dal nostro corrispondente da Londra, Enrico Sartor –
In Gran Bretagna si vota domani 12 dicembre. Elezioni politiche che possono avere un’importanza generazionale per la lotta di classe e il futuro politico del paese.
La campagna elettorale di queste ultime settimane sembra aver ridotto lo spazio politico dei partiti minori: Verdi, Liberal Democratici, Nazionalisti Scozzesi (SNP) e Brexit Party di Farage, e aver polarizzato lo scontro fra i due partiti maggiori: il partito laburista a giuda Corbyn e i conservatori del primo ministro uscente Johnson.
I conservatori hanno cercato di compattare il loro elettorato con una retorica xenofoba e nazionalista, puntando alla costruzione del consenso attraverso una politica di spesa pubblica che, di fatto, pur correggendo minimamente la politica di austerità, ne persegue il suo obbiettivo con altri mezzi.
Infatti, dopo l’assalto alla classe operaia e la sua sconfitta negli anni ‘80 e ‘90, lo scontro sociale si è spostato sul terreno della comunità e dei servizi. L’appropriazione di ricchezza e la valorizzazione del capitale sociale si sono dapprima concretizzati nel taglio brutale della spesa sociale e dei servizi attraverso le politiche di austerità dei governi di Cameron e di Theresa May. Con Boris Johnson, e con la sua visione della Brexit come un’opportunità per eliminare tutti gli ammortizzatori e gli ostacoli giuridici alla commercializzazione selvaggia dei servizi, lo scontro di classe è entrato in una nuova fase. In questa nuova fase, poveri, disoccupati, disabili, ammalati non sono più degli emarginati rispetto al ciclo economico, un esercito di riserva della valorizzazione che avviene nell’industria, ma sono la materia prima di una nuova valorizzazione del capitale sociale. La privatizzazione e mercificazione dei servizi usa la massa dei poveri per generare profitto.
I laburisti di Corbyn hanno correttamente individuato gran parte dei punti centrali di questo scontro storico, con una politica che radicalmente mette fine all’austerità (manovra economica da più di 80 miliardi di sterline) e pone al centro delle politiche di governo gli obiettivi di democrazia sul posto di lavoro e nelle comunità e di giustizia sociale.
I dati più interessanti di questa campagna elettorale riguardano, probabilmente, le sue modalità operative e l’emersione di nuove configurazioni geo-politiche nel paese.
Per quanto riguarda le modalità operative, il dato più evidente è la crescente compenetrazione (o meglio identificazione) fra media, capitale economico e politica, il tutto accelerato e compattato dal crescente ruolo dei social media. Questo va di là della ricorrente routine storica dell’umiliante asservimento della stampa nazionale (inclusa la BBC) ai poteri forti. Assistiamo, infatti, alla nascita di un’industria dell’informazione che genera prodotti che hanno valore commerciale non perché favoriscono la circolazione delle notizie, ma in quanto contribuiscono a creare consenso politico/sociale. I social media sono l’incarnazione perfetta di questa formazione produttiva, ma persino aree tradizionali sono risucchiate in questo nuovo ruolo: per es., John Osborn, ex ministro del tesoro nei governi conservatori di Cameron, concentra nella stessa persona il potere politico, l’appartenenza a diversi consigli di amministrazione e la direzione di un giornale londinese. A questo livello, le fake-news non sono più solo un cattivo esempio di disinformazione propagandistica, ma sono una componente naturale e talvolta necessaria di una produzione di news finalizzate a creare consenso. Produrre informazione è al tempo stesso un’attività sia commerciale, sia politica.
Anche in questo senso è significativo come il Brexit Party di Farage, che – fino a qualche mese fa – nei polls era dato come terzo partito, e che si proclamava come l’ultra democratico rappresentante diretto della volontà del popolo, sia completamente evaporato in silenzio, probabilmente grazie ad accordi stipulati nel segreto di qualche consiglio di amministrazione.
Il partito laburista a guida Corbyn si oppone radicalmente anche rispetto a queste tendenze, con la sua armata di volontari fortemente radicati nella comunità che hanno girato in questi giorni porta a porta, per iniziare una conversazione, un livello di ritorno alla politica (specialmente da parte dei giovani), che continuerà anche dopo le elezioni. Pratica che si propone sia come lavoro volontario, sottratto ai processi di valorizzazione, sia come re-democratizzazione del dibattito politico.
