Pubblichiamo l’intervento che Lucio Magri fece alla Camera il 7 maggio 1993 per motivare il no di Rifondazione Comunista al nascente governo Ciampi. L’ultimo della cosiddetta prima repubblica. Significativamente a dirigerlo viene chiamato un uomo delle istituzioni finanziarie. Il Pds, che ha già approvato il Trattato di Maastricht, decide di entrarci insieme a tutti gli altri partiti meno Lega Nord, Msi e Prc. La presenza dei ministri del Pds, e dei Verdi, dura poche ore. Il tempo per l’aula di votare contro l’autorizzazione a procedere verso Craxi. Il Pds si asterrà. Bertinotti, in polemica con questa scelta, esce da quel partito e, insieme ad un gruppo di dirigenti sindacali, entra nel Prc. Comincia l’epoca della seconda repubblica, dell’Europa reale, della crisi democratica, delle tecnocrazie che arriva oggi all’incontro col populismo di destra sotto l’ombrello di Draghi.
XI Legislatura – Discussioni – Seduta del 7 maggio 1993
Lucio Magri interviene ad illustrare il no di Rifondazione Comunista al governo Ciampi
Prendo la parola in una condizione un po’ paradossale. Guido, infatti, un gruppo di soli 35 deputati e tuttavia mi trovo all’improvviso ad essere il leader dell’opposizione parlamentare. Uno sciocco ne trarrebbe ragione di orgoglio; io ho troppa autoironia e senso della realtà per non vedere che di fronte a noi c’è un Governo schiettamente conservatore, che ha dietro di sé il sostegno entusiasta di giornali e di mercati ed è qui dentro sostenuto da uno schieramento che va dalla lega al PDS. Ci sarebbe di che scoraggiarsi. Ma ciò non ci impedirà di votare contro questo Governo con piena convinzione e qualche speranza. So bene che tale scelta vi appare naturale e scontata; tuttavia vi è in essa un’originalità.
Signor Presidente, non le rifiuto il voto, come oggi si usa fare, per ragioni traverse e complicate. Non le imputerò, quindi, le cattive frequentazioni tra le quali raccoglie la sua maggioranza né le firme in calce alla mozione sulla quale siamo chiamati a votare. Le voto contro soprattutto per ciò che il suo Governo rappresenta anche di nuovo e di corposo e per quanto afferma di voler fare. La sua composizione, innanzitutto; non vi è dubbio che la novità a tal proposito è notevole. Detta in due parole è la seguente: il suo Governo c’entra ben poco, nel bene e nel male, con la prima Repubblica. In presenza di una Caporetto dei partiti e di un Parlamento che si è meritato il discredito, il Capo dello Stato ha assunto un ruolo vicario. Con lui solo lei ha potuto concordare gli indirizzi e la scelta degli uomini e su ciò ottenere, innanzitutto, la fiducia dei poteri forti del paese, per venire poi a chiedere una ratifica ad una Camera che era comunque colpevolmente obbligata a concederla. Ciò le ha consentito di presentare diversi ministri non compromessi in Tangentopoli e solo indirettamente partecipi della vecchia nomenklatura e di indubbia competenza. Non è poco, ma è un’ipocrisia dire che si tratta solo di uomini nuovi, di tecnici relativamente al di fuori dello scontro politico e sociale, tali da comporre un Governo neutrale, temporanea supplenza in una fase di transizione. In realtà questo Governo fa emergere e prefigura un ricambio ben più rilevante. Tende a riaffermarsi, come in altri paesi dell’occidente, il recupero pieno di una leadership delle classi dominanti che, dopo aver riconquistato il potere nella cultura e nell’economia, tornano ad esercitarlo in modo diretto nella politica attraverso uomini formati nelle loro scuole, sperimentati nelle loro imprese ed istituzioni, fatti conoscere come columnist dei loro giornali. Prende così almeno provvisoriamente il potere un partito nuovo, informale, ma già culturalmente coeso e con solido retroterra, quello che anni fa scherzosamente definivamo «Confindustria democratica» e che il cinema moderno titolerebbe: «Partito d’azione 2: la vendetta». Nella composizione del suo Governo e nel corrispettivo crollo dei partiti esistenti è dunque contenuto un programma implicito non meno rilevante di quello esplicito e viene anticipata una riforma permanente della forma di Stato e della forma politica. Il Governo reale è solo formalmente legittimato da un’opinione pubblica febbrilmente partecipe, ma atomizzata e confusa più che sovrana. Non meno importante è però il programma esplicito che il Presidente del Consiglio ci ha ieri proposto: anzitutto e soprattutto la politica economica e sociale. Ciò che mi ha colpito francamente a tal proposito è che Ciampi, nel momento in cui è diventato Presidente del Consiglio, abbia qui pronunciato ieri, e stasera solo corretto, un discorso da Governatore della banca centrale, in una versione però molto più chiusa e riduttiva di quanto non abbia saputo fare da via Nazionale. Egli in sostanza ci ha detto quanto segue: la ripresa produttiva dipende, in ordine logico e temporale, dal risanamento della finanza pubblica. A questo risanamento non possono in alcun modo oggi contribuire misure specifiche di contenimento della rendita finanziaria. Il solo strumento immediato è dunque l’aumento dell’avanzo primario. Quanto alla ripresa produttiva e alla occupazione, la via maestra è tuttora quella della maggiore competitività delle esportazioni, già assicurate in questi mesi dal deprezzamento della moneta, cui non ha corrisposto