Berlino3. Gli oltre 240 mila immobili verrebbero trasferiti dai privati all’istituzione di diritto pubblico AöR, non orientata al profitto, per perseguire la politica degli affitti popolari. Secondo i promotori del referendum, questo tipo di intervento eliminerebbe una parte rilevante del patrimonio immobiliare dal mercato ed eliminerebbe l’incentivo a speculare sul mercato. Ridurrebbe anche gli affitti, poiché i proprietari privati sarebbero costretti a competere con più alloggi pubblici.
DW and Co. Enteignen (“Espropriare Deutsche Wohnen and Company”), il gruppo di attivisti per la casa che ha promosso la campagna di esproprio, chiede alle persone di dire “sì” con gli slogan “Così che Berlino rimanga la nostra casa” e “Keine Profite mit unserer Miete” (nessun profitto dal nostro affitto) scritti in varie lingue. Gli attivisti hanno raccolto più di 350 mila firme per la proposta di referendum locale4 che mira a costringere le grandi aziende a vendere le loro proprietà al governo locale a prezzi “ben al di sotto del valore di mercato”. Si stima che la spesa per acquistare gli immobili post-referendum sarebbe molto pesante per le finanze di Berlino: per acquisire i 243.000 appartamenti il costo totale a prezzi di mercato viene stimato tra i 28,8 e i 36 miliardi euro che appesantirebbe il bilancio della capitale da 100 a 340 milioni l’anno. Ma, gli attivisti pro esproprio sostengono che il risarcimento potrebbe ammontare ad appena 8 miliardi di euro, affermando che i prezzi di mercato si basano su speculazioni e rendimenti da canoni di locazione troppo cari, piuttosto che sul valore reale. Secondo loro, il risarcimento verrebbe fornito ai proprietari utilizzando gradualmente gli affitti, piuttosto che costare al contribuente.
Perché il referendum abbia successo, devono essere soddisfatte due condizioni. In primo luogo, la maggioranza degli elettori deve votare “Sì“. In secondo luogo, deve essere rispettato il cosiddetto “quorum“: almeno un quarto di tutti gli aventi diritto deve votare. Ciò equivale attualmente a poco più di 617.000 voti, un tetto che non dovrebbe essere difficile da raggiungere considerata la coincidenza con le elezioni locali e generali. Resta incerto se il percorso verso gli espropri possa essere considerato certo in caso di vittoria del “Sì“. Il referendum, infatti, ha un carattere consultivo (non vincolante). Il Senato di Berlino sarebbe “chiamato” ad emanare una legge, ma non è legalmente obbligato a dare attuazione ai piani dell’iniziativa. La decisione finale su una nuova legge sarà poi presa dal neoeletto Abgeordnetenhaus.
Se la proposta dovesse passare, si ritiene più probabile che il Senato di Berlino utilizzerà il risultato come leva per ottenere concessioni dai proprietari immobiliari5, piuttosto che scrivere una legge sull’esproprio. Se una legge fosse effettivamente preparata, è assai probabile che il governo federale sarebbe sottoposto a pressioni per promulgare una propria legge per annullarla, mentre le grandi società immobiliari creerebbero una moltitudine di altri ostacoli legali (poiché verrebbe espropriata la proprietà, non l’intera società, sarebbe possibile avviare un ricorso legale per ogni proprietà sotto esproprio).
Gli attivisti hanno giustificato la proposta di esproprio sulla base dell’articolo 15 della Legge fondamentale tedesca (Costituzione), mai utilizzato prima, che afferma: “La terra, le risorse naturali e i mezzi di produzione possono, ai fini della nazionalizzazione, essere trasferiti alla proprietà pubblica o ad altre forme di impresa pubblica da una legge che determina la natura e l’entità del risarcimento”.
