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Unione Popolare: crescere dentro per crescere fuori

di Franco
Guaschino

Ringraziare Transform Italia per lo spazio che mette a disposizione di Unione Popolare nel suo percorso di crescita non è soltanto un atto di normale cortesia. Infatti, è anche un’occasione per rilevare la ritrosia, che accomuna molti siti web di sinistra e altri spazi di comunicazione “amici”, nel riportare le posizioni e le iniziative delle poche forze politiche organizzate che, come UP, oggi si muovono nell’area della vera sinistra. Mentre è vivace l’espressione del dissenso per gli atti dei governanti di turno e sono frequenti le analisi profonde sulle crisi che stiamo vivendo, il contributo costruttivo a favore delle alternative concrete rimane scarso. Sembra che la sfiducia, più che giustificata verso i partiti rappresentati in Parlamento, si estenda a tutta l’attività politica sul campo, quella fatta di riunioni, mediazioni, proposte e militanza continua. Se accettiamo che permanga un netto distacco tra il generoso attivismo di decine di associazioni di volontariato, i gruppi di resistenza antisistema, le iniziative di lotta contro diseguaglianze e ingiustizie, da un lato, e dall’altro i seri tentativi di rimettere insieme i brandelli della sinistra anticapitalista, non faremo mai passi avanti nella costruzione di una reale alternativa.

Il consolidamento di Unione Popolare non è un comodo cammino in discesa e il silenzio (o potremmo dire l’ostilità?) dei media rende il compito più difficile. Persino riguardo alla proposta di Legge di Iniziativa Popolare (LIP) sul salario minimo a 10 €, per la quale stiamo gestendo la raccolta firme con buoni risultati, non compaiono che rari e superficiali accenni. Incontriamo nelle piazze anche persone che firmano con entusiasmo, ma poi dichiarano candidamente di non sapere cos’è Unione Popolare!

Per essere costruttivi, e reclamare attenzione da parte degli altri, dobbiamo prima riconoscere e superare i limiti della nostra attività di comunicazione: se a questa viene assegnato un ruolo soltanto strumentale, cioè di diffusione di notizie e dei comunicati prodotti centralmente, finisce per venire meno il suo apporto fondamentale al lavoro politico. In fondo, cos’è la politica attiva di sinistra se non capacità di analizzare la realtà circostante con le sue storture e costruire collettivamente le idee e gli strumenti necessari per reagire? La buona comunicazione è la cinghia di trasmissione indispensabile di ogni processo trasformativo che pretenda di essere democratico.

Occorre avere una specifica attenzione per i due ambiti ai quali ci si rivolge: la comunicazione verso l’interno (o di appartenenza) e quella all’esterno, verso un pubblico più ampio e indefinito.

Nel primo caso, il nostro attivismo è senza soste. Una buona parte dei/delle militanti è in collegamento quotidiano con quattro / cinque chat, per un numero esorbitante di messaggi e con lo smartphone sempre in mano. Certo così si condividono informazioni e si agevola la collaborazione a distanza ma, quando si confrontano opinioni diverse, c’è il rischio di banalizzare e polemizzare senza ragione. Il mezzo forse non è proprio il messaggio, con buona pace di McLuhan, ma certamente lo condiziona. La brevità dei testi e la velocità degli scambi, a cui ormai ci siamo sottomessi, contrastano con la complessità dei problemi da affrontare in un confronto dialettico.

Purtroppo, questo condizionamento si riversa anche sulla comunicazione esterna. Diversamente dai siti web dove si possono pubblicare e leggere utili approfondimenti, sui social media, di cui pare che ormai non si possa fare a meno, ogni messaggio o concetto viene ridotto all’osso, generando risposte per lo più di nessun interesse o decisamente scomposte. Non è del tutto azzardato pensare che questo sia uno dei disegni del grande capitale contemporaneo, che mentre finge di regalarci dei bei giocattoli per comunicare, in realtà tende a dimostrare che siamo tutti dei bambinoni, ai quali conviene accettare le decisioni che vengono dall’alto, insieme alla pubblicità mirata, basata sul furto dei dati e delle opinioni personali.

