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Un parere non condiviso e non condivisibile

di Maria Pia
Calemme

Il Comitato nazionale per la bioetica (CNB), organismo della Presidenza del Consiglio che ha lo scopo di fornire consulenze non vincolanti a Governo e Parlamento, anche in relazione a iniziative legislative, e di informare l’opinione pubblica “sui problemi etici emergenti con il progredire delle ricerche e delle applicazioni tecnologiche nell’ambito delle scienze della vita e della cura della salute”, si è pronunciato il 6 marzo – su richiesta del Ministero della giustizia – in merito a 4 quesiti che riguardano, sostanzialmente, la possibilità di ignorare la volontà liberamente espressa di un detenuto di rifiutare trattamenti sanitari, anche salvavita. E si è spaccato, condividendo le premesse ma non le conclusioni. Fra le prime la considerazione “che non vi siano motivi giuridicamente e bioeticamente fondati che consentano la non applicazione della L. 219/20171 nei confronti della persona detenuta, che, in via generale, può rifiutare i trattamenti sanitari anche mediante le Disposizioni anticipate di trattamento (DAT)”2 (che è quello che ha fatto Alfredo Cospito, dalla cui volontà di continuare lo sciopero della fame fino alla morte i quesiti del Ministero sono ovviamente motivati, anche se per statuto il CNB non può formulare pareri su vicende individuali), poiché “i detenuti sono ovviamente persone capaci di intendere e di volere e possono, quindi, autodeterminarsi per quanto concerne il compimento degli atti di stretta rilevanza personale”.
Nonostante questa premessa condivisa, però, la maggioranza degli esperti3 (19 sui 30 riuniti in plenaria) ha ritenuto che “nel caso di imminente pericolo di vita, quando non si è in grado di accertare la volontà attuale del detenuto, il medico non è esonerato dal porre in essere tutti quegli interventi atti a salvargli la vita”. Quest’affermazione, alla non esperta sottoscritta, sembra in contrasto con la previsione legislativa delle DAT: se fosse sempre necessario accertare “la volontà attuale” a cosa servirebbero le dichiarazioni anticipate che sono redatte esattamente per l’eventuale momento nel quale non sarà possibile esprimere la propria volontà?
Questo passaggio del parere prefigura un obbligo per i medici di comportarsi in maniera diversa a seconda che la persona che rifiuta i trattamenti sanitari sia una persona libera o privata della libertà, il che è evidentemente contrario alle previsioni della L. 219 che impone loro, senza eccezioni, il rispetto della volontà espressa dal paziente di rifiutare il trattamento sanitario o di rinunciare al medesimo. E si pone in contrasto con i principi etici della professione, come ribaditi dalla Dichiarazione di Malta dell’Associazione medica mondiale riguardo agli scioperi della fame dei detenuti (adottata il 5 dicembre 2022), “che prevede che tali professionisti debbano sempre far prevalere il loro dovere di lealtà nei confronti del paziente, rispetto all’ordine eventualmente impartito dall’autorità (par. 6). Inoltre, la nutrizione artificiale può essere considerata eticamente appropriata solo se la persona detenuta che rifiuta di alimentarsi vi acconsente espressamente (par. 21). In linea con tali principi, le Linee guida per i medici in materia di tortura e altri trattamenti crudeli, inumani o degradanti o in relazione alla detenzione (Dichiarazione della World Medical Association di Tokyo, adottata il 6 settembre 2022) affermano che la persona detenuta che consapevolemente rifiuta di alimentarsi non deve essere nutrita artificialmente”4.

