Secondo uno studio di ottantacinque scienziati di 20 paesi mediterranei entro il 2040 250 milioni di abitanti della regione mediterranea saranno vittime di scarsità idrica, la nostra regione si sta riscaldando il 20 per cento più della media globale 1. Questo richiamo serve a collocarci in modo specifico, in una condizione particolarmente critica, in un contesto globale per nulla rassicurante, per usare un eufemismo.
Il titolo del libro collega esplicitamente crisi climatica, insorgenza sempre più diffusa di guerre e guerra civili, il gonfiarsi dei flussi migratori. Si sottolinea come il clima sia un elemento basilare dei cicli naturali e come in sostanza le società umane si siano evolute sviluppando le tecniche necessarie per affrontare gli eventi imprevedibili o meglio ritenuti possibili, ma al di fuori delle regolarità su cui si fonda la stabilità delle stesse società.
Le diverse società nelle diverse aree del globo, in differenti fasi di sviluppo delle tecnologie, che possiamo ricostruire prima dalle tracce e dalle memorie affidate prima alle immagini e poi alla scrittura, hanno creato le condizioni della propria stabilità. Senza alcuna pretesa di entrare nel merito della storia delle civiltà, il ciclo di molte società per un verso è legato alla crisi degli elementi di coesione interna, dall’altro alla rottura degli equilibri con l’ambiente da cui ricavavano le risorse per il proprio sostentamento, in modo diverso a seconda del grado di stanzialità o di mobilità delle popolazioni. Alcune società sono collassate per la rottura degli equilibri riproduttivi con il proprio ambiente. Lo sviluppo del sistema mercantile prima e industriale poi nella parabola di sviluppo del capitalismo si è fondato sulla distruzione di intere civiltà, lo sterminio e la riduzione in condizione di schiavitù di intere popolazioni, su scala continentale. Del suprematismo molto si è scritto su queste pagine; la distruzione di intere civiltà, nomadi o stanziali che fossero ha avuto come posta in gioco l’appropriazione dei territori, delle risorse che offrivano alle potenze coloniali, ai nuovi stati, oggi si si direbbe dei servizi ecosistemici che mettevano a disposizione, modificando radicalmente la struttura di quegli ambienti.
La crisi climatica ha un che di paradossale, le condizioni del massimo sviluppo delle società industriali creano le condizioni del loro collasso a causa del riscaldamento globale indotto dalle emissioni dei gas serra. Nulla di nuovo si dirà, non è la prima volta che una forma di civiltà crea le condizioni del proprio collasso, tuttavia questa volta il collasso riguarda l’intera umanità. Il dato più rilevante sono le profonde diversità nella modalità concui si fa fronte a questa prospettiva; la crisi climatica diventa una componente fondamentale della competizione globale invece di essere una motivazione per una cooperazione globale, condizione necessaria per creare le condizioni per affrontarla efficacemente.
Il mutare del clima diventa un elemento delle strategie militari, laddove la definizione del campo di battaglia e lo svolgimento dei conflitti su scala regionale e globale devono tener conto delle condizioni in cui il conflitto si sviluppa e dei fattori di fragilità indotti dai mutamenti climatici nei contendenti. Negli ultimi anni è invalso il riferimento al carattere ibrido delle forme attuali della guerra, in riferimento alla complessità tecnologica tanto delle forze militari quanto delle società nella quale trovare i punti deboli dell’avversario; in realtà il carattere ibrido riguarda il complesso dei processi di produzione e riproduzione delle società messi in gioco nel confronto globale, negli scontri diretti e indiretti. L’uso duale delle tecnologie investe sempre più profondamente lefiliere dell’ innovazione tecnologica; la criticità di sistemi tecnologici sempre più complessi, si sposa con la fragilità degli assetti territoriali e ambientali sotto la pressione degli eventi metereologici estremi come le alluvioni sempre più frequenti o duratori come i periodi di siccità, con la fragilità delle reti ecologiche, da cui la precarietà dei ‘servizi ecosistemici’ nei confronti dei bisogni societari; infine la crescita in questo contesto delle diseguaglianza da’ il colpo di grazia alla residua stabilità dei sistemi politici e sociali. L’uso duale dei singoli dispostivi e delle infrastrutture tecnologiche è assieme un requisito e una conseguenza del passaggio da un regime di normalità a quello di stato di eccezione, dalla necessità della sicurezza interna a quella esterna. Una trasformazione progressiva del regime che abbiamo conosciuto come guerra al terrore, nel passaggio da un secolo all’altro, nel quale esplodeva la crisi dell’ordine neoliberista e si palesavano i termini di nuovi assetti carichi di contraddizioni dei quali oggi facciamo piena esperienza.