Il 15 aprile 2021, la Corte Costituzionale tedesca ha annullato la decisione del governo dello Stato di Berlino di imporre un tetto all’affitto, il Mietendeckel, che era stato introdotto con l’obiettivo di congelare gli affitti per il 90% degli appartamenti di Berlino per cinque anni al livello di giugno 2019. I nuovi affitti non avrebbero potuto superare quel livello6 e, a partire da novembre 2020, tutti gli affitti esistenti che erano ancora al di sopra di quel livello dovevano essere ridotti. La nuova legge era entrata un vigore il 23 febbraio, ma la Corte Costituzionale federale ha stabilito che la legge è incostituzionale, in quanto il mercato abitativo è regolato dagli Stati (Länder), mentre le leggi sugli affitti sono federali7. Di conseguenza, agli inquilini è stato ordinato di rimborsare i risparmi sull’affitto ai loro proprietari.
È bene ricordare che il ricorso di incostituzionalità del Mietendeckel berlinese era stato presentato alla Corte Costituzionale federale da 284 parlamentari del Bundestag appartenenti alla coalizione CDU/CSU e al Partito Liberale (FDP) nel maggio 2020.
Ammesso che vinca il “sì” al referendum, secondo gli studi legali delle società immobiliari di Berlino, la campagna non ha una base oggettiva: il risarcimento “ben al di sotto del valore di mercato” potrebbe essere dichiarato incostituzionale dalla Corte Costituzionale federale. “Altrimenti le imprese non solo verrebbero private delle loro proprietà, ma subirebbero anche un danno economico diretto. Lo Stato non deve arricchirsi con l’esproprio“.
La crisi abitativa di Berlino
Dalla caduta del Muro in poi, Berlino ha continuato ad attrarre persone da tutto il mondo, dagli studenti ai professionisti. Non è solo tornata ad essere la capitale dello Stato federale tedesco, sta diventando anche una metropoli globale caratterizzata da un mercato del lavoro dinamico, un contesto innovativo di R&S e molte giovani imprese di successo.
Un’evoluzione che ha reso interessante l’investimento nel settore immobiliare per le aziende e negli ultimi anni in città si sono riversati grandi capitali provenienti anche dai mercati esteri, compresi quelli di Warren Buffett. Dieci anni fa, il prezzo medio degli appartamenti a Berlino per metro quadrato era inferiore a 1.700 euro. Ora, è salito a circa 5.000 euro, con un aumento di circa il 200%. Questo costante aumento dei prezzi delle case assicura gli acquirenti o investitori che i valori continueranno ad aumentare in futuro.
L’affitto degli edifici esistenti è aumentato di circa il 39%, mentre il prezzo per quelli di recente costruzione è aumentato di circa il 63%. Si ritiene che l’immigrazione e la mancanza di nuove costruzioni aggravino ulteriormente la crisi abitativa per l’86% dei berlinesi che affittano una casa.
Nell’ultimo decennio, a Berlino sono state costruite 117 mila abitazioni per dare casa a 210 mila nuovi abitanti. Ma intanto il numero delle persone in cerca di abitazione è cresciuto a quota 343 mila. Questo vuol dire che mancano 74 mila immobili residenziali. Secondo alcuni osservatori e i socialdemocratici, il principale partito della coalizione di governo a Berlino, la risposta è semplicemente costruire di più. Basterebbe una politica orientata all’offerta per eliminare questa carenza entro il 2030, ma un intervento pubblico sarebbe comunque necessario considerati i costi elevati e le complesse regole di pianificazione che fanno sì che gli sviluppatori non siano interessati a costruire immobili destinati alle fasce di reddito più basse.
Attualmente, i tassi dei mutui per le case sono ai minimi storici, ma gli acquisti delle abitazioni, fosse anche la prima casa, non sono saliti come alcuni prevedevano, perché i prezzi sono troppo alti. Il 60% dei tedeschi è in affitto, a Berlino l’85%. Solo il 47% della popolazione in Germania possiede la prima casa, su scala nazionale (in Italia, invece, secondo i dati Istat del 2019, più del 78% vive in case di proprietà), mentre a Berlino questa percentuale scende sotto il 15%. Questa situazione è in gran parte dovuta al fatto che, per molto tempo, in Germania (come altrove in Europa) sono state in vigore norme e politiche che garantivano un affitto accessibile. Fino al 1988 esisteva una legge sulla casa senza fini di lucro. Ciò significava che una certa quantità di fondi doveva andare a società immobiliari senza scopo di lucro o ad altri progetti abitativi senza scopo di lucro (come cooperative e alloggi di proprietà statale).