Come reagire? È inutile lanciare una battaglia donchisciottesca contro Facebook, Twitter e compagnia, ma si possono rendere più efficaci i flussi comunicativi tenendo sempre ben presente la continuità tra il dialogo interno, i messaggi verso l’esterno e le attività sul campo, che sono, anch’esse, un momento fondamentale della comunicazione complessiva.

 

  • Partiamo dal “chi e cosa siamo”, un chiarimento indispensabile per comunicare con efficacia. Unione Popolare dichiara di essere uno “spazio politico”, definizione che richiama idee di flessibilità, apertura e lenta costruzione delle fondamenta per un’organizzazione coesa. Al tempo stesso UP ha iniziato a consolidarsi raccogliendo in gran fretta le firme per partecipare alle elezioni, caratterizzandosi come partito (o, peggio, come alleanza improvvisata a scopo elettorale). Movimento aperto e organizzazione partitica possono trovare il modo di convivere, ma ciò richiede cautele e partecipazione attiva. Abbiamo visto che le scadenze concrete, come elezioni, raccolta firme e adesioni, mobilitano anche compagne e compagni che sembravano relativamente passivi: il “fare” insieme risulta più coinvolgente del partecipare a riunioni, non di rado inconcludenti. Al tempo stesso, quando squillano le trombe, tutta l’attività si concentra sull’unico obiettivo prossimo e le riflessioni necessarie alla maturazione interna vengono rinviate sine die. Allora il “che fare”, insieme al “cosa pensare” (nel senso delle analisi da produrre) e al “cosa dire”, si devono riunire in un unico flusso decisionale, al quale tutto il movimento / partito deve partecipare, riducendo le deleghe al minimo indispensabile. Si scoprirà così che molti, tra quelli che stavano zitti alle riunioni o non interagivano sui social, di idee ne hanno altroché: quelle buone, basate sulle proprie esperienze e sui propri bisogni, sulle cose che non funzionano e rendono dura la vita quotidiana, sulle ingiustizie che vedono concretizzarsi ogni giorno sul territorio circostante.
  • Le critiche alle azioni del governo (o meglio dei governi, includendo l’Unione Europea e lo schieramento occidentale) sono un contributo necessario alla diffusione del pensiero libero e alternativo, ma non bastano. Questo è l’esercizio quotidiano delle opposizioni parlamentari, che spesso sconfinano nell’attacco personale con toni da gossip. Che i personaggi al governo attuale siano dei rozzi ignoranti è ormai chiaro per un’ampia parte del pubblico; ciò che non è affatto chiaro riguarda piuttosto il “cosa fare” di fronte alla gravità delle minacce che si presentano ogni giorno più incombenti. Dunque, accettiamo l’affermazione che sostiene l’assenza di alternative al capitalismo (there is no alternative), per cui ci accontentiamo di richiedere qualche ammorbidimento alla sua ferocia, oppure siamo ancora in grado di immaginare un mondo diverso e di progettarne il funzionamento? Dopo quasi due secoli di sviluppo della critica ai meccanismi del capitale, con una profondità tale da meritare l’appellativo di scientifica, possiamo tacere di fronte al pensiero dominante che chiama scienza economica le farneticazioni di pseudo specialisti al servizio delle lobby finanziarie? Non possiamo supporre che il pubblico, il nostro pubblico, sia refrattario agli approfondimenti un po’ più complessi e di portata vasta; si tratta soltanto di farsi capire, invece di rifugiarsi nel sofisticato linguaggio da addetti ai lavori.