Secondo un approccio sistemico siamo di fronte ad una condizione di instabilità globale, nella quale nessuno dei contendenti si trova in una posizione di relativa stabilità, avendo davanti a sé un orizzonte di medio lungo periodo, nel quale sia prevedibile la traiettoria del proprio sviluppo. Condizioni interne ed esterne, rapporti reciproci, intrecci globali contribuiscono alle dinamiche trasformative della singola formazione sociale, che siano gli Usa, la Cina, L’unione Europea o l’India. Molte analisi anche su questa rivista si concentrano sulla perdita progressiva di centralità degli Stati Uniti nei rapporti di forza globali; di certo il passaggio alla seconda presidenza Trump ha segnato una cesura drammatica rispetto alle strategie messe in campo dalla precedente amministrazione nell’affrontare le transizioni o meglio nel costruire le condizioni di una transizione governata, controllata nel campo della crisi climatica e dell’innovazione tecnologica, i cui caratteri sono dirompenti rispetto agli equilibri esistenti; il termine inglese ‘disruption’ ne definisce i caratteri. La crisi indotta dalla pandemia da Sars-Cov-2 (Covid) ha accelerato processi di ristrutturazione economica e sociale, legittimando interventi degli stati di dimensioni che non si vedevano dal dopoguerra.
Oltre le teorie economiche, che indicano nella guerra sui dazi il rimedio alla parziale perdita di centralità dell’economia USA, soprattutto al rischio rappresentato dal livello di indebitamento, l’insieme di misure reazionarie col quale si cerca di cerca di consolidare un blocco sociale, di disarticolare un fronte liberal-progressista al costo disarticolare il sistema della ricerca –avendo avuto peraltro la piena sottomissione delle Big Tech, a cui è stata data in cambio mano libera nella sviluppo delle tecnologie di A.I. – rappresentano la scelta, come abbiamo già detto, di far saltare il banco di giocare, d’anticipo nel mantenere l’iniziativa in un succedersi di oscillazioni crescenti e sempre più devastanti degli assetti globali. Non si tratta semplicemente di una logica mercantile, come appare nel contratto siglato con l’Ucraina sulle cosiddette ‘terre rare’, forse neanche di una strategia definita e articolata, quanto di quella scelta del gioco di anticipo nel tentativo di disarticolare gli avversari interni ed esterni, nel concentrare il potere. Forse è anche poco importante valutare quanto questo processo dipenda dai caratteri del soggetto che si trova a rivestire i panni del presidente degli Stati Uniti, assieme alle qualità del circolo ristretto che occupa le posizioni di potere centrale, quanto piuttosto il come tutto ciò sia possibile. Le potenzialità di un sistema, come la raffica, il flusso continuo ed intenso di ordini esecutivi, parte della costituzione formale, vengono portate oltre ogni limite precedente e attuate in un modo che punta a stravolgere la divisione dei poteri, giocando d’anticipo anche in questa contesa. Si forza la costituzione formale per rideterminare radicalmente la costituzione materiale.
Del resto dall’altra parte dell’oceano pacifico oscillazioni nella centralizzazione del potere si registrano, con modalità sue proprie, nel regime politico cinese; vedi ad esempio la limitazione al potere dei potenti delle big tech cinesi, impersonati da Jack Ma, che dopo alcuni anni è ricomparso e riammesso nel circuito ristretto del potere. Certo il sistema di potere cinese appare ben più stabile di quello statunitense, ma a fronte delle straordinarie trasformazioni in corso, che investono elementi basilari della riproduzione come tasso di natalità, invecchiamento della popolazione, flussi migratori, correlati alla mutazione della composizione sociale indotta dall’innovazione tecnologica, dalla dislocazione delle catene del valore, si impongono processi di centralizzazione, assieme ad una riarticolazione delle gerarchie sociali. Se si attraversa la catena dell’Himalaya la gestione del potere politico, della trasformazione sociale di una nazione di oltre un miliardo e mezzo di abitanti, passa per una centralizzazione del potere nelle mani di Narendra Modi e del suo partito BJP che punta all’emarginazione della componente mussulmana della popolazione, oltre 140 milioni di persone, al punto da parlare di rischio di genocidio2. Tutto l’arco dell’oceano pacifico è investito da tentativi di costruire nuove alleanze economiche, strategiche e militari che lo scossone trumpiano sta accelerando.