A partire dai primi anni 2000, c’è stata una grande ondata di privatizzazioni e di abbandono del settore dell’edilizia popolare. Gli investitori istituzionali hanno acquistato molte unità abitative sociali e pubbliche che sono state privatizzate a seguito delle crisi finanziarie. Queste società sono entrate nel mercato immobiliare con l’unico scopo di affittare e conquistare il mercato degli affitti. Operano come fondi fiduciari (trust funds) di investimento immobiliare (REIT) e hanno concentrato nelle loro mani una quota sempre maggiore di abitazioni. Eludono le tasse acquistando aziende piuttosto che gli appartamenti stessi. Questo significa che non devono pagare alcuna tassa di acquisizione o tassa di proprietà.
Il risultato è stato l’ascesa di queste enormi società immobiliari come Deutsche Wohnen e Vonovia che contano entrambe come principale azionista il fondo statunitense BlackRock, il più grande gestore patrimoniale del mondo, e che ora stanno per fondersi, una mossa che vedrebbe i due più grandi proprietari residenziali tedeschi unirsi in un’entità che controlla più di 550 mila appartamenti. Vonovia, infatti, possiede circa 414 mila appartamenti in Germania, Austria e Svezia, mentre Deutsche Wohnen è il più grande locatore privato della capitale: circa 113.000 degli oltre 155.000 appartamenti si trovano nell’area metropolitana di Berlino.
A Berlino – città dove ci sono 1,95 milioni di appartamenti, di cui 1,45 milioni affittati, circa 340 mila sono case popolari e circa 300 mila sono di proprietà degli inquilini8 – la mancanza di affitti a canone calmierato è diventata critica dopo che l’amministrazione comunale decise di “cartolarizzare” oltre 200 mila appartamenti nei primi anni 2000 per evitare la bancarotta finanziaria. Così, nel 2004 Deutsche Wohnen, il più grande gruppo immobiliare tedesco (oggi con oltre 113 mila alloggi nella capitale, circa il 7% del mercato dell’affitto), aquistò per 405 milioni di euro 50 mila appartamenti, che oggi sul mercato valgono 6,8 miliardi. Altre vendite sono state appannaggio delle altre quattro maggiori società immobiliari tedesche – Vonovia (40 mila alloggi), Ado Properties (24 mila), Akelius (11 mila) e Grand City Property (4 mila). Una evoluzione che ha creato un’emergenza abitativa e che negli anni ha visto a Berlino aumenti vertiginosi degli affitti, decine di migliaia di sfratti e un’offerta sempre minore di appartamenti a canone calmierato.
A differenza di molte altre città, i berlinesi hanno deciso di fare effettivamente qualcosa al riguardo. Il movimento degli inquilini ha chiesto da tempo un cambiamento. Aveva promosso un referendum per introdurre massimali di affitto nel 2015, ma era stato sconfitto. Nel 2018, per rispondere alle pressioni da parte degli attivisti, il governo della città-Stato di Berlino ha sostenuto che sarebbe stato disposto a esplorare l’opzione di introdurre un tetto massimo dell’affitto, il Mietendeckel, poi effettivamente approvato nel gennaio 2020 e attuato dal febbraio 2021.
L’introduzione del tetto massimo dell’affitto era stata preceduta da una campagna del movimento degli inquilini che ha promosso e raccolto le firme necessarie per un referendum per l’esproprio con indennizzo tutti gli appartamenti dei gruppi immobiliari che ne possiedono più di 3 mila. Da questo punto di vista, l’introduzione del tetto massimo degli affitti era una risposta o, almeno, un tentativo da parte del governo cittadino di placare coloro che chiedevano l’esproprio. E, in effetti, il referendum che era stato proposto per il 2019, venne rinviato.
La lezione che possiamo trarre dal prossimo referendum di Berlino è che residenti, movimenti sociali, politici progressisti e altri interessati a democratizzare e de-mercificare il sistema abitativo devono agire in alleanza per perseguire il cambiamento. Ciò che serve è una strategia integrata volta a riorientare il sistema abitativo lontano soprattutto dalla ricerca del profitto e verso un reale soddisfacimento del bisogno sociale di abitazione. La lotta su forma e scopo del sistema abitativo continua, a Berlino e nel mondo. Proprio in queste settimane, il governo irlandese ha presentato Housing for all, un piano che prevede un investimento di 4 miliardi di euro all’anno nella costruzione di oltre 300 mila nuove case entro il 2030. L’obiettivo è di affrontare “la cronica carenza di alloggi” del Paese e azzerare il numero di persone che vivono per strada.
