Google Earth, ha recentemente lanciato un nuovo sistema di esplorazione visiva della superficie del pianeta che si chiama Timelapse. E’ un software che ha immagazzinato qualcosa come venti milioni di foto satellitari della terra. Questo divertente strumento ci permette di osservare dall’alto del nostro monitor, con veduta “olimpica”, le trasformazioni dei territori del pianeta negli ultimi quarant’anni. Le foto satellitari delle grandi metropoli in espansione scorrono veloci, al ritmo di un contatore che ci indica l’anno di rilevazione di ciascuna delle rappresentazioni grafiche. Nei video dimostrativi lanciati da Google le immagini più spettacolari e inquietanti sono quelle che descrivono lo sviluppo rapidissimo di grandi metropoli come Dubai. Si vede con grande chiarezza come, di anno in anno, fasce crescenti di territorio vengano ampliate e rimodellate sulla spinta del progressivo inurbamento. La metropoli dallo sviluppo più spettacolare, tra quelle selezionate da Google per la presentazione di Timelapse, è sicuramente Las Vegas. Nel 1984 Vegas era abitata da 530.000 persone, oggi ne accoglie circa 2.700.000. Ma se l’incremento dei residenti è stato spettacolare, le immagini satellitari danno l’impressione di una crescita dello spazio abitato perfino superiore a quella, già straordinaria, degli abitanti residenti. La ragione è semplice: Vegas è normalmente abitata da un numero di persone assai superiore a quello dei residenti effettivi. In condizioni normali, prima della pandemia, riceveva qualcosa come 40.000.000 di visitatori l’anno. La maggior parte degli edifici di Vegas sono alberghi destinati a ospitare il popolo del gambling. Per farsi un’idea di quale sia il potere della slot machine non c’è lettura migliore del libro dell’antropologa statunitense Natasha Dow Schull, studiosa che ha trascorso diversi anni a Las Vegas facendo ricerca sul campo in materia di azzardo proprio nelle fasi del boom delle nuove slot digitali. Un dato che emerge fin dalle prime pagine del suo importante lavoro è che il boom delle slot coincide con il grande sviluppo del territorio metropolitano di Vegas, quello mostrato dalle immagini satellitari di Timelapse. Meglio: lo sviluppo del territorio urbano segue di presso l’espansione delle slot. Stando alle osservazioni di questa studiosa, già negli anni Novanta, la stragrande maggioranza dei partecipanti ai gruppi di auto-aiuto dei Giocatori Anonimi presenti nel territorio di Las Vegas, erano vittime del cosiddetto “machine gambling”, dipendenza da slot e poker elettronico, i nuovi giochi d’azzardo da apparecchiature video.
A poche ore di macchina dalla California di Stanford e della Silicon Valley, Las Vegas è stata il vero laboratorio dell’informatica applicata all’azzardo, il luogo in cui l’esperienza maturata nel catturare l’attenzione e la partecipazione del cliente attraverso le interfacce elettroniche ha rivelato apertamente il suo enorme potenziale. La slot machine è stata la protagonista assoluta di questa imponente trasformazione urbana che, per effetto del lockdown, sta rischiando di perdere il suo rapporto con il territorio per trasferirsi nel mondo delle reti e del web. Una dinamica di sviluppo che fornisce elementi importanti anche per iniziare a capire qualcosa di un fenomeno analogo e parimenti sorprendente: la grande crescita dell’azzardo nel nostro paese. Se diamo un’occhiata ai numeri del gioco d’azzardo in Italia, ci rendiamo subito conto che, mutatis mutandis, il fenomeno di crescita è paragonabile a quello che si è verificato a Las Vegas. Le cifre sono note da tempo e pubbliche. Da venticinque anni il settore del gioco d’azzardo in Italia non ha fatto che levitare. I giornali, periodicamente, ci aggiornano sulle dimensioni del fenomeno. Siamo passati dai 15,8 miliardi di spesa lorda per il gioco d’azzardo del 2000 ai 103 miliardi del 2019. In vent’anni si è registrata una crescita del fatturato che si aggira intorno al 750 per cento.
