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Voci di stampa sul nuovo partito di Sahra Wagenknecht

di Franco
Ferrari

La stampa tedesca, ma anche quella internazionale come il britannico Guardian, hanno ripreso a lanciare ipotesi sulla formazione di un nuovo partito di sinistra guidato dalla parlamentare della Linke Sahra Wagenknecht. Per ora nessuna conferma è venuta dall’interessata, le cui posizioni negli ultimi anni si sono venute differenziando dalla maggioranza del partito su temi importanti quali le politiche sull’immigrazione e, ultimamente, anche sulla guerra in Ucraina.

La Linke, nata dalla fusione del Partito del Socialismo Democratico, insediato nell’est della Germania, con la WASG, sorta dall’iniziativa di socialdemocratici e sindacalisti ostili alle politiche di smantellamento delle garanzie sociali messe in atto dal governo dell’SPD e presente all’ovest del Paese, è sempre stata attraversata da differenze sia programmatiche che ideologiche. Queste si sono ritrovate in correnti organizzate e legittimate dallo stesso statuto del partito. Tra i temi che spesso hanno aperto conflitti interni quello delle possibili alleanze e della ipotetica partecipazione ad una maggioranza di governo con l’SPD e i Verdi. Coalizione che, in realtà, non si è mai concretizzata, anche quando avrebbe avuto i numeri in Parlamento, per volontà dei due potenziali partner.

La posizione della Wagenknecht non si è limitata a sollevare dissensi su questioni programmatiche specifiche ma ha aperto una contestazione di fondo sulla stessa identità del partito. Le sue tesi sono state condensate in un volume tradotto anche in Italia con il titolo “Contro la sinistra neoliberale” (Fazi editore, 2022). La tesi di fondo è che la sinistra, definizione all’interno della quale viene collocata anche la Linke oltre che i socialdemocratici e i verdi, abbia da tempo smesso di difendere le classi popolari o più esattamente “gli svantaggiati” contro le classi medio-alte. Ora invece sarebbe prevalsa una sinistra interessata soprattutto allo “stile di vita” non più concentrata sui problemi politico-economici. La principale attenzione riguarderebbe le “abitudini di consumo” che sarebbe unita ad un atteggiamento moralistico sul comportamento di quei settori di popolazione che non ne condividono le aspirazioni. Mentre i primi, definiti come “liberali di sinistra” sarebbero soprattutto appartenenti al ceto medio, laureati, insediati nelle aree urbane, i secondi sarebbero i cittadini di basso reddito, minore istruzione e relegati nelle periferie.

Per la Wagenknecht una colpa di questa “sinistra” sarebbe anche di essere cosmopolita e a favore dell’Europa ritenendo che lo stato nazionale sia ormai destinato al declino. Il suo fulcro ideologico consisterebbe nella “politica identitaria” che consisterebbe nel rivolgere l’attenzione a “minoranze sempre più piccole e sempre più stravaganti che, di volta in volta, si ritrovano al centro di una qualche mania che le distingue dalla maggioranza e in base alla quale si percepiscono come vittime”.

Nel retroterra di queste posizioni ci sarebbero le teorie formulate da filosofi francesi negli anni ’60 (Foucault e Derrida in primis), secondo le quali “l’uomo non si serve della lingua per descrivere la realtà, ma per crearla”. Al di là della lingua, in pratica, “non esiste alcun mondo a cui riferirsi”. Per la Wagenknecht costoro vorrebbero superare i rapporti di dominazione e di potere “parlando diversamente”. In pratica, secondo la sua valutazione polemica, il cambiamento delle parole diventerebbe molto più importante del cambiamento dei rapporti reali.

Il “liberalismo di sinistra” è denunciato come una “grande narrazione” del ceto medio dei laureati e degli accademici, i quali sarebbero i vincitori della globalizzazione, mentre invece gran parte delle classi popolari si collocherebbero tra i perdenti.

La critica al “cosmopolitismo” della sinistra liberale, oltre che riguardare il tema del ruolo dello Stato nazionale, visto ancora come il terreno centrale, se non l’unico, nel quale si possano conquistare diritti per i lavoratori, si collega anche al rilancio del tema della “comunità”. “Gli uomini” (la Wagenknecht coerentemente con le sue tesi, non si preoccupa della differenziazione di genere), nonostante i processi di individualizzazione, restano esseri sociali. In quanto tale hanno bisogno della “comunità”, la quale si definisce a partire dal principio di appartenenza. Esiste una “comunità” se si è stabilito chi ne fa parte e chi ne è estraneo. L’esistenza di un sentimento comunitario è la condizione per sviluppare e proteggere i beni comuni perché all’interno della “comunità” si creerebbero rapporti di maggiore fiducia.

La Wagenknecht, sulla base di queste premesse, tende ad assumere come propri elementi significativi del pensiero conservatore. “Il riconoscimento del ruolo importante svolto dalle tradizioni e dalla cultura per il pensiero e il comportamento umani e l’apprezzamento del loro valore per la coesione sociale sono parte dell’eredità intellettuale del conservatorismo”, scrive la parlamentare della Linke. Il conservatorismo culturale, che vorrebbe preservare un “sistema di valori” messo in discussione dal capitalismo globalizzato, tra i cui esponenti viene citato il britannico Roger Scruton (molto apprezzato anche da Giorgia Meloni), viene separato dal conservatorismo politico.