Un modello alternativo esiste già da tempo: l’edilizia pubblica del Comune di Vienna
Vienna è una delle città dove secondo The Economist e molti osservatori si vive meglio al mondo e dove il 62% dei residenti vive in alloggi sociali, permanentemente di proprietà comunale. Questo grazie alle politiche per la casa attuate dalle amministrazioni municipali della “Vienna rossa” tra il 1919 e il 1932 che si basavano sulla considerazione che l’alloggio deve essere un diritto universalmente disponibile. Le amministrazioni a guida socialista si dotarono di un sistema fiscale fortemente progressivo, equo ed autonomo (liberandosi dalla dipendenza dal governo nazionale e dal sistema finanziario), e concentrarono le loro energie nella realizzazione di scuole, mense scolastiche, ospedali pediatrici, biblioteche, piscine, trasporti e soprattutto alloggi per le masse di proletari e i ceti medi bassi.
Ancora oggi si possono ammirare gli imponenti complessi di edilizia popolare (come il Karl Marx Hof o il Viktor Adler Hof) vecchi di 100 anni. Per decenni le risorse comunali sono bastate a calmierare il mercato e assicurare ai cittadini una vita serena e dignitosa, riparata dall’assillo della speculazione immobiliare. L’attuale amministrazione socialista-verde spende ogni anno 600 milioni di euro per ampliare, ristrutturare, ammodernare il proprio patrimonio edilizio. Gestisce 220 mila appartamenti, mentre altri 180 mila fanno capo a cooperative immobiliari sovvenzionate dallo stesso Comune. Un patrimonio edilizio pubblico o semi-pubblico in cui vive il 62% dei quasi due milioni di viennesi.
Nel suo sito istituzionale il Comune di Vienna si presenta come il principale immobiliarista pubblico d’Europa. Una delibera del consiglio comunale del novembre 2018 ha introdotto la categoria della “residenzialità sovvenzionata” e ha stabilito che ogni nuovo complesso immobiliare superiore ai 5 mila mq (circa 50 appartamenti) deve riservare i due terzi della metratura ad alloggi a canone calmierato (nell’ordine di 5 euro al mq).
Il comune ha edificato la Vienna contemporanea tenendo a bada il mercato, nella convinzione che il diritto all’abitare debba temperare il diritto alla proprietà, allo stesso tempo l’amministrazione pubblica offre ai cittadini sicurezza, un accesso ad ottime cure sanitarie, ad un eccellente sistema di trasporti pubblici, ad una sofisticata offerta culturale e ad un qualificato sistema di istruzione.
Anche alla luce dell’esperienza viennese, per sopravvivere e non diventare dei foschi contesti alla “Blade Runner”, le metropoli non avranno altra scelta che ripensarsi per cercare di dare risposte positive alle sfide della polarizzazione socio-politica e delle disuguaglianze economiche, della rivoluzione digitale e della necessaria transizione ecologica. Un passaggio che richiede l’elaborazione di strategie a lungo termine con il coinvolgimento attivo dei cittadini attraverso forme di democrazia partecipativa. La priorità dovrebbe andare ad una crescita inclusiva e sostenibile (le città producono l’80% delle emissioni di gas ad effetto serra occupando solo il 2% della superficie del pianeta) basata sulla capacità di assicurare effettivamente il diritto all’accesso all’alloggio, ai trasporti, all’istruzione, all’assistenza sanitaria.
