Nel suo libro “La marcia della follia – dal cavallo di Troia alla guerra del Vietnam” (Mondadori, Milano 1985), la storica Barbara Tuchman esplora la sconcertante questione del perché nel corso della storia la follia di pochi potenti abbia travolto con i suoi rovinosi effetti milioni di esseri umani, per cui i paesi a volte consapevolmente perseguono politiche fondamentalmente contrarie ai propri interessi, pur conoscendo l’esistenza di alternative praticabili1. Tale questione ha acquisito una rinnovata rilevanza poiché l’Unione Europea si è ora arruolata in una “marcia della follia” sempre più accelerata sull’Ucraina. Un leader europeo dopo l’altro ha affermato di perseguire la “vittoria militare” dell’Ucraina, il che era irrealistico fin dall’inizio. L’incapacità degli Stati europei di prendere serie iniziative diplomatiche per un cessate il fuoco negli ultimi tre anni sta ora costando caro. Ma invece di imparare dalla debacle, ora che Trump sta prendendo unilateralmente l’iniziativa di negoziare direttamente con la Russia, parti dell’establishment europeo vogliono rafforzare la strategia fallita, prolungando la guerra a ogni costo. Gli stessi leader politici ed istituzionali che ieri sostenevano che la vittoria su Mosca era imminente, oggi affermano che Mosca potrebbe essere “sulla Grand Place di Bruxelles domani” a meno che non ci riarmiamo urgentemente.
Il mancato rifiuto della “marcia della follia” avrà gravi conseguenze per l’Unione Europea e provare a fermarla è una sfida politica enorme ma necessaria. Richiede di spiegare come l’Europa sia stata danneggiata dalla sua politica ucraina; come l’Europa rischia di essere ulteriormente danneggiata rafforzando quella politica; come la “marcia della follia” sia stata venduta politicamente; e perché l’establishment politico europeo persiste in questa linea nichilista (senza fede, empatia e speranza) che tende irresistibilmente a negare gli eventi della realtà, a distruggere la nozione stessa di verità, a vietare qualsiasi descrizione ragionevole del mondo con effetti di tipo autolesionistico. Oggi l’Europa si trova di fronte a una situazione di disastro incombente simile a quelle descritte da Tuchman, nelle quali non si riesce a prendere la decisione giusta perché non si discute delle cose che veramente contano e che hanno a che fare con la realtà reale e non con una realtà immaginata (o immaginaria), in particolare con una visione manichea della realtà che non ammette alternative, un “pensiero unico” dell’establishment che postula e si illude che vi sia un consenso popolare (o quanto meno una passività) per le proprie folli posizioni militariste. Ridurre ulteriormente lo stato sociale europeo per costruire una “economia di guerra” (come proposto dal rapporto Draghi e dai vertici della Commissione Europea) danneggerà un continente già ferito, e ottenere sostegno per le crescenti ambizioni di una postura militarista sarà molto problematico, soprattutto perché i sondaggi suggeriscono che il sostegno pubblico alla spesa per armi ed eserciti è in calo.
I costi politici ed economici della “marcia della follia”
Sebbene non direttamente coinvolta nel conflitto ucraino, l’Europa (in particolare la Germania, i suoi lavoratori e tutti i lavoratori europei che lavorano in aziende che fanno parte delle supply chians delle imprese tedesche) è stata una grande perdente del conflitto combattuto tramite sanzioni economiche contro la Russia che si sono ritorte contro l’economia europea. I conti economici sono chiari. Gli Stati Uniti sono stati i grandi vincitori. Hanno guadagnato tagliando la dipendenza della Germania e dell’Europa occidentale dall’energia russa. L’energia russa a basso costo è stata sostituita da energia molto più costosa fornita dagli Stati Uniti. Oltre che a petrolio e gas, l’Europa ha perso anche l’accesso a tante altre materie prime strategiche russe (ferro, uranio, nichel, terre rare, suoli fertili, acque, sterminate foreste). Ciò ha ridotto gli standard di vita, indebolito la competitività manifatturiera e contribuito a un’inflazione europea più elevata, per cui oggi le famiglie tedesche pagano quasi l’80% in più per il gas rispetto a prima della guerra in Ucraina.
