unione popolare

Costruire Unione Popolare non sarà un pranzo di gala

di Giovanni
Russo Spena

Condivido l’impostazione di Aragno, che ha aperto questo necessario dibattito, sull’ineludibile costruzione di una soggettività anticapitalista che nasca all’interno dei conflitti e come espressione delle lotte di massa. Proprio ora. Si consuma, infatti, in quasi tutta l’Europa (ma si potrebbe discutere, in maniera articolata, anche degli altri continenti) la scissione tra democrazia e capitalismo. Il tema più emblematico, che spesso rimuoviamo per demagogia e massimalismo, è che le formazioni sociali, a partire dalla società italiana, stanno velocemente slittando verso forme di gramsciana “rivoluzione passiva”. Il governo postfascista italiano ne è emblema.

Contemporaneamente, con apparente contraddizione, emergono, soprattutto sul piano territoriale, strutture embrionali di criticità diffuse e anche di nuove militanze, di nuove forme organizzative. Le quali non negano l’esigenza della costruzione del partito classista. Partecipo attivamente all’esperienza dei Comitati contro ogni autonomia differenziata e al sapere diffuso del Laboratorio Sud, i quali, pur nelle loro diversità, sono metafora di potenzialità esistenti e di inedite forme organizzative. Siamo privi di rappresentanza politico/istituzionale (e dovremo impegnarci seriamente per costruire il “fronte per il proporzionale”), ma, quel che è più grave, anche di rappresentanza sociale e sindacale, che riannodi gli sparsi nessi di una conflittualità spesso isolata e frantumata, dispersa. Ci stiamo avvicinando, a passi veloci, al modello sociale statunitense. Pur restando nell’ambito di Stati e paesi capitalistici, in questo contesto, società francese e spagnola vivono ben altro dinamismo sul piano conflittuale, sindacale (ma anche parlamentare).

Le sinistre sono, ora, in Italia, un’allusione, una nebulosa, un’area senza confini. Per ridare loro vita dovremo proporre e praticare radicali punti di vista “rovesciati” rispetto al “pensiero unico”, impegnarsi in una profonda analisi e critica, dalle fondamenta, del capitale. Evitando proposte centriste, illusoriamente emendative. Oggi il “meno peggio” equivale alla distruzione dell’alternativa. Penso, ad esempio, al punto conflittuale che a me pare oggi il più significativo (sia sul piano simbolico che organizzativo): l’aspra lotta operaia dei lavoratori GKN, capaci di costruire una “insorgenza” dell’intero territorio, diventando, al contempo, motore della convergenza dei movimenti e di segmenti istituzionali. Ma queste splendide e generose lotte, operaie, femministe, ambientaliste, internazionaliste, per il reddito, per il diritto all’abitare, reggeranno l’assalto delle autocrazie postfasciste , “braccio armato” del capitale? Rischiamo due derive speculari: il movimentismo (e il mutualismo), diffuso nella società ma non ancora in grado di fare “egemonia”; o il posizionamento politicista, una scorciatoia che sempre più assimila se stesso alle miserie del sistema politico. Occorre, invece, ricostruire la politica, la politica classista.

Per noi, ricostruire partito e identità anticapitalista e comunista significa “ripartire” organicamente, in maniera organizzata, non solo declamatoria e opinionista dall’aspetto più radicale e, insieme, più rimosso della critica marxista del capitale: la liberazione del lavoro umano dal suo carattere di merce. Da qui, per noi, riparte la politica. Occorre, allora, spostare l’accento sul “partito sociale” come agente ed organizzatore della società, sul ruolo di promotore del conflitto ma anche di stimolo di una riforma intellettuale e morale. Quello che Gramsci chiamò “spirito di scissione”, come fondamento sociale ed etico. E’ decisivo recuperare la base materiale per la rifondazione della tensione ideale che diventa forza materiale, “potenza sociale” (Marx), in una società muta, sfibrata, con la “guerra tra poveri” nella pancia. Politica vera significa calarsi nelle contraddizioni, avere la sensibilità di non arroccarsi, avere respiro aggregativo.

L’identità comunista non è autoidentificazione, ma allude al tema grande del rapporto con altre culture e soggettività. Perciò è necessario dotarsi di un periodico e di comitati scientifici, di elaborazione ed iniziative politico/sociali. Credo che il primo obiettivo politico sia costruire con slancio Unione Popolare. Preferisco individuare la forma della confederazione. E’ illusorio pensare di poter sciogliere dall’alto le soggettività partitiche che hanno dato origine ad Unione Popolare. La quale, a mio avviso, deve diventare un vero movimento politico di massa che si rafforza con le capacità organizzative e di costruzione del conflitto dei circoli delle organizzazioni partitiche, che devono diventare “case del popolo”. Discuteremo, vedremo. Ricette precise non esistono. Dovremo ricercare identità e forme organizzative. Senza fare di esse elementi di divisione settaria. Costruire Unione Popolare non sarà un pranzo di gala. Occorrerà, inoltre, varare uno statuto dettagliato, evitando le esiziali cadute nelle tentazioni dei partiti plebiscitari e liquidi. Perché non discutere alcuni importanti temi introdotti dalla Comune di Parigi (rotazioni, rimozioni, mandati imperativi)? Vi sembra una provocazione? E dovremo formare nuovi gruppi dirigenti. Chi ha sulle spalle il fardello delle tante sconfitte che abbiamo subito dovrebbe aiutare la formazione di nuovi gruppi dirigenti. Del resto un “buon dirigente è quello che sa preparare per tempo la propria successione; così sarà giudicato” (Lenin).

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