Per quanto riguarda la nuova demografia sociale del paese, questa campagna elettorale ha fatto emergere dati che impongono una nuova configurazione geo-politica.
Le zone tradizionalmente laburiste nel nord dell’Inghilterra e del Galles, manifatturiere e minerarie, i c.d. ‘red bastions’ (i bastioni rossi), alcuni in mano ai laburisti dal 1918, hanno visto una erosione della maggioranza laburista negli ultimi 10 anni, una maggioranza che rischia di scomparire in queste elezioni. In questi collegi elettorali i due terzi degli elettori hanno votato per la Brexit nel 2016.
Interviste sul campo (The Guardian, Anywhere but Westminster) indicano, se pur aneddoticamente, che la classe operaia tradizionalmente laburistia ha cessato progressivamente di votare a sinistra quando le fabbriche e le miniere hanno chiuso, quando i votanti hanno cessato di essere classe operaia organizzata.
Il voto per la Brexit ha trovato un sostegno in una classe operaia (dovremmo dire: ex-classe operaia, visto che vi sono livelli di disoccupazione che continuano da due o tre generazioni) immiserita e disgregata, e non solo in un voto di protesta anti-establishment, ma – come per la Lega in Italia ed una parte dei “Gilets jaunes” in Francia – su basi nettamente xenofobe e nazionaliste.
Molti degli intervistati che hanno votato per la Brexit, dichiarano di non essere razzisti, ma inveiscono contro i cittadini dell’Unione Europea che hanno portato via il lavoro e intasato i servizi sociali. In questo senso il discorso di giustizia sociale di Corbyn (anche se in sintonia con i bisogni reali della gente) ha avuto in queste aree molto meno impatto della retorica di destra di Johnson.
Sono anni bui, che impongono una riflessione simile a quella gramsciana sull’egemonia del fascismo negli anni ‘20 e ’30 e sul concetto di autonomia culturale delle classi subordinate, che spesso si manifesta in valori conservatori o apertamente reazionari.
Al contrario, la vasta area suburbana attorno alle grosse città (in particolare, Londra), tradizionalmente conservatrice e benestante, sembra essersi trasformata sia nella sua composizione demografica (grazie alla forte affluenza di cittadini dell’UE e alla crescente migrazione demografica e infrastrutturale dal centro delle metropoli alle aree periferiche), sia nella sua attitudine socio-culturale. Sono aree in cui la maggioranza ha votato contro la Brexit nel referendum del 2016 e l’egemonia multiculturale della città, e persino un senso progressista di giustizia sociale, si fanno sentire. Sono aree in cui una parte dell’elettorato conservatore, anche se non voterà i laburisti di Corbyn, probabilmente non voterà il partito di Johnson, astenendosi o votando per i Liberals.
In questo contesto è interessante anche la decisione tattica dei Verdi, di ritirare i loro candidati nei collegi elettorali (constuencies) in cui cioè potrebbe aumentare le possibilità del candidato laburista di strappare il seggio ai conservatori (in Inghilterra si vota per collegi uninominali).
L’altro elemento importante della campagna elettorale che avvia al termine stasera è un ritorno d’interesse per il dibattito politico in specifici settori della società: 3 milioni e mezzo di nuovi/e elettori/trici si sono registrati/e per queste elezioni; fra questi vi sono molti giovani (circa 2 milioni e mezzo), ma anche adulti che probabilmente non avevano votato nel 2017, membri delle minoranze asiatiche e di colore, che votano tradizionalmente per il partito laburista (77%) e spesso non partecipano alle elezioni (25% non registrato al voto).
I risultati di domani notte potranno dare la maggioranza a uno dei due partiti maggiori oppure condurre a un hang parliament, un parlamento senza maggioranza.
Ove si verificasse quest’ultima eventualità, i laburisti avrebbero più possibilità dei conservatori di formare un governo. Infatti, non ci sono al momento possibili alleanze con i conservatori da parte di alcun partito in parlamento. Gli unionisti protestanti irlandesi (DUP), che avevano dato il loro sostegno al governo May, non approvano il “deal” sulla Brexit di Johnson, e il partito di Farage non prenderà probabilmente nessun seggio. Al contrario, non è da escludere una possibile alleanza laburista con i nazionalisti scozzesi del SNP.
Nonostante i polls diano ancora i conservatori in forte vantaggio (+10%), la partita è ancora aperta.