L’Unione Europea ha anche perso l’enorme mercato russo in cui vendeva beni manifatturieri e agro-alimentari e che forniva anche opportunità di investimento e crescita. Inoltre, ha perso la spesa di lusso dell’élite russa (gli oligarchi). Questa combinazione aiuta a spiegare l’economia stagnante dell’Unione Europea. Il futuro economico dell’UE è stato notevolmente compromesso e la “marcia della follia” sta per rendere permanenti quegli effetti.
Ci sono state anche conseguenze negative dovute al massiccio afflusso di rifugiati ucraini. Ciò ha aumentato la concorrenza salariale al ribasso e aggravato la carenza di alloggi che ha aumentato gli affitti. Ha anche gravato sulle scuole e sui servizi sociali e aumentato la spesa per il welfare. Questi effetti hanno avuto un impatto su tutti i paesi europei, ma sono stati più grandi in Germania, Polonia e Repubblica Ceca. In combinazione con gli effetti economici negativi, ciò ha contribuito a un inasprimento dell’umore politico che aiuta a spiegare l’ascesa della politica proto-fascista, ancora una volta soprattutto in Germania. La minaccia alla democrazia europea deriva dal fatto che gli elettori della classe lavoratrice stanno gradualmente intuendo di essere stati traditi. Stanno sopportando enormi costi economici a causa di un conflitto che non è nel loro interesse e dell’applicazione decennale dell’ideologia neoliberista – che chiede austerità, privatizzazione e smantellamento dei servizi pubblici, riduzione delle proteste e del potere dei parlamenti, dei partiti popolari e dei sindacati, deregolamentazione e riduzione delle tasse per i ricchi e le grandi aziende – da parte di governi di centro-destra e di centro-sinistra che ha distrutto la speranza democratica2. Il che contribuisce a spiegare la loro rivolta contro l’establishment politico ritenuto responsabile del fallimento del “sogno” neoliberista e socialdemocratico (quello che prometteva libertà e eguaglianza di opportunità) su cui sono stati fondati sia l’Unione Europea reale di Maastricht sia il primato dell’Occidente. Con la sinistra che soffre di rigor mortis, l’estrema destra è l’unica sponda verso la quale quegli elettori possono approdare.
Per gli Stati Uniti, invece, è stato un grandissimo colpo favorevole: ha indebolito la Russia, aumentato la dipendenza dell’Europa occidentale dagli USA e favorito i produttori americani. Gli USA sono stati anche un grande vincitore perché l’aumento della produzione di armi ha fornito un importante stimolo alla produzione statunitense. Questa configurazione complessiva aiuta a spiegare perché gli USA hanno evitato una recessione. L’unico grande svantaggio è stato il temporaneo aumento dell’inflazione causato dallo scoppio della guerra (e questo ha determinato la sconfitta della candidata democratica Kamala Harris alle elezioni presidenziali).
La Grande Bugia e la vendita della follia
La “Grande Bugia” è un’idea introdotta da Adolf Hitler nel Mein Kampf (1925). L’idea è che se una grossolana distorsione dei fatti che si collega al pregiudizio popolare viene ripetutamente affermata, alla fine verrà creduta come verità. L’applicazione dell’idea della Grande Bugia è stata perfezionata nella pratica dal propagandista nazista Joseph Goebbels. Tuttavia, molte società la usano in una certa misura e l’establishment politico europeo l’ha usata liberamente per vendere l’attuale “marcia della follia”.