Le tesi espresse con un’indubbia abilità polemica da Sahra Wagenknecht, personaggio carismatico e abile nell’utilizzare i media anche digitali, suppongono di poter fondare politiche critiche del neoliberismo contrapponendole alla sensibilità per i diritti cosiddetti civili e invece alleandole a visioni socio-culturali conservatrici. La separazione tra conservatorismo culturale e conservatorismo politico è più immaginaria che reale. Le destre, anche nella loro versione nazional-conservatrice e post-fascista, sono apertamente sostenitrici degli interessi del capitale contro il lavoro. Differenziandosi relativamente in una maggiore attenzione per il capitale nazionale rispetto a quello globale e della media e piccole impresa verso la grande e verso la finanza, ma mai schierandosi a difesa delle classi lavoratrici.

Secondo i sondaggi un ipotetico partito promosso e guidato dalla Wagenknecht potrebbe ottenere un consenso decisamente superiore a quello che viene attualmente attribuito alla Linke (che si aggira attorno al 4-5%). Ma si tratta di una ipotetica disponibilità al voto che non è facile trasferire in consensi reali. Il movimento che ha lanciato nel 2018 (Aufstehen) dopo una fiammata di interesse mediatico è rapidamente declinato nell’irrilevanza. La stampa ipotizza che un’eventuale decisione della Wagenknecht di lasciare la Linke dovrebbe realizzarsi per tempo prima delle elezioni europee del 2024.

Per il momento i parlamentari ritenuti vicini alle posizioni della Wagenknecht restano all’interno del gruppo della Linke. Una loro fuoriuscita avrebbe effetti disastrosi perché il partito della sinistra, non avendo raggiunto la soglia del 5% nelle ultime elezioni politiche, ha potuto costituirsi in gruppo (con tutti i benefici di finanziamento e di personale conseguenti), grazie al fatto di avere ottenuto tre eletti in circoscrizioni maggioritarie e con ciò conquistati 39 seggi complessivi. Scendendo sotto i 35 membri il gruppo parlamentare non verrebbe più riconosciuto.

La versione di populismo sostenuta dalla Wagenknecht (non riconducibile alle teorizzazioni di Laclau e Mouffe) è nettamente minoritaria all’interno della Linke, ma trova consensi in correnti intellettuali che vedrebbero con favore un avvicinamento tra la sua sinistra e parte della destra che si ritrova nell’AfD. Una miscela di conservatorismo socio-culturale, nazionalismo tedesco e keynesismo economico, abbastanza inedita e probabilmente poco praticabile.

A fronte del rischio di scissione, il gruppo dirigente della Linke, nelle sue varie articolazioni, ha cercato di ridefinire una base politica comune con la “Dichiarazione di Lipsia” sottoscritta da tutti coloro che hanno un ruolo formale del partito, in primo luogo dai due leader Janine Wisser e Martin Schirdewan (che è anche co-capogruppo della Sinistra al Parlamento europeo).

Nel riaffermare la propria identità di partito critico del capitalismo e a favore della giustizia sociale aperto ai temi dell’ambientalismo, del femminismo, del pacifismo ecc., nel documento si è cercato di trovare una posizione condivisa su alcune delle questioni politiche controverse.

Sulla guerra in Ucraina viene confermata la condanna per “la guerra illegale di aggressione” della Russia e la richiesta di “immediato ritiro” delle truppe di Putin come “il diritto dell’Ucraina all’auto-difesa”. Contemporaneamente si afferma di “non ignorare il fatto che l’Ucraina sia diventata il terreno di scontro di un conflitto geopolitico”. Per questo, anziché il prolungarsi di una lunga guerra dalle devastanti conseguenze con il pericolo di una escalation pericolosa, la Linke “promuove alternative alla logica militare”. Per questo si chiedono “iniziative diplomatiche da parte della Germania e dell’Unione Europea verso paesi come la Cina e l’India, che possono esercitare un’influenza sulla Russia al fine di raggiungere un cessate il fuoco e dei negoziati di pace”. Non viene però proposta un’azione diplomatica diretta nei confronti della Russia, come invece ha sostenuto il nuovo ministero degli esteri brasiliano nominato da Lula, Mauro Vieira, in una lunga intervista al “Monde” parigino .

Una prima prova per la Linke, in questo contesto di conflittualità interna non risolta, sarà il voto degli elettori di Berlino, chiamati il prossimo 12 febbraio a rieleggere il Parlamento locale, avendo la corte suprema berlinese annullato il voto precedente per irregolarità. Attualmente i sondaggi danno il partito di sinistra attorno al 12-12,5%, un paio di punti sotto il risultato del 2021. L’attuale maggioranza rosso-rosso-verde dovrebbe riuscire a conservare la maggioranza assoluta, anche se la CDU sembra destinata a diventare il primo partito della città.

Franco Ferrari

 

 

 

 

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