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Ore decisive per il Movimento 5 stelle

di Franco
Ferrari

Nel momento in cui scrivo il Movimento 5 Stelle deve decidere quale atteggiamento assumere nei confronti del governo Draghi che ha sostenuto fin dal suo nascere. L’imminente votazione al Senato che non consentirà di separare il giudizio sul Dl Aiuti dalla conferma della fiducia alla compagine governativa costringe il Movimento di Giuseppe Conte ad una scelta netta.

Prevarrà forse il principio di “tirare la corda senza romperla”? Certamente una rottura implicherebbe un ripensamento strategico per un partito la cui identità e forma organizzativa sono tutt’altro che consolidate. Oggi non si configura più come un movimento trasversale post-ideologico ma, piuttosto, come una forza genericamente progressista. Tendenzialmente questa vaga etichetta la spinge a convergere in un’alleanza di centro-sinistra in cui il partito dominante risulta essere il Partito Democratico.

Si vede però dalle fibrillazioni di questi giorni quanto questa opzione rischi di annullare qualsiasi ruolo autonomo del Movimento e anche qualsiasi aspirazione che non sia solo quella di svolgere un ruolo di socio minore in uno schieramento i cui principali riferimenti sociali sono all’interno delle classi dominanti italiane.

Quanto può reggere all’inserimento permanente nell’establishment un partito che seppure in modo molto confuso e contraddittorio aveva comunque espresso un desiderio di cambiamento che veniva dal basso? La differenza dal PD si misura anche sul piano sociologico come dimostrato dal recente sondaggio pubblicato dal Corriere della Sera.

Laddove il PD ha un consenso sempre più saldamente ancorato nei ceti medio-alti, la configurazione del voto potenziale ai 5Stelle, sul piano della collocazione di reddito, è esattamente inversa. Se si guarda al dato economico, il PD raccoglie il 31,4% dei consensi tra chi ha una condizione “elevata”, il 25,9% tra chi la ha medio-alta, il 20,8% tra chi la ha media, il 16,8% tra chi la ha medio-bassa e il 10,0% tra chi la ha bassa.

Per il Movimento 5 Stelle, nonostante la drastica riduzione di consensi ormai ridotti ad un terzo di quelli ottenuti nell’ultima consultazione elettorale, il suo potenziale elettorale è del 7,2% tra chi ha una condizione economica elevata, il 9,7% tra chi l’ha medio-alta, l’11,1% tra chi l’ha media, il 14,6% tra chi l’ha medio-bassa e ben il 18,6% tra chi l’ha bassa.

Il PD, dal punto di vista della professione, è il primo partito tra gli imprenditori e i liberi professionisti e mantiene un elettorato più popolare nei settori in linea di massima più garantiti come gli impiegati/insegnanti (nel quale sono evidentemente collocati i dipendenti pubblici) e i pensionati, molto probabilmente in quella parte che ha beneficiato delle vecchie regole pensionistiche, frutto di lavoro a tempo indeterminato e di anni di crescita sia economica che dei diritti sociali.

I 5 Stelle hanno i punti di forza fra gli operai e i senza lavoro, tra i quali raggiungono quasi il 20% (il doppio del loro consenso medio), e hanno una buona presenza anche tra gli autonomi. PD e 5 Stelle competono su livelli equivalenti tra gli studenti essendo entrambi attorno al 20%. Probabilmente nel primo caso influisce, oltre alla buona condizione economica di partenza l’apertura sulle tematiche relative ai diritti civili, mentre per i 5 stelle vale ancora un effetto di trascinamento legato all’emergere di una nuova leva politica non arrivata al vertice secondo meccanismi di cooptazione, l’appropriazione della modernizzazione digitale e la sensibilità ambientalista. Tutti elementi ora piuttosto offuscati.

La rappresentanza sociale del PD è per molti versi più simile a quella della DC che non del PCI come conferma anche il fatto che sia di gran lunga il primo partito (col 27,1%) tra coloro che si recano settimanalmente a messa. Il Movimento 5 Stelle se volesse davvero porsi come espressione politica dei ceti sociali che ancora, malgrado tutto, lo sostengono, dovrebbe scegliere una collocazione del tutto autonoma.

