Costituzione italiana, Articolo 44: “Al fine di conseguire il razionale sfruttamento del suolo e di stabilire equi rapporti sociali, la legge impone obblighi e vincoli alla proprietà terriera privata, fissa limiti alla sua estensione secondo le regioni e le zone agrarie, promuove ed impone la bonifica delle terre, la trasformazione del latifondo e la ricostituzione delle unità produttive; aiuta la piccola e la media proprietà. La legge dispone provvedimenti a favore delle zone montane.”
Dichiarazione sui diritti dei contadini e delle persone che lavorano nel mondo rurale, approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 17 dicembre 2018.
Una breve introduzione
Non riporteremo qui gli elementi tecnici e le ragioni sociali che fanno positivamente riferimento allo stato dell’agricoltura italiana e al necessario riconoscimento della presenza di distinti modelli agricoli nel nostro paese; ci limitiamo quindi a richiamare, per far risaltare il ruolo che deve essere riconosciuto a questo strumento nel quadro giuridico internazionale, la Dichiarazione sui diritti dei contadini e delle persone che lavorano nel mondo rurale, approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 17 dicembre 2018. I diritti dei contadini assumono così veste di diritti umani che le normative internazionali e nazionali debbono d’ora in poi necessariamente osservare e fare propri. La Dichiarazione definisce come contadino chi “esercita da solo o in associazione con altri o come comunità, attività di piccola produzione agricola, di sussistenza e/o per il mercato, e che si affida significativamente, per quanto non necessariamente in modo esclusivo, al lavoro familiare e ad altri modi non monetizzati di organizzare il lavoro, e che dipende in maniera particolare dalla terra ed è legato ad essa.”
L’agricoltura di piccola scala infatti è il modello proprio della stragrande maggioranza delle aziende agricole del nostro paese e riguarda quindi la vita della maggioranza di quanti lavorano in questo settore. I contadini, come abbiamo ripetuto molte volte, non rappresentano una categoria i cui membri sono portatori di fragilità e che necessitano quindi di assistenza permanente. Anzi, la qualità, la quantità il valore della loro produzione ed il peso in termini di occupazione ne fanno degli attori economici strategici per la produzione agricola ed alimentare del nostro Paese.
Le aziende di piccola dimensione sono costantemente, e con sempre più aggressività, sottoposte ad una forte pressione dovuta, tra l’altro, alla concorrenza sleale da parte di imprese agricole a forte capitalizzazione con un modello di produzione industriale che sono, al momento, le sole beneficiarie del – per loro – irrinunciabile supporto delle politiche pubbliche nazionali ed europee.
Se si osserva la situazione all’interno degli altri paesi membri dell’UE i risultati sono ugualmente drammatici: “Nel complesso, l’occupazione agricola nell’UE è in costante diminuzione da decenni ed è scesa da 13,1 milioni di unità di lavoro annuo nel 2003 e 9,1 milioni di unità di lavoro annuo nel 2018 in tutta l’UE-27, che rappresenta un’impressionante riduzione del 30% negli ultimi quindici anni. Contemporaneamente, il numero delle piccole e medie aziende agricole è in costante diminuzione, mentre il numero di grandi aziende agricole (oltre 100 ettari) è aumentato…”[1]
E ancora, sempre all’interno dello stesso testo e con uno sguardo indirizzato al futuro: “…In particolare, il modello previsionale ha dato i seguenti risultati: si prevede un’ulteriore contrazione dell’occupazione nel settore agricolo a livello europeo, in linea con le prospettive agricole immaginate dalla Commissione europea per il 2030. Ancora più importante, il rinnovamento generazionale nel settore agricolo continuerà probabilmente a destare preoccupazione nello scenario “business-as-as-usual”, dal momento che il numero di aziende agricole gestite da giovani agricoltori – già notevolmente inferiore a quello degli agricoltori più anziani – sta seguendo un ripido sentiero in discesa…” [2]
Tornando al contesto nazionale il settore ha assorbito sempre meno occupazione dal 1991 ad oggi (2017)[3] e conseguentemente la quantità di ore lavorate in agricoltura si è molto ridotta: si sono persi circa 866 mila posti di lavoro dal 1991 al 2017 e il 37% di ore lavorate. Il calo ha investito soprattutto gli indipendenti (-39% le posizioni lavorative dal 1991 al 2017 e – 43% le ore lavorate) ma anche il lavoro dipendente è stato intaccato da questo trend negativo, passando dalle 652mila posizioni lavorative impiegate nel 1991 alle 486mila posizioni lavorative del 2017.
Analizzando la serie storica dal 2008 al 2017 si rileva un trend decrescente a partire dal 2008 che colpisce l’occupazione, anno in cui le aziende agricole con operai dipendenti erano oltre 210.000, fino al 2014 con una sostanziale stabilizzazione nel triennio successivo.
Le aziende con una dimensione ridotta, anche in termini di carico di lavoro, sono ancora quelle che offrono maggiori possibilità di occupazione. Secondo i dati più recenti dell’ISTAT le aziende agricole con al massimo una ULA[4]sono l’82% circa del totale e occupano il 41,3% degli occupati realizzando il 30,6 %della produzione totale, mentre quelle con oltre 10 ULA sono solo lo 0,1% delle aziende, occupano il 2,3% degli occupati e realizzano solo il 6,3% della produzione totale.
È poi utile notare che se consideriamo il contributo che le diverse tipologie aziendali conferiscono al valore aggiunto agricolo – cioè la loro efficacia economica – quello delle piccole aziende sale al 31,1% del valore aggiunto totale, mentre quello delle aziende che impiegano oltre 10 ULA scende al 4,9%.