Ancora nel 2014, quando la spesa complessiva lorda per gioco ammontava a (solo) 84,7 miliardi, si stimava che ciascun italiano spendeva, mediamente, un euro in gioco d’azzardo (legale) ogni otto spesi per gli altri consumi.
A giudicare dalle previsioni, saremo condannati ancora per lunghi anni ad assistere al proliferare sui nostri territori di grottesche imitazioni delle (già terrificanti) sale giochi di Las Vegas: i Dubai Palace, i Billionaire Palace, i Manhattan Café al decimo chilometro della Tiburtina o a Quarto Oggiaro. Quel che è peggio, saremo condannati ad assistere ai drammi quotidiani cui l’azzardo ci ha abituato: risse, separazioni, autolesionismo, suicidi.
Quando si parla di azzardo, in Italia, ci si riferisce a un fenomeno vasto e diversificato, di cui le slot machine costituiscono una parte significativa, che si aggira intorno al 40% del settore. Sebbene qui ci occuperemo quasi esclusivamente delle slot, una descrizione sommaria dell’intero comparto è molto utile per comprendere le dimensioni del fenomeno.
Per cominciare, nessun argomento sensato può essere proposto riguardo la crescita del gioco d’azzardo in Italia, senza avere ben chiaro il ruolo che vi ha svolto lo stato. Il processo si snoda per un ventennio con una serie di leggi che, una dopo l’altra, hanno autorizzato nuove forme di gioco. Dal 1994 al 2014 sono stati 47 i nuovi giochi “con o per denaro” introdotti con legge. Si va dalle lotterie alle sale Bingo ai gratta a vinci, alle slot VTL fino ai giochi online. È indubitaibile che lo stato ha favorito una progressiva liberalizzazione dell’azzardo. Ma assecondando quale logica?
La posizione dello stato italiano riguardo l’azzardo è stata, per oltre un secolo, relativamente coerente: il gioco con e per denaro era considerato una consuetudine umana le cui origini si perdono nell’antichità ed era connotato da una funzione essenzialmente ricreativa. Come tale andava gestito e contenuto con attenzione dalle autorità pubbliche, onde evitare il diffondersi del mercato clandestino e delle sue degenerazioni. Per fare un solo esempio, coerentemente con tale idea di sicurezza pubblica, nelle città italiane in cui erano stata stabilita la presenza di casinò, era fatto divieto ai cittadini residenti di frequentarli. Tale normativa, oggi decaduta, si basava sul convincimento che, altrimenti, il gioco nei casinò avrebbe avuto effetti negativi sul tessuto urbano delle città ospitanti. L’esperienza suggeriva ai legislatori che anche l’azzardo legale crea una sorta di “indotto” fatto di usura, prostituzione, microcriminalità. Le recenti iniziative di alcuni sindaci e governatori italiani, che hanno istituito una serie di zone di rispetto all’interno delle quali è vietato aprire attività di gioco, per esempio in prossimità di scuole, chiese, ospedali, suonano come una conferma dei problemi causati dalla distribuzione selvaggia di dispositivi del gioco d’azzardo nei centri urbani.
Di fatto, intorno ai primi anni Novanta, in perfetta sincronia con l’affermazione generalizzata delle dottrine economiche neoliberiste, questa posizione prudente dello stato italiano rispetto all’azzardo è venuta rapidamente meno. In modo analogo a quanto avvenne qualche anno prima negli Stati Uniti, lo stato, preso tra l’incudine di una retorica che rivendica significative riduzioni delle tasse a carico dei cittadini e il martello dell’aumento incontrollato della spesa pubblica, sceglieva deliberatamente di promuovere un forte investimento sull’azzardo per ragioni di esclusiva tutela del proprio bilancio. La gestione di monopolio attraverso lo strumento delle “concessioni” permette allo stato un controllo assoluto dell’intera filiera legale con un incasso diretto delle tasse su ciascuna giocata.
Il gioco d’azzardo è stato quindi letteralmente “spalmato” sul territorio del paese a suon di decreti legge. Per farsi un’idea dell’estensione del fenomeno, dal sito della Sisal si può rilevare come i cosiddetti dispositivi AWP in Italia, lungi dal restare confinati nelle sale gioco, possono essere collocati: nei bar, nelle edicole, nelle rivendite di tabacchi, negli alberghi, negli stabilimenti balneari e nei circoli privati. Tutti i luoghi, si noti, frequentati da persone che hanno una certa disponibilità di tempo libero.
