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Un punto di vista su due esperienze separate tra loro da mezzo secolo

di Roberto
Rosso

Una prima esperienza nei primissimi anni ’70, insegnamento ai corsi delle 150 ore per operai dello stabilimento Alfa Romeo di Arese in provincia di Milano, finalizzati all’acquisizione della licenza di terza media.

Significavo la ripresa di un percorso di scolarizzazione da parte di persone, per lo più immigrati dal meridione, che avevano interrotto l’allora scuola dell’obbligo. La volontà di migliorare  la propria condizione era una aspirazione assieme individuale e collettiva, non era solo strumentale alla conquista di migliori condizioni di lavoro, ma anche genuina espressione di un desiderio di miglioramento culturale di acquisizione di nuovi strumenti  di conoscenza del mondo stimolati dal confronto con  il lavoro di fabbrica e la condizione urbana.

Una esperienza nella sua essenza analoga benché diversa è quello che ho vissuto in quanto militante di lotta Continua che interveniva – così di diceva- per l’organizzazione delle lotte degli studenti dei corsi serali per lavoratori degli istituti tecnici, in particolare del Feltrinelli, legato poi all’intervento nei quartieri periferici dove ritrovavo operai dell’Alfa e studenti lavoratori del Feltrinelli. Il contesto che motivava questa corsa verso l’istruzione era quello di una società in grande trasformazione e di una economia in crescita in particolare nell’area metropolitana di Milano, il contesto era quello di uno straordinario sviluppo del conflitto sociale nelle fabbriche e nei territori che costituiva di per sé il motore di un processo di acculturazione, di vera e  propria trasformazione antropologica,  frutto del processo che si compiva  in quegli anni di crescita demografica, industrializzazione, migrazione interna ed urbanizzazione.

A distanza di mezzo secolo a Colleferro, nel territorio circostante, nella Valle del Sacco, sono tornato nel mondo della scuola per realizzare corsi di educazione ambientale per conto della associazione Rete per la Tutela della valle del Sacco nelle scuole secondarie di primi e secondo grado (grazie al contributo del professor Renato Marsella a cui si deve l’impostazione didattica dei corsi), contestualmente allo sviluppo di forti mobilitazioni in risposta all’inquinamento prodotto dalle passate attività industriali e da nuovi impianti del ciclo dei rifiuti che hanno portato in piazza a più riprese migliaia di cittadini. In questo contesto la nostra proposta di corsi ha avuto una buona accoglienza. I corsi brevi sono composti da moduli di due ore sul patrimonio naturalistico, sui processi di antropizzazione e la definizione e la crisi dei sistemi ecologici, secondo un metodo fondato sulla analisi di materiali offerto alla osservazione degli studenti a cui segue la lezione. Percorsi più lunghi sono stati realizzati utilizzando lo spazio della ‘scuola-lavoro’ -realizzandoli presso gli istituti o nella sede dell’associazione oppure rispondendo a bandi ministeriali i cosiddetti PON. In alcuni casi; soprattutto negli istituti professionali abbiamo organizzato conferenze per tutto l’istituto, questo in base alle richieste dei docenti e dei dirigenti stessi.

L’aspetto indubbiamente positivo è stato quello di poter introdurre ragazzi e adolescenti alla conoscenza delle tematiche ambientali, partendo dalla conoscenza del contesto naturalistico, della sua evoluzione geologica giungendo alla trasformazione indotta dall’antropizzazione del territorio. Questo tipo di corsi  è stato di fatto istituzionalizzato in gran parte degli istituti dove siamo intervenuti e ben accetto proprio a causa del contesto territoriale delle scuole, degli studenti e dei docenti.

Il nostro intervento si colloca nel contesto dei corsi curriculari e degli altri progetti esterni che vengono inseriti nella attività degli istituti. Il rischio connesso all’inserimento di attività dall’esterno è quello della realizzazione di una sorta di progettificio che non si integra nel progetto educativo complessivo anzi contribuisco a disarticolarne i tempi ed i contenuti.  Questo rimanda alla coerenza fondamentale dell’intero progetto educativo al funzionamento complessivo dell’istituzione scolastica.

Anche in base alla mia limitata esperienza di questi ultimi anni è apparsa evidente la stratificazione di classe nella scelta del percorso scolastico e nei livelli culturali dei ragazzi, così come è evidente l’incertezza sul proprio futuro che i ragazzi hanno mostrato quando è stato possibile un confronto in percorsi di più lunga durata. Non si dice nulla di nuovo purtroppo quando anche per indizi, senza analisi complessive, si rileva come l’ascensore sociale si sia bloccato.

In generale il ruolo che la scuola può avere nel processo di socializzazione di messa in contatto delle differenze culturali e sociali, la sua possibilità si essere luogo di aggregazione e confronto pe le dinamiche del territorio, sia pure nel rispetto delle specificità di un percorso educativo e formativo.  in cui si colloca sono per lo più disattese. Il ruolo del luogo dell’educazione e della formazione, della crescita delle nuove generazioni in una società caratterizzata da un processo di costante innovazione che produce anche profonde fratture sociali, dinamiche stratificate, dovrebbe essere necessariamente quello di un sistema aperto che mentre riproduce la sua struttura fondamentale, fatta di metodi e contenuti, assorbe quanto di più essenziale proviene dal cambiamento della società, comprese contraddizioni e conflitti.

La pandemia con il blocco prolungato o a macchia di leopardo delle attività in presenza non poteva che esasperare le contraddizioni del sistema scolastico, può essere anche l’occasione per un ripensamento. La mobilitazione degli studenti non può che essere un fattore positivo, con tutte le opportunità che uno spazio conflittuale, di mobilitazione, assunzione di responsabilità in prima persona offre. Del resto prima dello scoppio della pandemia la mobilitazione dei Fridays for Future è partita dalle scuole.

Roberto Rosso

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