C’è poi un’altra questione che solleva perplessità e rende ambiguo5 il parere del Comitato: la legittimità delle finalità delle DAT. Il Ministero ha chiesto al CNB se sia valido il consenso (o il rifiuto o la rinuncia) a trattamenti sanitari, specie salvavita, che sia “subordinato al conseguimento di finalità estranee alla situazione clinica personale”. Detto in altri termini: i detenuti hanno il diritto di mettere a rischio la propria vita con uno sciopero della fame a oltranza, avvalendosi della legge sul consenso ai trattamenti sanitari? “Lo sciopero della fame – afferma all’unanimità il CNB – è espressione di autodeterminazione della persona: forma di testimonianza e protesta non violenta a difesa di ideali, diritti, valori e libertà [e] rappresenta dunque un modo, sia pure estremo, di richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica su situazioni ritenute ingiuste o su diritti che si desidera rivendicare. […] Pertanto, non sono ammissibili trattamenti diretti a favorire il benessere fisico del detenuto che si traducano in costrizioni violente”, come l’idratazione e l’alimentazione forzata se contrari alla volontà liberamente espressa di rifiutare questi trattamenti.
Ciò detto, però, conclude a maggioranza che “le DAT sono incongrue, e dunque inapplicabili, ove siano subordinate all’ottenimento di beni o alla realizzazione di comportamenti altrui, in quanto utilizzate al di fuori della ratio della L. 219/2017”, richiamando una non specificata sentenza della Corte europea dei diritti umani (“né le autorità penitenziarie, né i medici potranno limitarsi a contemplare passivamente la morte del detenuto che digiuna”, il che non significa necessariamente che le prime possano ordinare e i secondi debbano procedere all’idratazione e all’alimentazione forzata), ma omettendo che in una sentenza recente6, pur ammettendo la possibilità di ricorrere all’alimentazione forzata di un detenuto in sciopero della fame, nel rispetto della normativa nazionale (e l’Ucraina non ha una legge come la 219), la Corte ha accolto il ricorso presentato in relazione all’art. 3 della Convenzione con la motivazione che “l’ordine di alimentazione forzata potrebbe aver avuto come fine quello di reprimere le proteste dei diversi detenuti dello stesso carcere [che] avevano sollevato vari reclami sulle vessazioni che gli stessi dovevano subire”, non mettendo in discussione le ragioni della protesta, ma obiettando su quelle dell’autorità.

In Italia il Ministero della giustizia non ha il potere di imporre che un detenuto venga alimentato a forza, poiché l’ordinamento penitenziario non contiene disposizioni che autorizzino il trattamento sanitario obbligatorio e, dunque, l’aver posto il quesito al CNB sembra avere l’obiettivo di offrire una “copertura” a un eventuale intervento disposto in spregio ai principi di legge e di deontologia professionale e suggerisce, come ha scritto Grazia Zuffa7, la ricerca di “una scappatoia (che definire etica è veramente una forzatura) per privare il detenuto dei suoi diritti fondamentali”. Una scappatoia, seppure fragile, che il Comitato ha offerto, arrivando ad auspicare un intervento legislativo che disciplini, forse, per i detenuti, un diverso statuto del diritto alla salute.

Maria Pia Calemme

  1. Si tratta della legge (“Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento”) che regola la rinuncia della persona ai trattamenti sanitari, comprese nutrizione e idratazione artificiale.[]
  2. Il comunicato stampa è disponibile sul sito del Comitato.[]
  3. Sull’attuale composizione del CNB, di nomina governativa, si rimanda anche alla lettura dell’articolo di Nicoletta Pirotta, su questo sito, Meditate, gente, meditate. Ovvero dove si gioca, soprattutto, la rivoluzione conservatrice delle destre.[]
  4. Quotidiano Sanità.[]
  5. Gli articoli a stampa e sul web che commentano il parere del Comitato sono lo specchio di tale ambiguità: “Caso Cospito, per il Comitato nazionale di bioetica c’è il diritto a rifiutare i trattamenti” (Sole 24 ore), “Cospito chiede i domiciliari. E il Comitato di bioetica risponde a Nordio: ‘I medici devono salvarlo. Nullo il biotestamento se si decide di morire per ottenere qualcosa in cambio’” (la Repubblica) sono i titoli di 2 quotidiani nazionali che esemplificano la contraddittorietà del parere.[]
  6. Corte EDU, Sez. V, 8 dicembre 2022, Yakovlyev c. Ucraina, n. 42010/18.[]
  7. L’articolo Nordio. Etica e diritto, è stato scritto prima del parere del Comitato.[]
bioetica, carcere, diritto alla salute
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1 Commento. Nuovo commento

  • marcello pesarini
    08/03/2023 16:57

    Così, oltre ad un diverso trattamento da vivi(lo spazio vitale, diritti, sanità, agibilità concreta in quasi tutti i diritti) gli costruiscono anche un diverso trattamento da morenti

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