  • E veniamo al linguaggio. Termini fondamentali per la comprensione reciproca vengono usati, dai media e nei discorsi comuni, con significati confusi e variabili in base al contesto. Sinistra, economia, uguaglianza, libertà, sicurezza, giustizia, dissenso… sono parole utilizzate per lo più strumentalmente, dando luogo a una vera babele comunicativa, adatta a pescare nel torbido. Il linguaggio chiaro richiede un impegno che non possiamo evitare. In una recente intervista, il vignettista Makkox (Marco Dambrosio) ha detto, con brillante ironia: – I ragionamenti che fanno a sinistra sono contro intuitivi, quelli di destra sono istintivi. Nell’Italiano trionfa l’istinto: siamo una delle regioni più ignoranti d’Europa. – Si tratta di un’evidente semplificazione, ma conviene tenerne conto, avendo di fronte un problema culturale di ampia portata. Nei tempi in cui quella operaia era una classe che contava, ci si sforzava di usare un linguaggio basato sulla concretezza, non perché l’operaio fosse considerato un ignorante, ma perché il suo modo corretto di ragionare tendeva a rigettare le complesse astrazioni e le teorizzazioni ideologiche. Se oggi una parte dell’elettorato tradizionalmente di sinistra accetta, in tutta Europa, i facili miraggi lanciati dalle destre, è anche perché da parte nostra prevale la tendenza a negare, o sottovalutare, l’esistenza dei problemi sbandierati furbescamente dagli avversari. Se grandi questioni, come quella dei flussi migratori in crescita, preoccupano una parte consistente della popolazione, significa che il problema esiste. Ciò che è totalmente sbagliato sono le reazioni criminali, mascherate da soluzioni. Quindi, è sulle soluzioni che dobbiamo lavorare, a partire da un’approfondita analisi delle cause, che in questo caso risalgono alle responsabilità del ricco occidente, da sempre impegnato a rapinare il continente africano di esseri umani e risorse naturali. A questa furia depredatoria, oggi si sommano le crisi ambientali, una volta di più causate dai Paesi che si sono auto gratificati come “avanzati”.
  • Il potenziale contrasto tra la salvaguardia dei posti di lavoro e la loro riduzione, imposta in parte dalle innovazioni tecnologiche, ma anche dalla impellente necessità di ridurre i consumi, è un altro tema sul quale siamo esitanti. In questo modo lasciamo spazio alla strumentale alleanza tra i poteri economici e le destre, nel sostenere che non si può procedere con decisione alla conversione ecologica. Anche le fantasie interessate sul “green new deal”, che sconfinano per lo più nel “green washing”, sono il risultato di questa strategia. Ma chi potrebbe guidare questo profondo cambiamento necessario nel nostro modo di vivere, e soprattutto di convivere, se non una sinistra illuminata e responsabile? Altrimenti i cambiamenti avverranno nel solito modo: a danno dei più poveri, indifesi ed emarginati.
  • Come già accennato, anche le attività sul campo sono un momento fondamentale della comunicazione complessiva. Essere in piazza o davanti a un luogo di lavoro ha un significato importante e facilita lo scambio di opinioni con coloro che potrebbero aderire al nostro movimento e alle varie iniziative. Lo si è visto, per esempio, con la campagna per il salario minimo. Ma ci sono anche progetti, nati su iniziativa di associazioni o gruppi esterni a UP, che meriterebbero il nostro concreto appoggio, non solo per la loro giusta finalità, ma anche per stringere relazioni di opportuna collaborazione. La campagna “Riprendiamoci il comune”, per la riforma della finanza locale e la socializzazione della Cassa Depositi e Prestiti, è stata una di queste, a cui però non abbiamo dedicato sufficiente attenzione e sostegno. Anche su un tema importante come la patrimoniale, non siamo riusciti a sviluppare nessuna proposta né azione pubblica, perdendo un’occasione sicuramente importante, che avrebbe potuto trovare ampie adesioni e consolidare l’immagine di Unione Popolare.

 

Franco Guaschino 25 / 8 / 23

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