Probabilmente vinceranno per l’inconsistenza dell’avversario ma la grottesca armata del centro destra, se vista con meno fobie ricorda gli antichi fasti della Casa delle libertà dove, secondo un’azzeccata parodia, ognuno faceva quello che c***o voleva. Da fuori si vede una Forza Italia sempre più ridotta al rango di parente anziano che va assecondato ma che non ha più ruolo, una Lega che accanto a questioni sociali predicate come il no (sacrosanto) alla “Riforma Fornero”, cerca di riprendere consensi contestando a bassa voce le scelte atlantiste che ci porteranno ad un autunno con bollette energetiche stratosferiche e la corazzata dei Fratelli d’Italia pronta a farla da padrona. Soffermiamoci su questi ultimi la cui leader ha ormai ottenuto anche la benedizione Usa e che mostra la tipica spregiudicatezza di chi ha poco da perdere. Se il suo schieramento dovesse essere premiato ci ritroveremmo in poco tempo con un presidenzialismo spinto, con uno stato dai tratti più autoritari (Orban è un esempio), all’esaltazione di “Dio Patria e Famiglia”, come base ideologica facile da urlare ma difficile da praticare. Per reggersi in piedi, la coalizione destrorsa dovrà scendere a compromessi interni e a mediazioni in ambito internazionale e il signor Draghi, o chi per lui, saranno ancora lì a dare ordini, a dire come andranno spese le risorse, dove tagliare, come spremere ancora di più chi sta peggio nel Paese. Potrà reggere questa ammucchiata di burattini senza burattinai? Difficile prevederlo ma non navigherà certo in un mare calmo.
E a proposito di mare, sembra ineludibile discettare sulla rivoluzionaria proposta della fratella d’Italia, quella del blocco navale contro i migranti. C’è un passato che dovrebbe insegnare. Nel 1997 l’allora governo Prodi attuò simile misura contro i profughi albanesi che fuggivano dal crollo causato dalla speculazione delle piramidi finanziarie. Fu una scelta scellerata che portò, tra l’altro, al naufragio dovuto a speronamento della nave albanese Kater I Radesh e alla morte di 104 persone. Per tale speronamento il comandante della motovedetta italiana Sibilla, un militare, è stato poi condannato. Nella condanna verso il blocco e le modalità con cui venne applicato va ricordata un’attenuante. Tutto era stato concordato, sotto ricatto, col governo albanese di allora che accettò la misura in cambio di aiuti finanziari al Paese che era in totale bancarotta.
La “donna, mamma, cristiana e italiana” di cui già abbiamo parlato in articoli passati evidentemente ha poco studiato un minimo di diritto internazionale e, soprattutto, dimostra di non saper far di conto. In effetti, ogni volta che reitera tale proposta gli interlocutori, anche alcuni a lei vicini, la guardano con una certa commiserazione, come a dire “ne parliamo poi”. Una misura come quella che prevede di piazzare navi militari in prossimità dei confini delle acque territoriali di un altro Paese si configura infatti come vero e proprio atto di guerra. Ammesso che esistano gli assetti navali necessari – si sa l’industria militare tira e magari il fabbisogno si potrebbe incrementare al prezzo di un paio di manovre finanziarie – è immaginabile pensare che tutti gli Stati su cui si affaccia il Mediterraneo che interessano l’Italia, praticamente dal Marocco alla Turchia, siano disponibili a rinunciare alla propria sovranità marina? Un dettaglio si dirà, in tempi di propaganda a tonnellate. Ma poi, anche avendo riempito il mare di pattugliatori, è chiaro cosa significa individuare un gommone? E se lo si trova cosa ne si fa? Lo si affonda col suo carico umano come qualche truce esponente politico ogni tanto farfuglia? In questo caso scatta il reato di crimine contro l’umanità e di omicidio plurimo, volontario e aggravato, giudicabile da una Corte Internazionale. Ne risponderebbe il comandante che ha eseguito gli ordini, chi questi ordini decide di darli o ci sarebbe una responsabilità politica ai più alti gradi? Probabilmente, con questo programma, si faticherebbe a trovare una persona disponibile a fare il ministro dell’Interno. Un conto sono le urla di Salvini per chiudere i porti alle ong, con tanto di processi per “sequestro di persona” ancora in corso, un conto è rendersi responsabili di atti di guerra che, permanendo il diritto internazionale, sono ancora punibili. Forse il mito della signora con la fiamma accesa è quello dell’Australia, peccato che anche lì i governi più criminali hanno trasferito chi provava ad entrare in “isole galera” ma non hanno mai messo in atto manovre tali da interferire pesantemente negli equilibri internazionali. E i patiti della fiamma sono stati informati che anche gli accordi UE, nonostante contengano innumerevoli porcate, non permettono simili scelte belliciste? Abbiamo prima poi citato il dettaglio dei costi che comporterebbe un simile sforzo bellico. Anche qui il modo di affrontare il problema dimostra estrema confusione o quantomeno pressappochismo. Si stanno spendendo centinaia di milioni di euro per rendere ancora più lungo e sanguinoso il conflitto in Ucraina, l’Italia dovrà dotarsi – secondo i dettami Nato – già di ulteriori armamenti e come si risponde agli ordini del comandante? Dicendo “scusate ma a noi le risorse ci occorrono per salvaguardare i sacri confini”. Manifesto il timore che al comando Nato a cui avete prestato, come i predecessori, cieca obbedienza, questo non risulti affatto gradito. Si aggiunga poi un altro piccolo elemento di contorno. Fra i Paesi contro cui andrebbe praticato siffatto blocco navale ci sono la Libia, l’Algeria e l’Egitto, si suppone. Beh, si tratta di Paesi fondamentali per soddisfare il fabbisogno energetico messo già a rischio dalle sciagurate scelte fatte in precedenza. Ma davvero si pensa che le traballanti autorità di Tripoli o il governo algerino, per non parlare di quello di Al Sisi, siano disponibili a stare alle condizioni imposte dalla propaganda nostrana secondo cui le navi dell’indomita marina fungeranno da avamposto della “quarta sponda”? Dubbi legittimi. Trattasi di governi disponibili a discutere di tali temi solo in cambio di sovvenzioni, armamenti, addestramento, cooperazione militare e, ma quello non è mai mancato, entrambi gli occhi chiusi in merito al rispetto dei cosiddetti diritti umani. Ma ammesso anche che l’impavida e patriottica destra riesca laddove ogni Paese ha sinora fallito: qualcuno ha informato i suoi leader del costo del semplice mantenimento di fregate, incrociatori, motovedette, droni, aerei da ricognizione e di quant’altro occorre per quest’epico e fondamentale sforzo?