Una Grande Bugia è la rinascita della narrazione dell'”appeasement di Monaco del 1938″ (tra Germania, Francia, Gran Bretagna e Italia), in base alla quale si afferma che la Russia invaderà l’Europa centrale e arriverà sino a Lisbona se non verrà sconfitta in Ucraina. Questa bugia attinge anche ai residui della teoria del domino della Guerra Fredda che sosteneva che l’avanzata dell’influenza politica dell’Unione Sovietica in un paese avrebbe innescato un’ondata di crolli in altri paesi.
La narrazione dell’appeasement incoraggia anche paragoni grottescamente inappropriati tra il Presidente Vladimir Putin e Adolf Hitler, il che alimenta una seconda Grande Bugia del moralismo manicheo che dipinge la Russia come malvagia e l’Europa come buona. Questa cornice impedisce di riconoscere qualsiasi responsabilità occidentale per aver provocato il conflitto tramite l’espansione orientale della NATO e tramite l’incitamento di sentimenti nazionalisti anti-russi in Ucraina e altre ex repubbliche sovietiche.
Una terza Grande Bugia riguarda la potenza militare della Russia. L’argomentazione è che la potenza della Russia rappresenta una minaccia esistenziale per l’Europa centrale e orientale, il che conferisce credibilità all’accusa di espansionismo (o imperialismo) russo. Non esiste algebra che possa confutarla, ma i risultati sul campo di battaglia (con le manifeste difficoltà russe ad avanzare speditamente attraverso la linea del fronte ucraino) suggeriscono il contrario. Lo stesso vale per una valutazione della base economica della Russia, che è piccola rispetto a quella dei paesi NATO (il PIL della Russia non è più grande di quello del Benelux – Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo messi insieme), e la Russia ha anche una popolazione in declino e che invecchia per cui non riesce neanche a popolare adeguatamente (con circa 144 milioni di abitanti) gli oltre 17 milioni di chilometri quadrati russi (l’Unione Europea ha 449 milioni di abitanti in 4 milioni e 233 mila kmq).
“Appeasement di Monaco”, “espansionismo russo”, “Russia come malvagia” e “minaccia militare della Russia” sono metafore fittizie concepite per negare alla Russia qualsiasi legittimità, giustificando e oscurando al contempo l’aggressione occidentale. Non c’è mai stata alcuna prova del desiderio russo di controllare l’Europa occidentale, né durante la Guerra Fredda né oggi. Al contrario, l’intervento della Russia in Ucraina è stato principalmente guidato dai timori per la sicurezza nazionale creati dall’espansione della NATO da parte dell’Occidente, di cui la Russia si è lamentata ripetutamente sin dalla disgregazione dell’Unione Sovietica3.
La Grande Bugia avvelena la possibilità di pace (che dovrebbe essere il fondamento dell’identità collettiva europea) poiché è quasi impossibile negoziare con un avversario che è considerato una minaccia esistenziale malvagia (da cui la convinzione che la Russia non capisca altro che la forza) che si contrappone ai “nostri valori” di civiltà. Eppure, nonostante siano false, le bugie hanno presa sull’opinione pubblica. Questo perché risuonano con la lunga storia del sentimento anti-russo, che include la Guerra Fredda e la Paura Rossa degli anni ’20. Inoltre, fanno appello al concetto di “ipocrisia” che è spesso un segno distintivo della “marcia della follia”.
L’abbraccio sempre più stretto della follia da parte dell’establishment politico europeo
La Grande Bugia aiuta a spiegare “come” l’establishment politico europeo ha venduto e sta vendendo la “marcia della follia”, ma questo invita a chiedersi “perché”. La risposta è sia semplice che complicata. La parte semplice è che l’establishment politico europeo ha fallito a livello sia nazionale sia del progetto europeo (la UE di Maastricht, un trattato iperliberista basato sulla piena libertà dei mercati e della finanza e sulla condanna dell’intervento pubblico nell’economia, che ha operato come strumento della lotta di classe rovesciata, per l’aggressione contro la società, per la precarizzazione e la sottomissione del lavoro) e ora è diretto a schiantarsi sugli scogli. Il suo abbraccio sempre più profondo della follia è un tentativo disperato di cercare di salvare se stesso.
