unione popolare

Troppa democrazia. La borghesia illuminata comincia a invocare un governo forte

di Giuseppe
Aragno

Le cose purtroppo vanno  male, è vero e peggio forse non potrebbero andare. Bisognerebbe capire il perché, pesare le parole e cercare soprattutto di non sbagliare bersaglio. Vero è anche, però, che se molti sbagliano la mira, c’è poco da meravigliarsi: il razzismo istintivo dei benpensanti, dissimulato a stento nei momenti migliori, in quelli cattivi esplode violento e prima o poi arriverà la richiesta di un governo forte. Forte davvero sì, come sa essere forte un governo autoritario.

Sul web l’agitazione è già forte e pagina dopo pagina, giorno dopo giorno, la puzza di zolfo si fa sentire. «Volete sapere cosa è Napoli?» domanda furibondo un tizio che trova immediatamente consensi. Eccola» scrive, e ogni parola è una di quelle antiche delle “vittime” degli eterni lazzaroni. «Siamo stanchi», scrive l’anima in pena. «Siamo stanchi della vostra prepotenza, delle vostre facce allampadate, delle vostre urla sguaiate, delle suonate di clacson alle 3 di notte sui vostri motorini rubati. Siamo stanchi della vostra cafonamma, dei vostri vestiti da 1000 euro, per poi sembrare i clown della buonanima di Moira Orfei. Siamo stanchi delle vostra ignoranza, delle vostre figure di merda non appena aprite bocca e a cui siamo costretti a vederci accomunati». E va avanti così. Un fiume in piena. Se volete cercate sul web e troverete il seguito. Dopo il libro del generale, verrà presto fuori quello del democratico stanco, che a questo punto vuole la dittatura.

Quando verrà, lo leggeremo, ma due parole intanto vanno spese. Anche e soprattutto per i compagni e le compagne che dormono sonni beati e quando si sveglieranno sarà tardi.

Non so se conoscete la Siberia. E’ una quartiere di Napoli annidato tra i loculi del cimitero e le sbarre della grande galera a Poggioreale. Alle spalle c’è la Doganella. La miseria materiale e morale, l’ignoranza profonda e la sfiducia nelle Istituzioni si toccano con le mani. La camorra non si vede, ma c’è. Ha una regola e la rispetta: fa quello che dice. Le autorità politiche no. Quelle si vedono quando si vota, stanno spesso coi camorristi, promettono mari e monti e poi spariscono. Eiste un solo datore di lavoro. Paga puntualmente, manda l’avvocato in carcere e trova posto per i morti al cimitero. La metà dei ragazzi e delle ragazze che dovrebbero andare a scuola non ci vanno.
Lo Stato?

I ragazzi e le ragazze che evadono l’obbligo lo Stato li lascia per strada, dove la camorra offre lavoro. Alla Siberia ho insegnato vent’anni. La camorra dettava legge e lo Stato non esisteva. I ragazzi e le ragazze che frequentavano la scuola media, erano ospiti dell’Enrico Fermi, perché la scuola, data ai terremotati, non era tornata più indietro. La malavita organizzata ci teneva armi, droga e prostitute. Per quanto abbandonati al loro destino, gli insegnati facevano un ottimo lavoro e la malavita, che aveva bisogno di tranquillità, tutto sommato era rispettosa. Molte, moltissime mamme si fidavano della scuola e qualcunna partecipava anche alle riunioni di un Comitato genitori-docenti. Se lo Stato avesse fatto la sua parte, molti, moltissimi dei nostri studenti e delle nostre studentesse, avrebbero avuto un futuro. Lo Stato però dormiva e tutto sommato era meglio. Quando si svegliava era solo perché voleva risparmiare soldi. Così fecero per esempio Luigi Berlinguer e Bassanini: se ne vennero fuori con l’autonomia scolastica e il numero minimo dei frequentati. Giunta al di sotto di quel numero,, la scuola diventava una succursale. Niente presidenza, niente segreteria, finanziamenti ridotti a zero e una condizione di abbandono che equivaleva a un omicidio di massa. La scuola così diventò una sorta di fortino in un deserto abitato da beduini armati. Quando gli insegnanti si dispersero, trasferiti chi qua e chi là, alunne e alunni piansero. Erano molto più vivi e umani di quello che la gente immagina. Io finii al Vomero. Lì i rappresentanti dei genitori – avvocati, medici, ricchi commencianti – rompevano quotidianamente le scatole ricordandoci che le regole vanno rispettate. Se ne dimenticavano puntualmente ogni volta che le santissime regole andavano a quel servizio a loro o ai loro figli. In quel caso le regole non contavano più e ti rompevano le scatole per il motivo opposto, Non più per le regole da rispettare, ma perché alla fine un occhi lo potevi pure chiudere.
Allora come oggi il peggio non lo incontravi alla Siberia, ma nei quartieri bene, dove tutti facevano e fanno quel che gli pare e però si strappano i capelli perché le cose vanno male e a Napoli non si può campare. Andate a Parigi,, voi che vi lamentate, andate a New York, nelle periferie, e vi accorgerete che Napoli è più o meno come tutte le grandi metropoli. Chissà, forse capirete che se la malavita dilaga è anche perché chi si lamenta non ha fatto, non fa e non farà mai nulla per cambiare le cose.

Giuseppe Aragno

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