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Il nazionalismo securitario non è mai quieto. Riparte la guerra contro le organizzazioni umanitarie

di Elena
Coniglio

La firma del Presidente Mattarella è arrivata il 2 gennaio, dopo 5 giorni dall’approvazione da parte del cdm del 28 dicembre e nonostante i diversi appelli sollevati che gli domandavano di non apporla. Il codice di condotta per le Ong impegnate nelle operazioni di salvataggio dei migranti in mare è stato consegnato insieme al “pacchetto sicurezza”ed è fresco di pubblicazione. Dal testo, sin da subito analizzato e criticato sotto il profilo giuridico sappiamo emergere sia il mancato rispetto della gerarchia delle fonti che delle violazioni di convenzioni internazionali.1 Quindi di norme costituzionali.

La propaganda politica, unita alle narrazioni dominanti ha però generato una ‘stanza degli echi’ dalla quale sembra difficile uscire. C’è un capitolo che non viene forse raccontato apertamente. Ed è il grande assente delle narrazioni ufficiali, il paese terzo al quale l’Italia, con la complicità dell’agenzia di frontiera dell’UE ‘Frontex’, affida il compito di bloccare i flussi migratori diretti verso l’Europa passanti per il Mediterraneo centrale. La Libia.

Se questo decreto agisce infatti sul fronte emotivo e del consenso politico nell’istituzionalizzare la criminalizzazione del soccorso in mare da parte di enti non governativi, esso opera anche nell’accentuare in maniera ancora più netta l’opera di “desertificazione” del Mediterraneo Centrale, escludendo per il maggior tempo possibile la presenza delle navi civili che vi operano. Assenza che oltre ad impattare negativamente sui soccorsi in mare potrebbe rendere più agevole l’operatività delle autorità costiere libiche nei respingimenti collettivi messi in atto con la collaborazione di Frontex. Va sempre ricordato che anche secondo l’Alto commissariato delle Nazioni Unite, i porti libici non possono essere riconosciuti come POS (Place of Safety) non offrendo le sufficienti garanzie di sicurezza per chi vi sbarca.

Proprio il 12 dicembre scorso, ‘Border Forensic’, pubblica l’inchiesta ‘Airborne Complicity – Frontex Aerial Surveillance Enables Abuse2, in partenariato con ‘Human Rights Watch’, che ricostruisce attraverso un’analisi della sorveglianza aerea nel Mediterraneo centrale il ruolo degli assetti aerei dell’agenzia. Il pattugliamento aereo, operato con aerei e droni speciali da parte di compagnie private che trasmettono dati al quartier generale di Varsavia e dal quale partono le decisioni operative sulla base delle intercettazioni delle imbarcazioni, non sarebbe come dichiarato dalla stessa rivolta al soccorso della vita in mare e alla tutela dei migranti, bensì a respingimenti collettivi. E giova sempre ricordare la Convenzione di Ginevra del 19513 a tutela dei rifugiati, mai ratificata dallo stato libico, dalla quale si ricava il principio di non respingimento all’art.33 e dove nei sue due commi si sanciscono sia il divieto di espulsione e respingimento al confine, che il dispositivo che assicura la sicurezza pubblica, ovvero chiarisce come non si applichi per quei rifugiati che siano stati condannati per crimini o delitti particolarmente gravi.

I risultati dell’ inchiesta, presentati in forma multimediale dai ricercatori attraverso la pagina web della ricerca, rivelano che la presenza di aerei Frontex, contrariamente agli scopi dichiarati, non ha avuto infatti un impatto significativo sulla diminuzione del tasso di mortalità in mare. Al contrario, come dichiarano i ricercatori, “abbiamo trovato una correlazione moderata e statisticamente significativa tra i suoi voli in attività aeree e il numero di intercettazioni eseguite dalla Guardia costiera libica. Nei giorni in cui gli assetti volano più ore sulla sua area di funzionamento, la Guardia Costiera Libica tende a intercettare più navi”.

