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Talkin ‘bout a Revolution. Sul calcio femminile

di Paola
Guazzo

Si può guardare il calcio femminile da un punto di vista femminista e politico, per capire ciò che avviene in un presente non solo sportivo nel senso competitivo: ciò che è “scritto sul corpo” (citando Jeanette Winterson) delle giocatrici è un mutamento antropologico in atto. Sesso, ruolo, “razze” in subbuglio giocano la partita. E non è un Subbuteo per ragazze asservite ai dogmi del rosa di ordinanza.

I Mondiali francesi del 2019 sono stati l’inizio di un’attenzione globale verso questa declinazione sportiva, e certo sono stati un festival di brand multinazionali inclusivi, come accade del resto regolarmente con il rainbow washing in area LGBT+, ma hanno portato alla luce lotte importanti. Come quella di Megan Rapinoe, la calciatrice lesbica dai capelli viola nemica di Trump, inginocchiatasi per black lives matter e impegnata per la parità salariale con i maschi nello sport.

Esordio non ottimo agli Europei di calcio per le italiane, che hanno subito lunedì scorso una goleada (5-1) dalla Francia allenata dalla controversa, ma tatticamente ineccepibile, Corinne Diacre, detta Attila, prima donna in Francia ad allenare una squadra maschile di serie A, il Clermont-Ferrand. La nazionale francese ha un alto livello tecnico ed è multietnica, a differenza di quella italiana, dove l’unica calciatrice in linea con il melting pot europeo è notoriamente Sara Gama, triestina con padre ghanese. Il calcio italiano, inoltre, a differenza di quello francese, ha ottenuto lo status di professionista solo nell’aprile di quest’anno, primo e per ora unico sport femminile a conseguirlo (la nostra Costituzione non sancisce l’uguaglianza tra uomo e donna?), e solo per giocatrici di serie A. Un riflesso perfetto della situazione generale delle donne italiane, inferiorizzate sistemicamente sul piano di occupazione e salari, anche se non si volesse parlare di realtà quotidiane pervasive come misoginia, sessismo, razzismo e violenza.

Questa sconfitta pesa, e non perché subire goleade sia una condizione straordinaria nella condizione calcistica del paese: la nazionale maschile, composta di professionisti milionari, ha incassato 5 gol dalla Germania proprio quest’anno in Nations League. Sconfitta però più greve, per le nostre, che hanno subito gli attacchi social di chi, come durante il fascismo e l’epoca della teocrazia democristiana, pensa che le donne non possano giocare a calcio. Vincere sempre non è nelle corde di nessuno sportivo, nemmeno Maradona ha vinto sempre, ma il prezzo pagato dalle donne per la sconfitta è più alto. Si apre nelle menti e nei corpi l’abisso dell’inferiorizzazione sistemica, il Racconto dell’Ancella incombe. Saremo davvero libere solo quando potremo permetterci anche di perdere  E tuttavia, la forza nasce anche dal saper vedere le cose in prospettiva. Queste ragazze si sono classificate all’ottavo posto ai Mondiali 2019 con status di dilettanti, hanno saputo fare squadra e raggiungere lo status professionistico studiando e lavorando mentre si allenavano. Un movimento di persone che segue il calcio femminile si è aggregato attorno a loro,  non certo solo per tifare, ma per sostenere un processo di cambiamento antropologico. La coda di malpancismo patriarcale era inevitabile.

Il percorso di questa squadra è ben evidenziato dal docufilm Azzurro Shocking, visibile su raiplay. Appaiono ragazze consapevoli di un percorso storico, capaci di focalizzare l’oppressione vissuta nei secoli. Martina Rosucci parla di una canzone di Tracy Chapman, Talkin ‘bout a Revolution, come di una sorta di inno del percorso e aggiunge: “Vogliamo fare la rivoluzione. Rivoluzione nella normalità”. Il che può voler dire che la rivoluzione può diventare normale, pervadere luoghi finora impensabili o impensati. Forza azzurre e soprattutto forza shocking: nolite te bastardes carborundorum.

Paola Guazzo

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