unione popolare

Verso la soggettivazione politica di Unione Popolare

di Fabio
De Nardis

Il progetto di Unione Popolare è ambizioso e prescinde dalle legittime identità organizzative dei soggetti fondatori. Rifondazione, PaP, Manifesta e Dema hanno avuto l’intelligenza politica di immaginare un percorso unitario, accettando la sfida di essere qualcosa in più di se stessi, consapevoli che, al netto delle condizioni storiche oggettive, nessuno degli attuali soggetti organizzati della sinistra radicale italiana sia da solo sufficiente a ricostituire un tessuto sociale e una soggettivazione politica per la trasformazione in senso progressivo ed egualitario di una società per certi versi sterilizzata sotto i dettami di un “capitalismo pop” che si configura come un progetto antropologico prima che socioeconomico.

Ogni percorso unitario tra soggettività diverse e forti di una propria storia e identità organizzativa è sempre complesso e impone una riflessione sul “che fare” e su quale modello organizzativo adottare per garantire l’unità, ma al contempo anche una configurazione che prescinda dalla somma dei soggetti che hanno avuto il merito di intuire l’importanza storica del percorso. Questa sfida è molto importante e va giocata andando oltre le congiunture politico-elettorali. Non può procrastinarsi all’infinito, ma allo stesso tempo non può agirsi per strappi e accelerazioni che rischierebbero di essere disfunzionali a un processo costituente complesso e articolato. I modelli da cui attingere sono diversi, tutti potenzialmente perseguibili. Si dovrà a mio avviso scegliere quello più congeniale alla realtà italiana e alla complessa articolazione della moltitudine di microcosmi che, a sinistra del PD e del M5S, sono stati resi politicamente ininfluenti da un sistema elettorale e politico che inasprisce i conflitti impedendo la loro reale traduzione in una proposta politica unitaria.

In premessa del mio ragionamento affermo che, da gramsciano, credo che lo sbocco necessario per costruire nel medio periodo un soggetto politico organizzato capace di iniziativa politica autonoma sia quello del Partito plurale, diverso quindi dal partito di massa classico o partito tardo-ideologico, ma con la capacità di riunire in sé diverse tendenze, che – allo scopo di superare lo schema del modello federato – preferiscono fondersi in attore unitario. In questo caso, tutte le parti confluite all’interno del soggetto deciderebbero di convergere in un’unica organizzazione politica. Tipici esempi di partiti plurali sono quelli della sinistra radicale tedesca e greca. In entrambi i casi, sia Die Linke sia Syriza contengono al proprio interno diverse esperienze storiche che tuttavia riescono a trovare un accordo, promuovendo una vera e propria fusione politica. La forma organizzativa dei partiti plurali della sinistra radicale nasce, nei casi citati, per spinta delle regole elettorali. La legge elettorale tedesca, quanto meno a livello di Bundestag, obbliga i partiti a presentarsi in veste unitaria. Quello tedesco è infatti un tentativo volto a conferire maggiore stabilità al sistema politico. Molto simile è il caso greco, dove il sistema delle regole istituzionali favorisce l’unità organizzativa. In Italia questo sbocco politico-organizzativo sarebbe perseguibile solo se riuscissimo contemporaneamente a portare avanti con successo una battaglia politica nella direzione di un sistema elettorale proporzionale, che consenta ai partiti di proporsi all’elettorato con il proprio progetto politico per poi trovare convergenze programmatiche in Parlamento dentro un compromesso virtuoso e una proposta di governo.

Al di là delle aspirazioni, credo però che, in questa fase storica, e al netto dell’attuale configurazione politico-elettorale, una eccessiva blindatura organizzativa non sia auspicabile nel breve periodo né sia funzionale al progetto fondativo di UP, cioè quello di diventare il centro di attrazione di diverse soggettività di conflitto e il luogo di costruzione di una proposta politica in favore delle classi popolari. Si tratta allora di capire se tra cartello elettorale e partito plurale esistano alcune formule intermedie da adottare per consentire a UP di acquisire una propria identità organizzativa e diventare la casa politica anche di chi oggi non è iscritto a uno dei quattro soggetti fondatori.