Ciò è evidente in Francia, dove il presidente Macron è molto impopolare e manca di legittimità democratica (da quasi un anno è un presidente zoppo senza maggioranza parlamentare). Una strategia di guerra estera sposta l’attenzione dal fallimento politico interno a un nemico straniero (un capro espiatorio). Ciò consente a Macron di fare appello al nazionalismo militarista e di atteggiarsi a difensore della “grandeur” di “La France” che ha 290 testate atomiche (l’”offerta nucleare” di Parigi) contro le oltre 6.000 russe, alimentando lo spettro di uno scontro nucleare.
Una logica simile si applica al primo ministro britannico Keir Starmer, che ha intensificato la strategia politica della “triangolazione”4 con cui il partito laburista imita il partito conservatore. Starmer ha spinto quella strategia a tali estremi che il suo partito è ora laburista solo di nome e ha persino superato i conservatori per quanto riguarda la bellicosità ucraina. Tuttavia, ciò lo ha lasciato in un profondo fosso politico. Con solo il conservatorismo in offerta, gli elettori di destra preferiscono la “cosa vera”, mentre gli elettori di centro-sinistra si assentano sempre di più. La risposta di Starmer è stata quella di aumentare ulteriormente il coinvolgimento britannico in Ucraina e impegnarsi in opportunità fotografiche militari, sperando di evocare somiglianze con Winston Churchill e la signora Margaret Thatcher.
Più in generale, i socialdemocratici europei (insieme ai Verdi tedeschi) si stanno dimostrando ancora più militaristi dei conservatori non solo per quanto riguarda l’Ucraina ma anche il Medio Oriente (con il sostegno del genocidio israeliano dei palestinesi a Gaza e in Cisgiordania). Ciò è dovuto in parte al fenomeno mimetico della “triangolazione” che spinge i socialdemocratici a cercare di superare i loro rivali conservatori. È dovuto anche al vergognoso abbandono dell’opposizione al nazionalismo militarista che ha definito la sinistra sin dagli orrori della prima guerra mondiale. Tale abbandono significa che molti socialdemocratici sono diventati ora amici della follia.
I media istituzionali hanno fornito un essenziale contributo a tutta questa “marcia della follia”. Quando scoppia un conflitto, presentano la storia come se iniziasse allora e ignorano tutto ciò che è accaduto prima. Il risultato è quello di concentrarsi sul conflitto immediato e ignorare le cause, rafforzando e accelerando la “marcia della follia”, e rendendo molto difficile una soluzione del conflitto. Nei tre anni di conflitto militare, i media istituzionali si sono schierati e hanno dimostrato di essere una efficiente “macchina da guerra”, di saper costruire una prigione in cui hanno rinchiuso le opinioni pubbliche – i cittadini e le élite politiche -, manipolando l’informazione in un incessante lavoro di propaganda, di inganno e di falsificazione dei fatti e della realtà. Sembra che le regole della neutralità dell’informazione sui fatti non si applichino quando si tratta di guerra e spesso asserzioni del tutto discutibili (e non adeguatamente verificate) sono state riportate come dati di fatto. È prevalsa l’idea di quanto non sia importante ascoltare le voci scettiche e tener distinta la ricerca dei fatti dalla linea editoriale. Per questo tutti coloro – semplici cittadini e intellettuali – che amano la pace e che in Italia sono legati al principio dell’articolo 11 della Costituzione (“l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali…”) sono stati prontamente etichettati come “putiniani”, visti come potenziali traditori dell’Europa e dell’Occidente. Non importa quanto solide fossero (e siano) le loro argomentazioni, sono stati delegittimati come indegni di considerazione e relegati ai margini del dibattito pubblico, di fatto impedendo loro di manifestare la libertà di pensiero.
