La “Louise Michel”, la nave della ong omonima finanziata da Banksy, è stata fermata sabato 25 marzo a Lampedusa insieme al suo capitano, un’altra donna già nota per il suo coraggio, Pia Klemp1, biologa tedesca e attivista per i diritti umani, che per il caso Iuventa – che con il suo equipaggio ha salvato almeno 14.000 persone da naufragio certo tra il 2016 e il 2017 – rischia fino a vent’anni di carcere con l’accusa di favoreggiamento all’immigrazione clandestina dalla Libia verso l’Italia. Già storia simbolo della solidarietà come sappiamo, torna alle cronache intessuta della stessa sottotrama, quella della criminalizzazione del soccorso in mare.
Il vascello veloce della Louise Michel è stato infatti bloccato per venti giorni con un fermo amministrativo nel porto di Lampedusa con la presunta violazione del nuovo ‘decreto Piantedosi’ che disciplina in senso restrittivo i salvataggi in mare. LuiseMichel ong ha commentato “Sabato mattina 180 persone sono sbarcate a Lampedusa dopo quattro soccorsi. L’equipaggio aveva risposto in precedenza a diverse chiamate di Mayday da un aereo Frontex in relazione a persone che avevano bisogno immediato di assistenza. In questi giorni si sono verificati almeno due naufragi. Ci viene impedito di salvare mentre le persone vengono lasciate morire ogni giorno. Questo è vergognoso. Queste morti sono a causa tua, Europa!”
Il decreto aveva già mostrato il suo volto in termini di visione nazionalista e securitaria dei flussi migratori2, ipocrisia e inefficienza sin dal suo esordio, oltre al ben più grave e intollerabile effetto di aver reso ancor più pericoloso e mortale il Mediterraneo cercando di minimizzare l’azione e gli interventi delle ong in mare, ma alla luce di quanto accaduto nel tragico naufragio di Cutro del 26 febbraio, e in seguito a quelli che di lì a poco sono costati nuovamente tante vite, si rivela con pienezza e il suo intento profondo non è certo più tanto segreto.
Cosa si vuole veramente arrestare, oltre ad impedire gli sbarchi tramite il soccorso di navi votate al soccorso di persone in fuga da povertà e guerre, o abusi in quelli che già diverse inchieste e rapporti delle Nazioni Unite dimostrano non chiamarsi per nulla a torto ‘lager libici’? O di coloro che fuggono oggi dalla caccia discriminatoria che sta verificandosi in Tunisia in seguito alle dichiarazioni xenofobe e razziste del presidente Kais Saied3?
Riflettendo sul simbolo, il nome che la nave porta, si può tentare una breve interpretazione di una realtà che la ong dichiaratamente contrasta dalla sua fondazione, così come le numerose organizzazioni di salvataggio presenti nei mari d’Europa.
Il manifesto è chiaro. Il team di queste persone, attivisti e volontari, intendono dichiaratamente lottare contro il potere discriminatorio delle strutture del nazionalismo, del razzismo, del patriarcato e del capitalismo. E la guerra è lanciata da un nemico dichiarato che con ogni mezzo repressivo vuole evitare il contagio culturale della solidarietà umana, in modo che in nessun modo possa farsi coscienza e concretizzarsi in una lotta sociale dove la maggioranza del popolo sarebbe unito e non diviso dalla manipolazione di governi incapaci di qualsiasi discorso che riguardi una veduta di lungo raggio. Che affronti il fenomeno migratorio, inarrestabile nonostante la volontà cieca di bloccarlo con l’uso della forza, con muri e barriere, a partire dai diritti universali dell’uomo e non dalle mere esigenze del mercato e del tessuto produttivo, in una visione rovesciata che mira ad estrarre altro valore dalle persone, sola giustificazione per ammettere l’immigrazione stando alle parole del Ministro Piantedosi in merito all’annunciato decreto flussi – e che certo desta non pochi pensieri non solo sulla concezione soggiacente a tali affermazioni rispetto ai lavoratori immigrati, ma in relazione a tutti i lavoratori, ridotti ormai a mera ‘risorsa estrattiva’. In Italia da tenere perlopiù ai limiti della soglia della povertà, senza assicurare una base salariale dignitosa e una visione organica urgente che assicuri insieme la tensione verso la giustizia climatica. Non più popolo, ma folla, come qualcuno ha osato dire ad esempio in Francia negli scorsi giorni riferendosi a coloro che manifestano ad oltranza per i diritti sociali, facendo pensare a rigurgiti da antico regime.