L’analisi che ha portato alla luce tali esiti parte dalla ricostruzione e dall’esame di casi specifici di intercettazioni che hanno visto coinvolti gli aerei e i droni utilizzati da Frontex che ha permesso ai ricercatori di compilare un ampio elenco dei casi.

A partire da questi ultimi è stato deciso di focalizzare l’attenzione sugli eventi del 30 luglio 2021, preso quale caso di studio. Quel giorno infatti diverse imbarcazioni che trasportavano centinaia di persone sono state intercettate dalla Guardia costiera libica nella zona in cui un drone effettuava i pattugliamenti. “Le prove che abbiamo raccolto suggeriscono fortemente che il drone ha svolto un ruolo chiave nel facilitare l’intercettazione..”

 La nave di soccorso Sea Watch 3, che quel giorno aveva un’imbarcazione in mare e un aereo in volo non ricevette però alcuna richiesta di soccorso nonostante si trovasse nelle vicinanze. Poté però assistere ad un’intercettazione delle due imbarcazioni presenti in mare e divenire una testimonianza importante. Partendo da questo caso particolare, sono state poi monitorate le attività complessive degli aerei Frontex nel Mediterraneo centrale, un elenco delle risorse aeree in uso, e ricavati dei modelli di analisi dei tracciati dei velivoli che permettono di comprendere il comportamento degli stessi rispetto alle intercettazioni dei natanti. Oltre ad un’analisi statistica della correlazione tra la sorveglianza aerea di Frontex e le intercettazioni dei migranti nel Mediterraneo avvenute nel 2021-2022.4

Il pattugliamento aereo costituisce dunque un anello fondamentale nei respingimenti collettivi praticati in vari modi dalla Libia, dove le persone intercettate e ricondotte indietro subiranno detenzione arbitraria, torture e violenza. Anche grazie a questa delicata e innovativa inchiesta, che ha permesso di produrre prove scientifiche, si sono messe in luce le pratiche dei “respingimenti collettivi su delega”, recentemente oggetto di denuncia presso la Corte penale internazionale da parte dell’European Center for Constitutional and Human Rights, organizzazione non governativa di giuristi con sede a Berlino.5

Le prove sulla complicità di Frontex negli abusi in Libia ci chiama a prestare attenzione alla dimensione esterna nella quale si colloca questo decreto e che andrà forse analizzata con la massima cura anche nella dimensione della “governance globale delle migrazioni internazionali”.

“La difesa dei confini” è infatti un elemento chiave nella gestione dei flussi migratori da parte del ministro Piantedosi e se con questo decreto si tenta di raggiungere un’efficacia sul piano emotivo additando un capro espiatorio, le ong che operano nel Mediterraneo, limitandone oggettivamente l’operato, esso seguita nel solco tracciato nel 2017 dal ministro Minniti, che oltre a creare il precedente del codice di condotta, si fece a sua volta portatore di una visione securitaria sancendo un legame d’intesa con lo Stato libico, fondato sulla mera pratica dell’accordo informale (Memorandum Of Understanding), quale parte di un disegno più ampio e per il quale non si chiede a sufficienza trasparenza.

Tornando alle ragioni contingenti che spingono a guardare questo decreto partendo proprio dalla Libia, è interessante notare che il giorno in cui il Consiglio dei ministri approvava il nuovo Decreto legge, una delegazione della sicurezza italiana esaminava i piani di sicurezza emessi dal Ministero dell’interno di fronte al neo ministro libico Emad Al-Trabelsi. E che tra i vari obblighi imposti attraverso il nuovo decreto,  si impone alle navi delle ong che effettuano “in via non occasionale attività di ricerca e soccorso in mare” l’aver richiesto all’Autorità SAR competente, nell’imediatezza dell’evento, l’assegnazione del porto di sbarco.

Nei giorni immediatamente successivi all’emanazione del decreto, il governo italiano ha sì accetato di assegnare un porto sicuro di sbarco, ma ad un’enorme distanza dal luogo in cui sono avvenuti i soccorsi. Livorno, Ravenna, e da ultimo Ancona. Una scelta volta a rallentare le operazioni di salvataggio e a bloccare per un tempo più lungo le attività delle navi di soccorso, ora maggiormente impegnate nella navigazione verso porti lontani, mettendo a repentaglio la vita dei naufraghi.