L’animosità anti-russa dell’Unione Europea: le lunghe e intricate radici della “marcia della follia”
La parte complicata del “perché” l’Europa ha abbracciato la “marcia della follia” riguarda le lunghe e intricate radici della follia, che affondano nella storia. Quella storia ha seminato l’animosità anti-russa istituzionalizzata che ora guida la “marcia della follia” dell’Europa.
Negli ultimi ottanta anni, l’Europa è stata priva di una visione indipendente di politica estera (eccettuata l’Ostpolitik tedesca intrapresa negli anni ’60 e ’70 e ora condannata). Invece, si è arresa alla leadership degli Stati Uniti, riempiendo il suo apparato militare e di politica estera di persone con una prospettiva favorevole agli Stati Uniti. Tale resa si estese anche alla società civile d’élite (ad esempio, think tank, università d’élite e media tradizionali), e anche il complesso militare-industriale europeo e i leader aziendali si unirono a loro nella speranza di rifornire l’esercito statunitense e ottenere l’accesso ai mercati statunitensi. Il risultato netto è stato che il pensiero di politica estera dell’Europa venne hackerato (ci ha pensato la NATO a guida statunitense) e l’Europa si è trasformata in un vassallo della politica estera degli Stati Uniti, una condizione che perdura ancora.
La mancanza di indipendenza in politica estera ha significato che l’Unione Europea ha sostenuto volentieri l’espansione verso est della NATO guidata dagli Stati Uniti dopo la Guerra Fredda5. L’obiettivo dei neoconservatori statunitensi era quello di creare un nuovo ordine mondiale unipolare in cui gli Stati Uniti sarebbero stati egemoni e nessun paese avrebbe potuto sfidarli, come aveva fatto l’Unione Sovietica. Secondo il piano generale delineato dall’ex consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti Zbigniew Brzezinski, ciò comportava un processo in tre fasi. Il primo passo fu l’espansione verso est della NATO per includere gli ex paesi del Patto di Varsavia (nel 1999 Ungheria, Cecoslovacchia e Polonia; nel 2004 Bulgaria, Lettonia, Slovacchia, Repubblica Ceca, Romania, Lituania ed Estonia; nel 2009 Albania e Croazia; nel 2017 Montenegro e nel 2019 Macedonia del Nord). Il secondo passo fu un’ulteriore espansione della NATO per includere le ex repubbliche sovietiche (Ucraina e Georgia e Bielorussia). Il terzo passo avrebbe completato il processo frazionando la Russia in una miriade di piccoli Stati su base etnica. Questa dottrina neoconservatrice conferisce agli Stati Uniti il diritto di imporre la propria volontà ovunque nel mondo, il che spiega perché gli USA hanno circa 800 basi militari in 80 paesi, circondando sia la Russia sia la Cina6.
La resa dell’Europa alla leadership neoconservatrice degli Stati Uniti aiuta anche a spiegare la parallela e affrettata espansione verso est dell’Unione Europea. Qualsiasi guadagno economico derivante dal commercio avrebbe potuto essere facilmente ottenuto tramite accordi di libero scambio, che avrebbero anche consentito alle aziende europee di sfruttare la manodopera a basso costo dell’Europa orientale e centrale. Tuttavia, l’espansione dell’UE è stata preferita, nonostante fosse enormemente costosa dal punto di vista finanziario e l’Europa orientale non avesse una tradizione politica democratica condivisa. Questo perché l’espansione ha bloccato i paesi in un’orbita occidentale e ha schiacciato la Russia, completando così l’espansione verso est della NATO.