Nel periodo di isolamento legato alla pandemia le sale gioco hanno segnalato un prevedibile crollo del cosiddetto “consumo di alea” (cioè delle giocate) per effetto delle restrizioni sanitarie. Ma il gioco online sta sostituendo quello nelle sale, proprio come Amazon sta sostituendo molti piccoli rivenditori al dettaglio di prodotti di largo consumo. I dati pubblicati dall’ISS (Istituto Superiore Sanità) ai primi di Febbraio 2021 indicano, come c’era da aspettarsi, una diminuzione del gioco nella fase del lockdown stretto. Tuttavia nelle fasi successive, quando le restrizioni sono state ridotte, si è assistito immediatamente a una sorta di rimbalzo, con un ritorno significativo al gioco nelle sale. E, come prevedibile, nelle fasi di isolamento si è riscontrata anche una percentuale di nuovi adepti al gioco, che probabilmente hanno vissuto la loro iniziazione al gioco d’azzardo in casa, sulle piattaforme online.
Ma ciò che merita da parte nostra uno sguardo sorpreso, la vera domanda che sorge dall’osservazione del fenomeno di rapida espansione dell’azzardo, in Italia come in altre parti del mondo, è l’ostentata sicurezza con la quale un “investimento pubblico” statale come quello sull’azzardo legalizzato sia stato calato come una mannaia sulla popolazione italiana, con la certezza che avrebbe garantito immediatamente ampi profitti tanto allo stato che ai “concessionari” privati. Come si trattasse semplicemente di innescare un automatismo. I neoliberisti possono berciare quanto vogliono circa il fatto che lo stato deve restringere il suo ruolo ad una semplice attività di controllo. Nel caso dell’azzardo in Italia è accaduto ben altro: lo stato ha consapevolmente promosso un’attività da cui sapeva con certezza avrebbe tratto ampi profitti. Non si è limitato a rispettare la libertà di impresa di un settore la cui utilità sociale è assai dubbia e dagli effetti economici complessivi di segno ampiamente negativo, ha invece progettato e promosso intenzionalmente questo settore, di concerto con gruppi affaristici di pessima fama e spesso sospettati di collusioni con la criminalità organizzata. Così mentre la destra di governo si accanisce contro i centri sociali e le attività ricreative spontanee dei giovani, rinnova il suo patto di ferro con le bische legali, luoghi a suo giudizio virtuosi e degni di grande rispetto.
La vergognosa vicenda del gambling all’italiana, che è diventato una sorta di impresa pubblica che sostiene l’economia nazionale, è emblematica del rapporto pubblico-privato che si è affermato negli anni del neoliberismo. Conferma puntualmente la tesi secondo cui – come ha sostenuto David Graeber in un suo libro intitolato “Burocrazia” – stato e mercato non sono due entità rivali, come ci vogliono far credere, ma due articolazioni alle dirette dipendenze di un medesimo comitato d’affari che pretende che lavorino in perfetta sincronia. Ma conferma, inoltre, come questi dispositivi generino un potente coinvolgimento, come se scatenassero negli utenti continue raffiche di automatismi irrefrenabili.
Difficilmente si potrebbero immaginare strumenti più interessanti delle slot-machine per indagare le dinamiche interne di un’attenzione che – nei giocatori di slot – viene catturata così intensamente che alcuni di loro, i cosiddetti giocatori “patologici”, arrivano a pisciarsi addosso, pur di non sganciarsi dalla macchina. Difficilmente si potrebbero immaginare oggetti più illuminanti, più significativi delle slot-machine per iniziare a riflettere sulla profonda asimmetria tra le conoscenze e le intenzioni di un semplice giocatore e quelle di chi progetta questi giochi, li realizza, li mette in produzione. Una questione propriamente politica che – iniziamo a comprendere – diviene centrale per interpretare l’epoca che stiamo attraversando.
Giuseppe Nicolosi