Le motivazioni addotte (non sovraccaricare i porti siciliani e calabresi) sono risibili se si considera che in tal caso si dovrebbe provvedere allo sbarco dei naufraghi nel porto sicuro più vicino e ad un eventuale trasferimento verso punti di accoglienza via terra. Il risultato, purtroppo prevedibile, è stato far percorre 1500 km di mare agitato, con onde oltre i sei metri, ai richiedenti asilo caricati  dalla Geo Barents e da Ocean Viking che dovevevano raggiungere Ancona, oltreché far spendere per tali operazioni oltre 80mila Euro.

In merito alla Libia, e all’impossibilità di definire i suoi porti come sicuri, Fulvio Vassallo Paleologo, che analizza giuridicamente il decreto in un articolo pubblicato su ADIF (www.a-dif.org) il 29 dicembre6, snocciolando tutte le criticità e le violazioni contestate al testo emanato, ci ricorda che “per ritenere legittimo il soccorso di una nave civile operato in acque internazionali rientranti nella vasta zona SAR ‘libica’, frutto di una dichiarazione del governo di Tripoli, nel giugno 2018, dopo il Memorandum d’intesa Gentiloni del 2 febbraio 2017, non occorre accertare che l’unità di soccorso abbia richiesto il coordinamento alle autorità di un paese che, oltre a non avere una unità territoriale, non ha ancora i requisiti previsti dall’IMO per il riconoscimento di una zona SAR di propria competenza, a partire, oltre che dalla dotazione di mezzi, da una centrale di coordinamento (MRCC).” Quindi “L’autorità SAR ‘competente’ per il coordinamento dei soccorsi per l’assegnazione di un porto di sbarco sicuro è soltanto l’autorità SAR di un paese che può garantire porti di sbarco sicuri.”

Il decreto sembra voler insistere su questo aspetto proprio a voler forzare le organizzazioni non governative che si rifiutino di rendersi complici di gravi violazioni dei diritti umani, come quella del divieto di respingimento, a collaborare con un’entità come la “Guardia costiera libica” alla quale viene affidato, attraverso il suo articolarsi, il compito di intercettare le persone in fuga attraverso il mare e di riportarle in Libia, dove già da tempo le Nazioni Unite hanno documentato casi di collusione fra autorità, gruppi armati infiltrati nelle forze di sicurezza e organizzazioni criminali, e dove l’immigrazione ‘irregolare’ è criminalizzata con sanzioni penali attraverso la legge nazionale7.

Fino a che punto l’Italia e l’Unione Europea, e in nome di quale idea di gestione dei flussi migratori, dopo la nuova stretta autoritaria che mira a desertificare totalmente il Mediterraneo ed escludere organismi di soccorso e salvataggio, continueranno a garantire una collaborazione con autorità di questa natura?

Elena Coniglio

  1. https://www.a-dif.org/2023/01/03/si-ritorna-al-diritto-di-polizia-obblighi-di-soccorso-in-mare-a-discrezione-dei-prefetti/[]
  2. https://www.hrw.org/video-photos/interactive/2022/12/08/airborne-complicity-frontex-aerial-surveillance-enables-abuse[]
  3. https://www.unhcr.org/it/wp-content/uploads/sites/97/2016/01/Convenzione_Ginevra_1951.pdf[]
  4. https://www.borderforensics.org/app/uploads/2022/12/BF_StatAnalysis_arial.pdf[]
  5. https://www.ecchr.eu/fileadmin/user_upload/20221129_LibyaICC2_QA_EN_final_30_11.pdf[]
  6. https://www.a-dif.org/2022/12/29/un-codice-di-condotta-imposto-per-decreto-uno-sfregio-alla-costituzione-ed-alle-norme-internazionali/[]
  7. https://unsmil.unmissions.org/sites/default/files/libya-migration-report-18dec2018.pdf[]
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