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Riprendiamoci il comune

di Nicoletta
Pirotta

Il prossimo 27 gennaio partirà la campagna “Ripendiamoci il comune” proposta da Attac e  sostenuta da numerose associazioni, reti, sindacati.

Provo a spiegare quali sono i perché di fondo di questa campagna e le potenzialità che essa offre.

Come si legge sul sito di Attac : “La nostra Costituzione all’art. 118 afferma che le funzioni amministrative sono attribuite in via prioritaria ai Comuni, riconoscendone il ruolo di luoghi della democrazia di prossimità. Sono infatti i Comuni gli enti di riferimento delle/degli abitanti di un territorio, a cui devono garantire coesione sociale, servizi pubblici e beni comuni.
Con l’avvento delle politiche liberiste e di austerità, la funzione pubblica e sociale dei Comuni è stata fortemente pregiudicata.
Il patto di stabilità e il pareggio di bilancio – misure economiche di drastico contenimento della spesa pubblica – hanno profondamente mutato la natura dei Comuni, che, da garanti dei diritti fondamentali, sono divenuti enti la cui unica preoccupazione è la stabilità dei conti economici.
In seguito a questo, i Comuni hanno tagliato pesantemente la spesa per i servizi e per gli investimenti, privatizzato i servizi pubblici locali e messo sul mercato il territorio e il patrimonio immobiliare.
Tutto questo non trova alcuna giustificazione: infatti, la quota parte del debito pubblico nazionale attribuita ai Comuni non supera l’1,5%!
Intanto Cassa Depositi e Prestiti ha dismesso i panni di soggetto pubblico al servizio dei Comuni per diventare  un soggetto di mercato che compete con le banche. I finanziamenti  sugli investimenti richiesti dagli enti locali diventano normali operazioni con tassi di interesse stabiliti dal mercato che a volte sono da “usura”.
Possiamo quindi ribadire a ragion veduta che il debito pubblico è stato usato come alibi per mettere i Comuni con le spalle al muro e costringerli a porre sul mercato i beni appartenenti alle proprie comunità territoriali.
Oggi tutti i Comuni si trovano in difficoltà finanziarie e un’alta percentuale degli stessi è in situazione di dissesto finanziario. Ma se un Comune fallisce o mette sul mercato beni comuni e servizi pubblici, si disgrega una comunità territoriale”

La campagna “Riprendiamoci il comune” trova i suoi perché nelle valutazioni sopra descritte e indica un percorso collettivo per provare a mettere in discussione l’esistente: una raccolta di firme su due proposte di legge e la costituzione di gruppi locali che mettano a disposizioni loghi e spazi nei quali discutere temi che stentano a divenire centrali nel dibattito politico,  ma che invece hanno forte ricadute sulla qualità delle nostre vite (ruolo dei Comuni, modelli di welfare, finanza locale e prospettive di cambiamento).
Le proposte di legge che intervengono su alcune contraddizioni sistemiche dell’attuale situazione dei Comuni e  provano a rispondere a due domande fondamentali: quali devono essere gli obiettivi e le modalità decisionali di un Comune? Attraverso quali risorse e con quali modalità un Comune si può finanziare?
I contenuti delle due proposte di legge su cui raccogliere, nell’arco di 6 mesi a partire dal 15 gennaio p.v.,  le firme necessarie (50.000) alla  loro presentazione. sono i seguenti:

  • la prima proposta di legge riforma la finanza locale e contrappone  al pareggio di bilancio finanziario il pareggio di bilancio sociale, ecologico e di genere. Non nega la necessità di un equilibrio finanziario, ma si oppone all’ossessione del pareggio di bilancio.  Prevede la partecipazione diretta dei cittadini alle scelte fondamentali dei Comuni e all’utilizzo ecologico, sociale, culturale e ricreativo dei beni pubblici. Trova le risorse necessarie nella Cassa Depositi e Prestiti, ente a cui vengono conferiti i risparmi (280 miliardi) di oltre 20 milioni di abitanti;
  • la seconda proposta di legge chiede la socializzazione di Cassa Depositi e Prestiti, attraverso la sua trasformazione in un ente pubblico che operi, in maniera decentrata e partecipativa, al servizio delle comunità locali, come leva finanziaria fuori mercato per gli investimenti relativi al riassetto idrogeologico del territorio, alla sistemazione degli edifici scolastici, alla riconversione energetica degli edifici pubblici, alla gestione partecipativa dei beni comuni, al riutilizzo abitativo e sociale del patrimonio pubblico, alla mobilità sostenibile, alla trasformazione ecologica della filiera del cibo e delle attività produttive. Prevede che le scelte di destinazione dei risparmi dei cittadini siano fatte attraverso la partecipazione degli stessi.