altrettanta inflazione grazie al provvidenziale accordo del 31 luglio, cioè grazie ad un primo declino del salario reale. Tutto ciò non è nuovo; l’abbiamo spesso sentito negli anni, non solo da illustri economisti, come quelli che siedono al suo tavolo, ma anche dal più sempliciotto Goria. Tuttavia è nuovo il fatto di sentirlo riproporre con maggiore rigidità quando le cose sono andate ben oltre, fino a cambiare punti di riferimento persino dal punto di vista di una seria borghesia. È ancora possibile — vi domando — ripetere che i BOT non si toccano con l’enfasi e la volontà di rimozione con cui una volta si gridava in piazza: la scala mobile non si tocca? È possibile che ciò avvenga nel momento in cui, anche nei paesi nei quali da tempo il deficit pubblico è padroneggiato, i tassi di interesse reale superano di tre o quattro volte il tasso dell’incremento del reddito nazionale? È possibile attendersi una ripresa produttiva, principalmente sul versante delle esportazioni e per la convenienza relativa dei prezzi, in una fase durevole di stagnazione della domanda mondiale e di ridefinizione conflittuale e strategica della divisione internazionale del lavoro? È possibile continuare a separare il tempo del risanamento da quello dello sviluppo e centrarlo sulla riduzione del consumo nel pieno di una recessione produttiva? È possibile eludere totalmente il carattere qualitativamente nuovo del tema sull’occupazione, contro il quale sono, non a caso, fallite le pur brillanti politiche neoliberali del governo francese o quelle estreme del governo inglese? È possibile infine giurare su Maastricht, come se non ci fosse una crisi oltre che un ritardo e senza indagarne il perché, come pure fa quasi tutta l’Europa? Qui non ci troviamo di fronte solo ad una politica conservatrice, ma a mio parere ad una rimozione conservatrice, ad un Governo che rifiuta di offrire (o non può offrire) alla sinistra anche solo una possibilità di dialogo vero. Un altro punto caratterizzante del suo programma viene invece offerto ed accettato come contropartita effettiva per ottenere la fiducia del PDS e della lega. Nella sostanza però, almeno per il PDS, non è affatto una contropartita e non è garantita. Ciampi si è assunto l’impegno di condurre in porto la nuova legge elettorale entro luglio, ma poiché su un accordo di merito egli non può ancora contare, e poiché si è ben guardato dall’assumere un impegno politico sulle successive elezioni, non è assolutamente detto che quell’impegno venga mantenuto e tantomeno che, fatta la legge elettorale, ad ottobre si sciolgano le Camere. Non solo, ma il fatto stesso di fissare un termine perentorio e di fare del Governo l’iniziatore e l’arbitro del medesimo già definisce il suo probabilissimo esito, cioè l’estensione alla Camera della legge elettorale risultata per il Senato. Dunque, il PDS ottiene il contrario di quel tipo di legge che si era impegnato a sostenere di fronte ai suoi elettori. Se così stanno le cose, è ben sconcertante constatare con quanta facilità questo Governo riesca ad ottenere il quasi unanime consenso della Camera. Io chiedo, senza polemica: perché tutto ciò? Solo per offrire una prova esteriore e precaria di essere nel gioco in una fase di transizione? Per andare presto a nuove elezioni, prima che altri si organizzino? Per tentare di raccogliere un consenso moderato in libera uscita dai tradizionali partiti? Francamente, prima che un errore, a me questa pare un’avventura. È certo che così si rende enormemente più difficile la sola strada che permetta di limitare i gravi danni e di utilizzare l’unica opportunità del sistema maggioritario, quella di costruire l’unità della sinistra. Non vi dice proprio nulla quel che è successo in Francia e ciò che sta succedendo in Spagna o forse in Germania? Pensate realmente di addebitarlo al nome socialista, come prima si faceva con quello comunista, anziché, come tutti riconoscono, ad una perdita di identità e di radici forti? Se dovessi riconoscere — e concludo — che tutto ciò configura qualcosa di stabile e definito, non vedrei luce; ci sentiremmo relegati ad un ruolo di protesta ghettizzata, che contraddice le ragioni della nostra nascita. Sono però convinto che la vicenda sia ancora tutta aperta, anzitutto per una ragione. Questa soluzione di Governo contiene un enorme punto irrisolto; essa oggi passa in virtù di un vuoto, grazie al collasso dei partiti. Ma presto si tratterà di andare, quale che sia la legge, a raccogliere milioni di voti. Ci si accorgerà, allora, che a governare la Repubblica intesa come paese non basta la Repubblica come giornale!
Da ciò può venire un grande pericolo di convulsioni drammatiche, ma anche un grande spazio e bisogno di movimenti. La seconda ragione è che la crisi economica è ben lontana dalla sua conclusione. Essa porrà nuovamente al centro il rimosso tema del conflitto sociale, e anzi può rendere più difficile la cocciuta rimozione dei temi di riforma anche in certi settori delle classi dirigenti. La nostra opposizione, che ho motivato con argomenti molto duri, si propone però di rifuggire i toni dell’invettiva e della propaganda. Essa sarà di merito e cercherà, per quanto possibile, di non lacerare, anzi di ricostruire il tessuto di un confronto a sinistra (Applausi dei deputati del gruppo di Rifondazione comunista).