La nave è intitolata a Louise Michel (1830-1905), donna francese, definita quale ‘eroina femminista’, quasi a volerla porre in un pantheon lontano e distaccato, ma che fu al contrario un personaggio storico ben definito e attaccato al reale, del quale fu capace di rendersi interprete con azioni significative sul piano sociale e politico. Insegnante, rivoluzionaria, giornalista, scrittrice e attivista che fornì assistenza alle donne bisognose e alle prostitute, fondò scuole private e laiche – si scrive anche per non dover prestare giuramento a Napoleone III dopo la fine della Seconda Repubblica e del ’48 – e operò attivamente inimicandosi il potere ‘restaurato’ sin dal principio della sua attività.
‘Grande dama francese dell’anarchia’, fu una donna protagonista della storia. Sulle barricate e membro di spicco della Comune di Parigi, in comitati e nei battaglioni, visse la durezza dei bagni penali d’oltremare in Nuova Caledonia, destino toccato a tanti comunardi dopo il maggio sanguinoso nel quale si mise fine all’esperimento di autogoverno del ’70. Louise non si piegò al potere e all’ingiustizia difendendo e impersonando la Rivoluzione e la forza, non semplicemente resiliente, delle donne. Fu infatti definita ‘vergine rossa’ della rivolta, così come sanguinaria ‘lupa nera’, e tra i due poli si colloca forse la sua figura, ovvero al di sopra di ogni stereotipo, ancorchè poetico. Una donna che agiva certamente con fervore nel mondo e che credeva fortemente nella sua trasformazione, tenendo, è il caso di usare qui la metafora, la rotta della giustizia sociale.
Oggi, con un gesto simbolico, trasmutata nel simbolo dell’imbarcazione dell’organizzazione non governativa, torna alla ribalta incarnando un germe che se gettato rischia di penetrare nella società e rompere a poco a poco il muro che separa ‘europei’ da ‘non europei’, motivo per il quale lo stesso Banksy ha ammesso di aver acquistato la nave, prima appartenente alla marina francese, ironizzando «Come molte persone di successo nel mondo dell’arte, ho comprato uno yacht» poi aggiungendo una cruda verità “..la conversione in nave di salvataggio è stata fatta perché le autorità europee ignorano deliberatamente le richieste di soccorso dei “non europei”».
La Louise Michel odierna è simbolo che appartiene in senso nuovo alla dimensione della rivoluzione sociale, e le notizie non ci parlano in queste ore solo di un ennesimo caso di criminalizzazione del soccorso, di un’ingiustizia che poco ha a che fare con la legalità, brandita come arma dal governo, ma di un’importante protagonista. Essa nasce da una pericolosa forza emancipatrice che nella storia è stata repressa con la violenza ma che, nonostante tutto, ancora resiste: l’umanità.
- https://www.ted.com/talks/pia_klemp_why_i_fight_for_solidarity?utm_campaign=tedspread&utm_medium=referral&utm_source=tedcomshare.[↩]
- https://transform-italia.it/il-nazionalismo-securitario-non-e-mai-quieto-riparte-la-guerra-contro-le-organizzazioni-umanitarie/.[↩]
- https://www.focusonafrica.info/tunisia-reazioni-alle-dichiarazioni-xenofobe-del-presidente-kais-saied/.[↩]
3 Commenti. Nuovo commento
Un immenso GRAZIE ad Elena Coniglio x quedt articolo che divulghero’! Purtroppo in questi tempi duri e pericolosi per la Libertà e la Democrazia, tali esempi vanno ricordati e diffusi….sperando appunto nella RINADVITA di una nuova Umanità.
Erminia Romano, DonneinNero, Napoli
* chiedo scusa xcseguentoberrori da T9: quest ‘ articolo
RINASCITA
Essere contro ogni forma di arroganza, prepotenza, ingiustizia, sopraffazione, intolleranza, ma per la libertà, l’amicizia, la giustizia, la comprensione e la solidarietà