L’ipotesi meno auspicabile perché politicamente più fragile è a mio avviso quella frontista, i cui soggetti con iniziativa politica autonoma scelgono di cedere parte della propria sovranità in occasione delle elezioni accettando di non presentarsi con il proprio simbolo. Si pensi al Front de Gauche in Francia o, se vogliamo, all’attuale configurazione di UP in Italia. La considero un’ipotesi politicamente fragile perché in genere funziona solo in caso di successo elettorale, ma rischia di saltare come in genere capita in caso di insuccesso, schiacciata nella dialettica conflittuale tra le identità organizzative dei soggetti fondatori. Oltretutto è anche la formula meno democratica, perché assestandosi su una dimensione organizzativa di secondo livello, il Fronte fatica ad aprirsi a nuove istanze e nuove soggettività, sclerotizzando l’azione politica dentro la bolla della militanza classica, che tra l’altro è in forte contrazione in Italia come altrove.

Due formule intermedie sono rappresentate dal Partito-fronte o dal partito-movimento. Il primo caso corrisponde più o meno al caso di Izquierda Unida; il secondo al caso di Podemos o della France Insoumise. Nel partito-fronte i soggetti aderenti scelgono di mantenere la propria identità organizzativa cedendo però una porzione di sovranità al soggetto unitario, contemplando quindi anche la possibilità di adesioni individuali per consentire l’allargamento ad altre soggettività o singoli militanti. Il caso del partito-movimento invece è diverso: pur presentandosi a regolari tornate elettorali e assumendo in quelle circostanze le vesti di un vero e proprio partito politico, esso continua a mantenere alcuni tratti distintivi dei movimenti sociali. Si tratta quest’ultima di una ipotesi interessante, ma meno applicabile, in questa fase, al caso di Unione popolare. I casi dei partiti movimento sono interessanti e spesso suggestivi, ma quasi sempre si registra la difficoltà di soggettivazione politica delle istanze sociali portate avanti dai movimenti, con il rischio di competere come soggetto con il terzo settore piuttosto che con gli altri partiti.

Andando per esclusione, l’ipotesi di un soggetto unitario in cui le componenti fondatrici mantengano la propria identità organizzativa, ma al contempo accettino la possibilità di adesioni individuali sia quella più in linea con l’attuale congiuntura. Tale ipotesi consentirebbe, da un lato, l’allargamento di Unione popolare; dall’altro, la possibilità di una iniziativa politica che vada al di là della dimensione prettamente elettorale che, a mio avviso, in questa fase va subordinata alla costruzione del soggetto. La creazione di circoli di UP in tutto il territorio nazionale risponderebbe a una domanda sociale in questa direzione e al contempo rappresenterebbe una garanzia di democrazia territoriale. Ovviamente la disseminazione organizzativa di tipo orizzontale non può prescindere da una dimensione verticale rappresentata da un coordinamento nazionale che, in prospettiva, dovrebbe essere espressione elettiva dei territori e a cui verrebbe demandata la definizione di una linea politica.

Come si può notare, in questo articolo ho preferito ragionare di organizzazione più che di contenuti politici, perché credo sia al momento la questione prioritaria da cui dipende il successo o meno di questo processo costituente. Unione popolare rappresenta la confluenza di soggettività che provengono da culture politiche diverse ma affini, dal progressismo alla democrazia municipale, dall’ecofemminismo alla tradizione socialista e comunista, unite insieme dentro il tentativo non facile ma necessario di ricostituire uno schema interpretativo comune che ponga al centro dell’agenda politica la trasformazione radicale della società in senso egualitario, libertario e progressivo.

Fabio De Nardis

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