Infine, i fattori idiosincratici dei paesi spiegano anche l’abbraccio dell’Europa alla “marcia della follia”. Ciò è esemplificato dalla Gran Bretagna che ha una lunga e storica ostilità verso la Russia. Tale ostilità ha origine nel XIX secolo, quando la Gran Bretagna temeva che l’espansione russa in Asia centrale avrebbe minacciato la presa britannica sull’India. Era anche guidata dalla paura di una crescente influenza russa nel declino dell’impero ottomano, che motivò la guerra di Crimea (1853-1856), alla quale parteciparono anche i soldati del Regno di Piemonte inviati dal conte di Cavour. L’ostilità britannica moderna verso la Russia è radicata nella rivoluzione bolscevica del 1917 e nella fondazione di uno Stato comunista, nell’esecuzione dello zar e della sua famiglia e nel default dell’Unione Sovietica sui prestiti della prima guerra mondiale dalla Gran Bretagna. Nel 1945, meno di sei mesi dopo l’accordo di Yalta con l’Unione Sovietica, Winston Churchill propose una “Operazione impensabile“, in base alla quale la Germania sarebbe stata riarmata e la seconda guerra mondiale sarebbe continuata contro la Russia. Fortunatamente, il presidente Truman respinse tale proposta. Dopo la seconda guerra mondiale, i servizi segreti britannici sponsorizzarono anche un’insurrezione nell’Ucraina sovietica guidata dal fascista ucraino collaborazionista nazista Stepan Bandera. Questa storia illustra la portata dell’animosità verso la Russia all’interno dell’élite al potere in Gran Bretagna, e quell’animosità permane nella politica britannica e nel pensiero sulla sicurezza nazionale.
La lunga e intricata storia di cui sopra è ora tornata a farsi viva con il conflitto in Ucraina. Dato il suo status di vassallo, l’Europa si è immediatamente allineata alla risposta degli Stati Uniti di Biden nonostante gli enormi costi economici e sociali e nonostante il conflitto riguardasse l’egemonia degli Stati Uniti e non la sicurezza europea7.
Peggio ancora, l’espansione verso est della NATO e dell’UE significa che queste istituzioni ora includono paesi (ad esempio, la Polonia e le repubbliche baltiche) con una profonda e attiva animosità verso la Russia, il che li rende accaniti sostenitori della “marcia della follia”. All’interno della NATO, anche prima dell’intervento militare della Russia in Ucraina, la Polonia ha accolto con favore lo stazionamento di strutture missilistiche statunitensi che potenzialmente rappresentano una grave minaccia per la sicurezza nazionale russa. Allo stesso modo, e prima dell’intervento in Ucraina, le Repubbliche baltiche hanno sostenuto con insistenza lo stazionamento di maggiori forze NATO sul loro territorio.
Per quanto riguarda l’UE, ha nominato intenzionalmente, via accordi intergovernativi con ratifica del parlamento europeo, dei russofobi in posizioni di responsabilità istituzionale come la presidente della Commissione Ursula von der Leyen che ora, oltre a promuovere il riarmo di uno dei continenti più armati al mondo in funzione anti-russa8, auspica di trasformare l’Ucraina in un “porcospino d’acciaio” super armato di droni e missili a lungo raggio. La nomina più recente in tal senso è quella dell’estremista nazionalista estone Kaja Kallas, a cui è stata affidata la responsabilità degli affari esteri e della politica di sicurezza dell’UE. Kallas ha apertamente auspicato la frammentazione della Russia in decine di Stati etnici ed è stata una fervente sostenitrice delle politiche anti-etniche russe quando era primo ministro dell’Estonia. A fianco alla Kallas poi c’è il lituano Andrius Kubilius, commissario per la Difesa e lo Spazio, un nuovo ruolo istituzionale che ha sostituito quello degli Affari Sociali.