Per farlo gli sarebbe però necessario un ripensamento profondo della propria visione di società. Sembra insufficiente il bricolage di misure che favoriscono gli interessi di specifici settori sociali ma privo di una visione complessiva di sviluppo del Paese. La stessa idea di redistribuzione del reddito, seppur necessaria, vede una parte della società come percettore passivo di interventi pubblici e non anche un soggetto attivo nella costruzione di un altro modello di sviluppo economico e sociale.

In limitata misura alcune delle richieste dei 5 stelle possono essere incorporate nell’agenda Draghi (che è sostanzialmente anche quella del PD) perché una parte delle classi dominanti è consapevole che occorrono misure che attutiscano le contraddizioni sociali emerse dal modello socio-economico neoliberista. Il rischio altrimenti è quello paventato di una reazione “populista” che sia di destra o di sinistra. Ma la prima è molto più accettabile della seconda. Basti vedere il diverso trattamento che un giornale come il Corriere della Sera ha sempre riservato ai 5 Stelle, a volte classificati dagli editorialisti del quotidiano come formazione di estrema sinistra, e a Fratelli d’Italia. Finalizzato alla cancellazione dal sistema politico il primo, vezzeggiato come partito guida di uno dei due fronti di un nuovo bipolarismo, assieme al PD, perché fondamentalmente allineato sulle questioni socio-economiche fondamentali (pareggio di bilancio, opposizione al reddito di cittadinanza, meritocrazia come copertura ideologica di una società che rimanga gerarchica e classista). Al partito della Meloni si chiede solo di liberarsi di qualche scheggia troppo nostalgica ma considerata più che altro folkloristica.

Le possibili risposte governative alle questioni poste dal Movimento 5 Stelle, così come emerge anche dalla stessa dichiarazione di Landini al termine dell’incontro con le organizzazioni sindacali, restano però piuttosto vaghe. Si accetta di introdurre il salario minimo ma solo a condizione che abbia un impatto limitato e solo su settori marginali del mondo del lavoro. Si auspica un incremento dei salari, purché non significhi riequilibrio della ripartizione della ricchezza tra profitti e rendita finanziaria da un lato e lavoro dall’altro, ma mettendolo in carico al bilancio dello Stato con il taglio del cuneo fiscale e decontribuzioni varie. E così via.

Il contesto globale nel quale ci si muove è quello di un sovrapporsi di diversi elementi di crisi che si alimentano a vicenda. Questo non esclude la possibilità di ottenere risultati positivi su singole questioni, e quindi l’opportunità politica di perseguire anche obbiettivi intermedi, ma rende necessario possedere e rendere condivisa a livello popolare una visione complessivamente alternativa. Il bilancio delle politiche delle classi dominanti italiani in questi decenni è stato impietosamente fotografato nelle settimane scorse dai dati forniti dall’ISTAT e da altri soggetti. Già in precedenza abbiamo visto come il nostro paese sia tra quelli che hanno avuto il peggior andamento salariale in Europa.

Non basterà certo l’abile gattopardismo draghiano per introdurre elementi significativi di rottura con le politiche dominanti che hanno prodotto questi risultati. Per questo è indispensabile costruire un’altra coalizione politica, alternativa all’assetto esistente, che punti a rappresentare la maggioranza sociale. Un percorso che speriamo possa essere intrapreso dalla costituenda “Unione Popolare”.

Al di là della decisione che prenderanno i 5 Stele, non sembra comunque probabile che si vada ad una stabilizzazione del quadro politico italiano. Lo si vede da quanto accade anche in altri paesi europei in queste settimane. La caduta di Boris Johnson in Gran Bretagna. Le difficoltà di Macron che non disponendo di maggioranza in parlamento cerca persino di evitare che l’Assemblea Nazionale possa esprimersi contando sulla complicità della destra tradizionale e dell’estrema destra. La stessa Germania lascia intravedere segnali di scricchiolio economico che prima o poi si rifletteranno s’attuale maggioranza di governo. Cerca di andare un po’ in controtendenza la Spagna che decide di tassare i grandi profitti finanziari. La presenza della sinistra al governo favorisce qualche scelta di cambiamento, ma il rafforzamento della destra sul piano elettorale in alcune elezioni (Madrid, Andalusia) conferma che singoli provvedimenti positivi possono non essere sufficienti a cambiare i rapporti di forza nella società.

Sicuramente il disordine è grande sotto il cielo. Che la situazione sia perciò davvero eccellente non ci sentiremmo di pronosticarlo. Ma certamente fermi non si può stare.

Franco Ferrari

 

 

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