- Tutti i tedeschi – cioè le persone con nazionalità tedesca e che hanno almeno 18 anni di età il giorno delle elezioni – hanno il diritto di partecipare alle elezioni per il Abgeordnetenhaus. Vi è inoltre il requisito che siano domiciliati a Berlino da almeno tre mesi, senza interruzione, e non siano esclusi dal diritto di voto. Lo stesso vale per le elezioni del Bundestag. In questo caso, gli elettori devono aver vissuto nella Repubblica federale di Germania per almeno tre mesi consecutivi. Al voto possono partecipare anche i tedeschi residenti all’estero. Gli esclusi dal diritto di voto comprendono le persone il cui diritto di voto è stato negato da una sentenza del tribunale. Al referendum possono partecipare solo gli aventi diritto. Per quanto riguarda le elezioni per le Bezirksverordnetenversammlungen, hanno diritto al voto anche i cittadini di altri Stati membri dell’Unione Europea con domicilio a Berlino, oltre ai cittadini tedeschi. L’età minima per votare alle elezioni per le Bezirksverordnetenversammlungen è stata abbassata a 16 anni.[↩]
- Un problema analogo di “follia degli affitti” vivono tutte le grandi città tedesche – Monaco, Colonia, Francoforte Gottinga, Mannheim e Friburgo – e anche qui inquilini e cittadini si sono mobilitati contro le grandi holding degli alloggi. Tra il 2000 e il 2019 in Germania i prezzi dell’edilizia residenziale sono aumentati di oltre il 25% in termini reali. Oggi, i prezzi di acquisto e di affitto delle case sono elevati, nonostante che la pandemia e il calo dei flussi degli immigrati nelle grandi città abbiano ridotto la domanda in eccesso, mentre i recenti colli di bottiglia sulle catene di approvvigionamento delle materie per costruzioni hanno rallentato l’offerta. Secondo molti osservatori, però, non esiste una bolla speculativa immobiliare a livello nazionale: in alcune zone i prezzi delle case in vendita sono saliti molto di più rispetto al caro-affitti. Ma, i tedeschi non sono visceralmente né speculatori né possessori di immobili, per cui i risparmi sono schizzati alle stelle, ma non per questo è scattata la corsa al mattone in Germania.[↩]
- Deutsche Wohnen è anche il membro da 19 miliardi di euro dell’indice DAX 30 che è stato un investimento di grande successo. Negli ultimi dieci anni, le sue azioni hanno registrato un rendimento totale medio del 21% all’anno, rispetto all’11% per il suo benchmark .[↩]
- Per procedere alla consultazione, servivano 171.000 firme (7% dei 2,5 milioni con diritto al voto e cittadinanza tedesca), ne sono state conteggiate 183.711 a favore e valide, contro le 359.063 firme raccolte delle quali il 32,7% non valido.[↩]
- Secondo Bloomberg, la società che dovrebbe emergere dalla fusione tra Vonovia e Deutsche Wohnen ha già offerto di vendere 20 mila unità alla città di Berlino, costruire 13 mila nuovi appartamenti e limitare gli aumenti degli affitti.[↩]
- Il governo di Berlino aveva fissato un tetto massimo di 9,80 euro al metro quadro, che progressivamente scendeva a seconda dell’età e dello stato dell’appartamento. Ciò ha significato che molti affittuari hanno visto diminuzioni massicce del loro affitto, nell’ordine del 20-30%. C’erano alcune eccezioni a queste regole. Ad esempio, la modernizzazione o ristrutturazione dell’unità locata, consentiva di aumentare l’affitto di circa un euro al metro quadrato. C’erano anche indennità per un piccolo aumento dopo due anni, ma l’aumento non poteva essere superiore all’inflazione, che era di circa l’1,2%. Un aspetto negativo della legge sul tetto massimo degli affitti di Berlino era che escludeva i nuovi edifici costruiti dopo il 2014. Pertanto, si è registrata una grande esplosione degli affitti in quel segmento. Molte persone che si sono trasferite in città sono state costrette a quel segmento, poiché non riuscivano a trovare nient’altro perché le persone non si trasferivano dagli altri appartamenti.[↩]
- Ma, il tetto massimo degli affitti di Berlino aveva fornito un contrasto positivo al fallimento del freno agli affitti introdotto per legge a livello federale nel 2016, che ha limitato l’aumento degli affitti al 15% ogni tre anni.[↩]
- Secondo l’amministrazione berlinese, fra il 2011 e il 2020 quasi 125 mila abitazioni che prima erano in affitto sono state comprate come prime case.[↩]