Più realista del re: gli amari frutti politici ed economici della “marcia della follia”
Ironicamente, sono gli Stati Uniti sotto il presidente Trump ad aver rotto con la strategia bipartisan dell’establishment della sicurezza nazionale statunitense di accerchiamento incrementale ed escalation contro la Russia che Biden aveva avallato, proponendo una normalizzazione delle relazioni tra Stati Uniti e Russia. Quella rottura – frutto della presa d’atto che gli Stati Uniti hanno subito una sconfitta militare in Ucraina pur senza aver combattuto sul terreno9 (e a Trump non piace essere visto come un “perdente”) – ha offerto all’Unione Europea l’opportunità di sfuggire alla trappola creata dalla sua passata mancanza di visione politica e di “autonomia strategica”. Invece, l’Unione Europea si è dimostrata più realista del re ed è rimasta fedele allo “Stato profondo” neoconservatore della sicurezza nazionale degli Stati Uniti (apparentemente ora messo almeno in parte sotto pressione e ridimensionato da Trump), in nome dei “valori comuni dell’Occidente” (l’”atlantismo”), dimostrando di essere soltanto un satellite americano dipendente, insicuro e privo di una leadership forte e matura (chiaramente buona parte dei leader europei punta sul fallimento politico di Trump). Gli europei sostengono che l’America di Trump non sta negoziando una pace “giusta” (in sostanza, la sconfitta della Russia) ma una resa, una capitolazione dell’Ucraina perché accoglierebbe le richieste di Putin: l’Ucraina deve adottare uno status neutrale, riconoscere l’annessione da parte della Russia della Crimea e delle quattro regioni parzialmente occupate nel sud-est, ridurre drasticamente le sue capacità militari, cessare ogni cooperazione militare con la NATO e i suoi Stati membri, per cui ha insistito sul fatto che la presenza di truppe occidentali come peacekeeper sarebbe inaccettabile, e impedire ai “nazionalisti ucraini” di partecipare alla vita politica. Questo anche se per ora Trump sta negoziando un cessate il fuoco (che Putin ha già detto non accetterà mai) e non ancora la pace10. I governanti dei paesi dell’Unione Europea non vogliono assumersi le loro responsabilità della loro sconfitta e di quella dell’Ucraina, le cui popolazioni e forze armate sono state utilizzate come “carne da cannone” per una guerra contro la Russia che non sarebbe mai dovuta cominciare se solo si fosse dato ascolto alle preoccupazioni reiteratamente espresse dai russi riguardo all’espansione a est della NATO11. e se realmente si fosse perseguito in buona fede un dialogo diplomatico12.
Sia il presidente Macron che il primo ministro Starmer stanno ora parlando di inviare unilateralmente forze militari francesi e britanniche in Ucraina (una “forza di rassicurazione”). Ciò promette di intensificare massicciamente il conflitto e riecheggia la stupidità degli eventi che hanno portato l’Europa alla prima guerra mondiale. Anche il governo laburista di Starmer sta parlando di una “coalizione dei volenterosi”, apparentemente ignaro del fatto che il linguaggio si riferisce all’invasione illegale dell’Iraq guidata dagli Stati Uniti nel 2003 alla quale Germania e Francia si rifiutarono di partecipare (uno dei rari casi di contrasto tra gli Stati Uniti e una parte dei loro alleati europei, etichettati come la “vecchia Europa”).
Nel frattempo l’Unione Europea, con la benedizione dell’establishment politico europeo, per garantire la sicurezza e la deterrenza in una NATO e in un’Europa post-americana (caratterizzata dal disimpegno statunitense motivato da ragioni finanziarie e geo-strategiche: liberare risorse per impiegarle in Asia, in funzione anti-cinese), sta spingendo per un enorme piano di spesa militare da 800 miliardi di euro del Re-Arm Europe (o “Readiness 2030”) che sarà finanziato (almeno in parte, per 150 miliardi) tramite obbligazioni (debito comune) con l’obiettivo di contrastare due “nemici strategici”, Russia e Cina (oltre a Corea del Nord, Iran e paesi imprecisati dell’Africa). Una scelta che non è stata votata dal parlamento UE ma che è stata decisa con una richiesta di spesa dirottata da altre direzioni come coesione e sviluppo regionale, welfare e infrastrutture. La facilità con cui quel denaro è stato presentato la dice lunga sul carattere dell’UE. Il denaro per il “keynesismo militare” è facilmente disponibile, ma il denaro per le esigenze della società civile – servizi, welfare, sanità, pensioni, reddito di cittadinanza, accoglienza e integrazione dei migranti, oltre a salari, lavoro e istituzioni locali – non è mai disponibile per motivi di responsabilità fiscale (l’austerità imposta dal “patto di stabilità e crescita”). Anche Gran Bretagna, Germania13, Polonia (con una spesa militare pari al 4,7% del PIL per il 2025, gran parte destinata ad armi e sistemi di difesa missilistica americani), Danimarca e altri paesi hanno proposto una propria maggiore spesa militare. Invece, Francia, Italia, Portogallo e Spagna respingono il piano di difesa basato sul debito di Von der Leyen: chiedono di incrementare la spesa militare tramite sovvenzioni anziché prestiti europei (consentendo agli Stati membri di aumentare temporaneamente la spesa per la difesa dell’1,5% del PIL in quattro anni), per evitare di aumentare il loro già elevato debito pubblico.