Fonte: ISTAT (2019)
Proporzionalmente però c’è una notizia positiva a riprova della resilienza dell’agricoltura di piccola scala e della capacità di fronteggiare la crisi economica che dura da più di 10 anni: “…aumenta il peso dei “Coltivatori diretti” passati dal 31,7% nel 2007, al 35,7% nel 2016 del totale delle aziende” (ISTAT, 2018).
Fonte: ISTAT, 2019
Le aziende agricole di piccola dimensione economica (entro i 15.000 euro di fatturato) pur subendo la crisi economica generale che ha ridotto all’osso il reddito del lavoro del conduttore/conduttrice, hanno saputo e sanno ammortizzare meglio ed in modo più duraturo la volatilità del mercato e dell’economia rispetto alle società agricole e alle aziende di grande o grandissima dimensione. Le aziende di piccola dimensione – e l’economia specifica che le contraddistingue – producono valore aggiunto con più efficacia e, quindi, offrono un baluardo all’erosione delle forze di lavoro in agricoltura e nei territori rurali pur nell’assenza di appropriate e specifiche politiche di sostegno.
La competizione nello spazio unico del mercato interno tra aziende contadine (piccolissime, piccole e di media scala) e agricoltura industriale, pur in presenza di una forte strutturazione del potere di mercato della GDO[5] e delle industrie agroalimentari, ha dato vita a forme di resistenza autonoma: le aziende contadine continuano a proporre e investire in innovative forme di commercializzazione, diversificazione delle forme di reddito e hanno intrapreso già da tempo una transizione agroeocologica delle proprie strutture e modalità di produzione, continuando a presidiare e tutelare la fertilità del suolo, la gestione dei territori e – contemporaneamente – ad affrontare l’impatto dei cambiamenti climatici già in atto.
L’agricoltura contadina è la vita, la cultura, il lavoro di almeno un milione di persone (ISTAT, varie pubblicazioni) che ogni giorno devono competere, in modo ingiusto, con politiche pubbliche e quadri normativi creati specificamente per sostenere un modello d’agricoltura industriale che, altrimenti, sarebbe economicamente, socialmente ed ecologicamente insostenibile. I contadini e gli agricoltori di piccola scala devono quotidianamente battersi per mantenere il proprio lavoro, creare reddito e futuro per le proprie famiglie, mantenere la possibilità affinché altri – possibilmente giovani – possano avviare una loro attività agricola.
L’agricoltura contadina, con la sua propria struttura e la difesa di un suo autonomo spazio economico, sociale e culturale affronta la finanza pubblica e privata, le difficoltà legate all’accesso alla terra, all’accesso al mercato, all’organizzazione del lavoro e alla continua evoluzione dell’agroalimentare nazionale. L’agricoltura contadina rafforza l’economia locale dove – per noi – “locale” può significare cose diverse in contesti diversi. A volte si riferisce alla gamma di attività quotidiane, in altre si riferisce all’economia nazionale, in contrasto con l’internazionale, spesso significa l’economia regionale con collegamenti urbano-rurali. “Locale” non è semplicemente un concetto geografico, ma è un concetto che combina le dimensioni geografiche, economiche, sociali e culturali in una matrice complessa, matrice che è alla base dell’innovazione necessaria all’interno delle aziende contadine.
Da ultimo, come già ricordato, la “Dichiarazione ONU sui diritti dei contadini e delle altre persone che lavorano nelle aree rurali” si caratterizza, “…senza ombra di dubbio, per aver dato una nuova centralità sul piano giuridico internazionale alla figura del «contadino», mai del tutto scomparsa nelle realtà rurali ma sempre più emarginata dal lessico specialistico e soprattutto sovente abbinata ad una concezione ancestrale, medievale, fuori dal tempo che simboleggia, peraltro, anche la subordinazione sociale e politica che spesso vive questo soggetto in molte parti del mondo.”[6]
Per questo abbiamo necessità di politiche pubbliche e quadri normativi aspecifici che siano basati sui sistemi produttivi, economici, culturali e sociali propri dell’agricoltura contadina, riconoscendo il carattere “plurale” dell’agricoltura italiana[7], perché “noi non fabbrichiamo cibo, noi lo produciamo”.
“Nonostante i margini ridotti di redditività economica, …la piccola azienda agricola a conduzione diretta sopravvive, segnalando l’esistenza di funzioni sociali e forme di integrazione al reddito ugualmente importanti, associate anche a strategie di distribuzione della forza lavoro familiare tra attività diversificate. Una parte di queste piccole aziende agricole, oltretutto, si distingue anche per una sorprendente capacità di adattamento alle trasformazioni prodottesi nel sistema produttivo agricolo e nel sistema di collocazione dei prodotti sul mercato.[8]
* Antonio Onorati è membro del Consiglio direttivo dell’Associazione Rurale Italiana (ARI) e membro del Coordinamento Europeo di Via Campesina
[1] The EU farming employment: current challenges and future prospects – Policy Department for Structural and Cohesion Policies Directorate-General for Internal Policies PE 629.209 – October 2019).
[2] Ibidem
[3] I dati disponibili risalgono al 2017.
[4] Unità. Lavorative Annue
[5] Grande Distribuzione Organizzata
[6] In “Ogni solco ha un nome”. Lorenza Paoloni e Alberto Vespaziani – Edizioni Scientifiche Italiane, 2019).
[7] F. ADORNATO, L’agricoltura che verrà, in Agricoltura Istituzioni Mercati, 1/2015
[8] I quaderni del POM, INEA, UNICA, p.137