E qui entriamo nel campo di una percezione che, probabilmente, per il destrume italiano è rimasto fermo nel tempo. Se infatti fino a 3 anni fa, forse fino a prima della pandemia, il tema “immigrazione illegale”, pardon “incontrollata”, poteva scaldare i cuori, oggi il quadro pare profondamente diverso. Un’osservatrice politica molto più preparata della media, cittadina nata in Bangladesh ma cresciuta in Italia e molto distante dallo stereotipo imperante, diceva con cognizione di causa tempo fa: “Con la pandemia gli italiani si sono accorti che esistono problemi seri come la sanità che scarseggia. Si sono accorti che il problema non siamo noi ma che anzi, siamo sulla stessa barca”. Ottimismo giovanile eccessivo? In parte, ma tanto è che il tema immigrazione su cui spesso insiste la “donna, mamma, cristiana e italiana”, insieme ai suoi accoliti, non sembra scaldare troppo i cuori. Certo la sua, probabilmente prossima, ascesa al Palazzo sembra aver sdoganato, ancor più che in passato, il diritto a pestare una persona perché ha il colore della pelle o i tratti somatici diversi, a impedire, sempre a persone simili, l’accesso ad un locale o a fornire la patente di legittimo insulto a sfondo razziale che resterà impunito. Ogni fatto di tal risma è gravissimo perché segna un arretramento culturale e sociale inaccettabile che resta però confinato nella cronaca. Alla cittadina e al cittadino comune, quelle/i meno impregnati di odio come la “donna, mamma, cristiana e italiana” con banda di manipoli annessi (in fondo ci si avvicina al centenario), di quante persone si riesca a bloccare e/o di quante ne arrivano nei porti italiani, sembra importare poco. Ah il patriottismo di una volta, signora mia. Si preoccupano sì del blocco, ma di quello delle forniture del gas, del costo delle bollette, degli affitti e dei mutui, pensano – che ingrati! – che vada bloccata l’inflazione, che si debbano bloccare i tagli ai servizi e l’aumento dell’età pensionabile. Osano pensare che non vadano invece bloccati gli stipendi, che non si debbano bloccare le proposte di salario minimo, che si sblocchino le assunzioni nelle scuole e che si blocchino invece le nefaste idee del ritorno al carbone, al nucleare. Eh sì, le persone normali, quelle di cui volete i voti perché, come affermate nei manifesti che giganteggiano nelle città, “siete pronti”, li potrete prendere solo a queste condizioni. Ma da questo punto di vista, centro destra e sedicente centro (sinistra, sic) non hanno ricette da proporre, soluzioni da prospettare, alternative socialmente significative. Non le hanno loro né i loro alleati o finti avversari accomunati dalla religione neoliberista. L’unico blocco reale da attuare e che avrebbe portata globale, non solo nel Mediterraneo, sarebbe questo. Il blocco all’invasione (quella sì reale) di una miseria che avanza, dell’ulteriore perdita di acquisto dei salari medio-bassi, della precarizzazione delle vite. Ma di bloccare quelli non se ne parla. Per alcuni è poco patriottico, per altri è un inutile lacciuolo alle fantastiche sorti prospettate dal libero mercato, quelle che ci hanno portato davanti a questo baratro.
P.S. tanto per ricordare a chi offre gratis lezioni di antirazzismo e si prepara, in caso di vittoria delle destre a rispolverare indignazione e capacità di chiamare alle mobilitazioni. Pochi giorni fa è morto, suicida in uno dei lager di Stato inaugurato dal centro sinistra, a volte potenziati dal centro destra ma rafforzati dal governo Gentiloni, mediante l’ex ministro e parlamentare Minniti (l’uomo che è passato dagli accordi con la Libia al lavoro da manager con la Leonardo Spa), un ragazzo di origine pakistana, il quinto in due anni. Ovviamente silenzio da tutti gli schieramenti, una vita da respingere in meno. In campagna elettorale qualcuno poi offre il meglio di sé, anche con fantasia, promettendo di “far sparire, se governerà, una zingara”. Roba leghista? Certo, peccato che il piano anti rom per le città “sicure” porti la data del 2007 e la firma di un presidente del Consiglio chiamato Romano Prodi. Sì, lo stesso Prodi del “blocco navale” anti-albanesi del 1997, venti anni prima. Se insomma il refrain dell’unità antifascista suona come una moneta falsa e se ci sono decenni a comprovare come, per quanto riguarda misure anti-immigrazione i governi tecnici con delicate sfumature rosa, non hanno nulla da invidiare alla minaccia nera e con la fiamma, ci si pensi prima di votare. Si vuole un antirazzismo ed un antifascismo vero o uno a corrente alternata?
Stefano Galieni