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Tra opportunismo e subalternità

di Riccardo
Rifici

Mentre ci avviciniamo alle elezioni politiche che dovrebbero tenersi il prossimo anno, cominciano a delinearsi, con molta confusione, degli schieramenti politici.  La confusione riguarda tanto il centrodestra, quanto il famoso e ormai un po’ logoro “campo largo” del PD.

Mentre la destra non ha ancora una guida ufficiale, e non si sa quali saranno i suoi confini con l’area di centro, il “campo largo” del PD è ancora da costituire (ne faranno parte i 5 Stelle?), quasi certamente ne farà parte la recente alleanza Sinistra Italiana-Verdi, quali saranno i confini con l’area di centro (ne faranno parte Renzi e Calenda, o questi staranno in una alleanza di centrodestra?).

Più chiara e interessante sembra ciò che si sta muovendo a sinistra con “Unione popolare”, dove con una prima affollata assemblea tenutasi a Roma lo scorso 9 luglio, diverse formazioni della sinistra (tra cui Rifondazione e Potere al popolo, DeMa, le parlamentari di ManifestA) ha dato vita ad una alleanza che si prefigge di rappresentare gli strati più sfruttati della popolazione, i territori marginali, le vertenze ambientali, le pacifiste ed i pacifisti.  Naturalmente è troppo presto per dare un giudizio approfondito su questa proposta, anche se sicuramente, dopo anni di frammentazione, appare come un dato fortemente positivo.

Sembra invece più facile entrare nel merito dell’alleanza da Sinistra Italiana-Verdi.

Pur essendo indubbia la necessità di fare della questione ambientale l’ossatura dell’azione e del programma politico di una forza politica moderna, andrebbero analizzare a fondo le congruenze che hanno contraddistinto l’azione politica e le alleanze di questi due raggruppamenti negli ultimi anni.

A parte il generico richiamo alle questioni ambientali, solo una sembra essere la cosa che ne ha contraddistinto la similitudine: il bisogno di ritagliarsi uno spazio politico tramite l’alleanza con il PD a prescindere da contenuti e programmi da mettere in atto.

Tale posizione, soprattutto nei confronti di chi criticava queste scelte, ha visto tre risposte:

  • Bisogna fermare le destre
  • Non possiamo essere irrilevanti,
  • La strategia politica per il futuro è quella del “campo lungo” del centro-sinistra

Di questi argomenti solo uno meriterebbe di essere approfondito con un’analisi più adeguata di quella possibile in questo articolo; si tratta dell’ultimo. Questo concetto ha ormai diversi anni ed è stato usato, probabilmente con una visione di medio periodo, da chi ha già fatto e sta facendo la scelta di passare col PD.

Nel merito bisognerebbe discutere prima di tutto su cos’è oggi il cosiddetto centrosinistra. 

In proposito, bisognerebbe, prima di tutto, capire quanto c’è di sinistra nel PD; capire, quindi, qual è lo spazio per orientare, condizionare, o addirittura imporre scelte di sinistra.

Ai tempi del PCI parecchi compagni, a torto o a ragione, pensavano utile lavorare all’interno per orientare in qualche modo le politiche, ma certamente nessuno può paragonare l’attuale PD al vecchio PCI. A differenza di allora, il PD è a tutti gli effetti un una formazione neoliberista che a livello nazionale e a livello europeo è partecipe e, in diversi casi, convinto esecutore di scelte liberiste antipopolari su molti settori (dal lavoro, alla salute, dall’istruzione ai beni comuni e all’ambiente). Sulle questioni che riguardano la democrazia ha fatto e continua a fare scelte antidemocratiche. Ad esempio, sulla questione leggi elettorali, al di là di alcune promesse non mantenute, si è adoperato per leggi maggioritarie (sia a livello nazionale che regionali) con il solo scopo di cercare di eliminare la possibile concorrenza a sinistra.

Insomma il PD non è un partito di sinistra e la sua linea politica non appare influenzabile dall’interno.

In proposito, osservando le ultime esperienze delle varie giunte (regionali e comunali), si può constatare come il ruolo delle formazioni che in qualche modo si collocano in questa area “critica” all’interno del centro-sinistra (da LEU ad alcune liste regionali) è stato sostanzialmente nullo o ancillare alle scelte liberiste del PD. Spesso è proprio da queste aree politiche che viene usato il secondo argomento (“non si può essere irrilevanti”).

Sarebbe interessante analizzare la rilevanza che queste esperienze hanno avuto sia a livello nazionale che a livello locale. Come prima accennato, praticamente nulla. In compenso questa smania di non essere irrilevanti, ha contribuito, insieme al sistema elettorale maggioritario, a rendere più difficile una cosa essenziale per la democrazia e per gli interessi popolari: la presenza di una opposizione di sinistra nelle assemblee elettive!

C’è, infine, più forte delle altre, nella sensibilità del popolo di sinistra l’ultimo argomento: fermare le destre.

Su questo tema, a prescindere dalla considerazione preliminare che, tra chi fa questi appelli, vi sono anche coloro che non si fanno scrupoli a governare con la destra, va fatta una precisazione. In diverse tornate elettorali regionali che si sono tenute in questi ultimi tempi lo spauracchio del pericolo della destra è stato usato in maniera strumentale. Ad esempio, sia in Emilia che in Toscana, il centrosinistra era ampiamente in vantaggio sulla destra e non correva alcun pericolo di perdere (in compenso proprio in quelle regioni il PD ha presentato i candidati più discutibili). Lo stesso è avvenuto nelle elezioni nei Comuni di Milano e Roma dove si sono votati candidati come Sala o come Gualtieri, dimenticandosi, che alle comunali vi era anche la possibilità di votare “il meno peggio” al secondo turno.

Alla luce di questi esempi l’unica scusa per votare certi candidati potrebbe essere cercata nella prima argomentazione (volontà di condizionare dall’interno), ma alla luce dei risultati ottenuti sarebbe sicuramente stato più utile avere una decisa forza di opposizione in grado di far sentire la propria voce senza condizionamenti. Certo vi è anche chi si accontenta di portare il proprio contributo di amministratore per migliorare qualche particolare nel proprio quartiere, ma sempre rinunciando al ruolo di opposizione e denuncia verso le scelte complessive fatte dall’amministrazione su temi come quelli sull’urbanistica, la gestione dei rifiuti (vedi caso romano), la gestione dei servizi idrici, le aziende pubbliche ecc. o magari su questioni di ordine più generale come ad esempio “l’autonomia differenziata”.

Oggi gli stessi argomenti verranno usati nelle elezioni politiche, dove alcune formazioni che dovrebbero essere di sinistra o ambientaliste, aderiranno al fantomatico “campo largo”, senza valutare quali sbocchi politici, sociali e ambientali si è dato il PD, che detta in modo non trattabile le regole e gli obiettivi di questa alleanza.

Tutto ciò, alla luce di quanto detto, alimenta il sospetto che, anche nella recente alleanza Verdi-SI, più che considerazioni di contenuto, siano prevalse motivazione opportunistiche, legate alla necessità di garantirsi una rappresentanza nelle istituzioni.

Insomma, se si vuole non essere irrilevanti e capaci di incidere con proposte di sinistra sulla amministrazione delle città o nelle politiche nazionali ed europee, bisogna, si, superare la frammentazione e il settarismo a sinistra, ma, soprattutto, bisogna fare scelte chiare, non ambigue, sul terreno che si sceglie per lavorare al cambiamento dello stato delle cose.

Riccardo Rifici

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