A più riprese abbiamo evocato la metafora, la figura del Cyborg globale ovvero l’innesto di processi di riproduzione artificiali, nel corpo dei processi naturali di riproduzione della vita, nei quali si sono interrotti nessi sostanziali. Come si diceva all’inizio citando il testo di Antonello Pasini, i tempi accelerati, le rotture negli ecosistemi, nelle dinamiche ambientali rendono difficili gli accomodamenti in nuovi assetti ecologici, si realizzano rotture drammatiche tanto nel mondo della vita quanto nei meccanismi di riproduzione sociale. Si realizzano nuovi nessi e connessioni – non sono solo milioni di alberi piantati nei deserti- ma è linnesto di sempre nuove tecnologie nel complesso del ciclo agro-alimentare, delle materie prime energetiche, dei materiali strategici necessari per realizzare e cosiddette fonti rinnovabili –rinnovabili nella fonte energetica primari il sole, il vento le maree, ma non nei materiali necessari a realizzarne i dispositivi– è l’accoppiata tra biotecnologie e tecnologie digitali che è chiamata a ricostruire una parvenza di nuova Gaia.
È difficile correlare la guerra dei dazi allo sbiancamento progressivo della barriera corallina, nel dibattito pubblico dominante, se non che l’incitamento ad arricchirsi nelle oscillazioni indotte nei mercati finanziari, a moltiplicare le perforazioni petrolifere anche nelle riserve naturali, alimentano il processo che porta allo sbiancamento. Il processo di realizzazione del Cyborg globale, si fa strada attraverso il contesto contraddittorio che abbiamo più che schematicamente descritto, siamo ben oltre il nesso dialettico tra struttura e sovrastruttura dei bei tempi andati: prima che la produzione della vita, la riproduzione tecnica della vita, del linguaggio e della conoscenza complicassero le cose; ben al di là di ogni contesa dottrinaria, il ricambio organico presenta il conto spese.
La tendenza alla guerra, le sue manifestazioni concrete nella crescita esponenziale degli apparati militari e della diffusione di guerre e guerre civili, per un verso è coerente con ciò che accade nei rapporti sociali di produzione, ma questa coerenza con i processi valorizzazione del capitale, con le mutazioni delle forme del potere, non gioca a favore della stabilità né delle formazioni sociali né delle dinamiche climatiche, ambientali, ecologiche a livello regionale globale, sui continenti e negli oceani. In altri termini la ricucitura delle fratture che attraversano il globo, le ferite al corpo di gaia, per usare una metafora efficace, diventano sempre più drammatiche e onerose da rimediare in un modo o in un altro, con la conseguenza di operare una selezione drammatica tra quote di popolazione umana, di forme di vita e sistemi ecologici a cui tocca la fortuna di potersi riprodursi e magari vivere una vita piena, non precaria.
La questione della e della pace si pone sempre più in profondità nel corpo delle società, nella contesa sui modelli disviluppo, nel tessuto degli ecosistemi, nelle dinamiche climatiche, tra loro correlate. Se la guerra è un sistema, totalmente e profondamente interrelato con ogni altro sistema, si tratta di richiamare questi nessi profondi, contro ogni visione superficiale. Nessi profondi che producano riconoscimento reciproco, in un processo di lungo periodo, riconoscimento reciproco in un orizzonte comune. Non sono alle viste scorciatoie, nei decenni sono stati sviluppati linguaggi, concetti, esperienze concrete, visioni parziali del mondo suscettibili di costruire un linguaggio, strumenti per costruire quell’orizzonte comune, sia pure da punti di vista e di esperienza diversi. L’uso della scienza, delle tecnologie deve essere rovesciata rispetto alla creazione di quei nessi artificiali, di cui i meccanismi autoriflessivi di questo mondo artificiale, di cui l’A.I. costituisce lo strumento in pieno sviluppo, messi al servizio del processo di valorizzazione del capitale di conferma della concentrazione del potere. Le ‘ricuciture’ non riattivano la circolazione, la diffusione, la rioganizzazine di forme della vita, se non nella loro piena subordinazione al processo di valorizzazione, producendo una ‘riduzione di complessità’ degli ecosistemi, rendendoli con ciò sempre più fragili, richidendo quindi sempre nuovi interventi per stabilizzarli. Siamo di fronte ad una fragilità crescente delle condizioni che permettono la riproduzione delle società umane, in ciò una ragione di fondo per l’acuirs, l’estendersi ed il diffondersi dei conflitti. Il cerchio si chiude come un nodo scorsoio, se la vita non si rivolta.
Roberto Rosso
- Effetto serra, effetto guerra. Il clima impazzito, le ondate migratorie, i conflitti. Il riscaldamento globale, i ricchi, i poveri – Grammenos Mastrojeni – Antonello Pasini[↩]
- https://www.osservatoriodiritti.it/2022/02/08/india-musulmani/ [↩]