Due interrogativi mi assillano in questi giorni: squarciando la coltre del mercantilismo politicista che ruota intorno ad un tema istituzionalmente fondamentale come l’elezione del presidente della Repubblica, stiamo forse scivolando , confusamente, verso la quinta repubblica gollista? E, in maniera correlata, non è Draghi che deve rispettare la Costituzione, ma la Costituzione che deve adattarsi a Draghi ed alle esigenze di potere dei singoli segmenti del sistema politico? Ritengo, infatti, che con l’accoppiata Mattarella/Draghi stiamo fatalmente approdando al “semipresidenzialismo di fatto”. Già siamo giunti al “monocameralismo di fatto”. E’ stato, tra l’altro, un errore molto grave, attribuibile soprattutto al centrosinistra, non approvare, prima dell’elezione del Capo dello Stato, la nuova legge elettorale. Era stata promessa quando il PD indusse i propri elettori a votare “sì” nel referendum demagogico sulla infame riduzione lineare del numero dei parlamentari. Letta ha abbandonato, inoltre, in accordo con la Meloni, il tema di fondo: proporzionalità e scelta diretta da parte delle elettrici e degli elettori, sono due pilastri del nostro sistema democratico. Negli ultimi giorni anche la vicenda della legge di bilancio ha registrato lo svuotamento assoluto del Parlamento ed un sostanziale “monocameralismo di fatto”. il luogo unico della sintesi politica è diventato il governo. E’ una tendenza maturata negli ultimi anni che oggi precipita in maniera convulsa nell’emergenzialismo permanente, nello “stato di eccezione” pandemico. Stiamo pagando a caro prezzo l’avventurismo di un anno fa , avallato dal presidente Mattarella, con l’insediamento per via extraparlamentare del governo Draghi. La Confindustria e l’Unione Europea lo ordinarono . I partiti naufragarono nella loro definitiva perdita di identità e di ruolo. Rafforzare il Parlamento, con una attenta e motivata campagna di massa, è il compito primo di ogni democratico. In questa ottica, il trasferimento di Draghi alla presidenza della Repubblica, con il conseguente mantenimento del suo potere diretto sugli atti politici del governo è il male peggiore perché ci trasformerebbe da Repubblica parlamentare a Repubblica presidenziale “di fatto”. Contro la Costituzione, che stabilisce che il Capo dello Stato è il garante della nazione tutta , non della maggioranza; e che egli “non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione”. La stampa, quasi compatta, grottescamente plaudente, avalla il rischio di una radicale controriforma costituzionale. Dettata dall’Economist a nome dei poteri finanziari internazionali, che auspica espressamente la formazione di un governo tecnico/oligarchico, per controllare la fase di turbolenza. Ha ragione Zagrebelsky: siamo di fronte ad una manovra di disciplinamento sociale e ad un “mostro da evitare”. Ci troveremmo di fronte ad un “mostruoso concentrato di potere”: non solo il governo ma, indirettamente, anche il Parlamento sarebbe diretto dal Presidente della Repubblica. Non dimentichiamo che, in questo nuovo contesto istituzionale, sarebbe automatica l’approvazione delle “autonomie differenziate” (la “secessione dei ricchi”) abbattendo l’articolo 5 della Costituzione :”la Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali”. E’ indispensabile rinviare al mittente la strenua volontà quirinalizia di Draghi; rilanciare il ruolo del Parlamento e tentare di ridare una identità ai partiti. Ripristinando, con conflitti e progetti, una dialettica tra democrazia rappresentativa e forme di democrazia diretta, di autogestione. Un vasto, necessario programma.
Giovanni Russo Spena