In attesa di un sito dedicato, che sarà pronto a breve in concomitanza con l’avvio della campagna, notizie più dettagliate, oltre all’elenco delle realtà  aderenti, si possono trovare  sul sito https://www.attac-italia.org/riprendiamoci-il-comune-2/

Due note finali sulle potenzialità di questa campagna.

La prima: a nessuno dei partecipanti alla campagna sfugge la difficoltà del percorso proposto, ma infondo “anche le imprese impossibili scaldano il cuore” e poi , come dicevo poco sopra, attraverso le iniziative che via via si produrranno si avrà la possibilità di affrontare temi temi che stentano a divenire centrali nel dibattito politico, ma che incidono profondamente sulla materialità delle vite di noi tutt3 (ruolo dei Comuni, modelli di welfare, finanza locale e prospettive di cambiamento).

La seconda e più sostanziosa: il governo da poco insediatosi ha in mente radicali modifiche costituzionali che, qualora vedessero la luce, modificherebbero non poco l’assetto istituzionale del nostro paese e avrebbero pesanti ricadute sul un sistema di welfare già fortemente privatizzato e svilito dalle politiche neo-liberiste degli ultimi decenni.

Mi riferisco al progetto di autonomia differenziata cioè una politica che prevede la concessione di maggiore autonomia a determinate regioni all’interno di un paese. Questa autonomia può includere la possibilità di prendere decisioni in materia di politica, di gestire i propri affari interni e di avere maggiore controllo sulla propria economia.
Nei fatti significa che oltre alla sanità già da tempo regionalizzata con i pessimi risultati che abbiamo ben visto ( e che la pandemia ha messo drammaticamente ed ulteriormente il luce) ora si vorrebbe regionalizzare e quindi frammentare l’istruzione pubblica. La scuola del resto è strumento importantissimo di costruzione del consenso in particolare se la si sposta in una dimensione regionale consentendo al ceto politico locale di avere un rapporto più diretto con personale docente, studenti, famiglie.
Ma non solo. Come sostiene a ragion veduta il prof. Villone, docente di Diritto Costituzionale dell’Università di Napoli Federico II e Presidente del Comitato per la Democrazia Costituzionale, alcune Regioni, in particolare quelle del nord, chiedono la regionalizzazione in tutte le materie di potestà legislativa concorrente. Non solo sanità e istruzione, ma anche lavoro, sicurezza nel lavoro, ambiente, gestione del territorio, energia, reti di comunicazione e di trasporto nazionali (porti, aeroporti, autostrade, ferrovie….).
In tutta evidenza il progetto sull’autonomia differenziata non solo frammenterebbe il Paese  creerebbe regioni di serie a e di b (come taluni Presidenti di Regione del Sud denunciano mentre quelli del Nord anche se di centro-sinistra sembrano non disdegnare la proposta…) facendo carta straccia di uno dei principi fondanti la Carta Costituzionale cioè quello della solidarietà.

L’altra modifica costituzionale auspicata dalla destra è il semi-presidenzialismo. Per bocca della stessa Presidente del Consiglio il governo proverà a realizzare questa forma di governo che prevede una sostanziale modifica nel rapporto fra Esecutivo e Capo della Stato prevedendo l’elezione diretta da parte dei cittadini non solo del Parlamento, ma anche del Presidente della Repubblica. Come hanno spiegato esponenti di FdI  il modello di riferimento è quello francese. In tale Paese  il corpo elettorale elegge sia il Parlamento sia il capo dello Stato. Il primo accorda la fiducia al Governo mentre il secondo  non si “limita” a dare l’incarico ma nomina direttamente l’esecutivo. Dunque la  caratteristica fondamentale della forma di governo semi-presidenziale è data dalla condivisione del potere esecutivo tra Presidente della repubblica e Capo del Governo.

È del tutto evidente la torsione autoritaria che le due proposte governative, se approvate, porterebbero con sé. E quindi l’opposizione ad esse diventa importante e necessaria.

La campagna “Riprendiamoci il comune” potrebbe, oltre ad offrire uno strumento concreto di attivismo politico. affiancarsi alle iniziative di contrasto alle “riforme” costituzionali della destra (e non solo purtroppo…) aumentandone l’efficacia.

Dico “potrebbe” perché molto dipenderà da noi, come sempre….

Nicoletta Pirotta

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