La svolta militare-keynesiana avrà effetti macroeconomici positivi (“sgocciolerà” una crescita economica, dopo due anni di stagnazione/recessione) ed è sostenuta dal complesso militare-industriale europeo (concentrato in Germania, Francia e Italia, oltre che in Gran Bretagna, con aziende come Rheinmetall, Dassault, Leonardo, BAE Systems) che ne trarrà un grande beneficio. Tuttavia, produce armi, non burro. Peggio ancora, promette di bloccare un’economia guidata dalla guerra che esaurisce lo spazio della politica fiscale, non lasciando spazio a una maggiore spesa pubblica per scienza e tecnologia, istruzione, sanità, edilizia pubblica e infrastrutture, che sono ciò che genera vera prosperità. Il rischio è che all’aumentare del giro d’affari dell’industria bellica corrisponda una stagnazione sociale e una recessione economica generale.
Inoltre, la svolta militare-keynesiana avrà conseguenze politiche negative, poiché rafforzerà la posizione politica e il potere del complesso militare-industriale e di coloro che sostengono il militarismo. La celebrazione del militarismo si riversa anche nel pensiero degli elettori, promuovendo sviluppi politici reazionari più ampi.
In sintesi, il frutto politico-economico della “marcia della follia” promette di essere amaro e tossico. Evitare tale destino dipende dal fatto che liberali e socialdemocratici europei riescano a riprendere i loro sensi. Sfortunatamente, questa prospettiva è assai cupa.
Alessandro Scassellati
- Il libro della Tuchman è focalizzato su Troia (la mitica storia del cavallo donato alla città di Troia dai greci), l’incapacità dei papi rinascimentali, tra i quali Alessandro Borgia, di affrontare i fattori che portarono alla Riforma protestante, le politiche dell’Inghilterra nei confronti delle colonie americane sotto il re Giorgio III e il coinvolgimento degli Stati Uniti nella guerra del Vietnam dal 1945 alla sconfitta e ritiro delle truppe a metà degli anni ’70.[↩]
- Giustificato come mezzo per creare una società imprenditoriale, il neoliberismo ha invece portato una nuova era di rendita, poiché le persone e le aziende potenti monopolizzano beni cruciali, dall’acqua alle case ai social media. Lascia al governo poche opzioni se non quella di fare dei richiedenti asilo e di altri gruppi vulnerabili i capri espiatori per i problemi che non riesce ad affrontare.[↩]
- È noto che la NATO è nata nel 1949 per tenere gli “americani dentro, i russi fuori e i tedeschi sotto”. Negli ultimi decenni la NATO è stata trasformata da alleanza difensiva regionale (Nord Atlantico) in alleanza interventista aggressiva a livello globale. Tale trasformazione è iniziata con il bombardamento di Belgrado da parte della NATO nel 1999, si è intensificata con la partecipazione della NATO all’invasione dell’Afghanistan guidata dagli Stati Uniti nel 2001 ed è stata cementata dall’intervento in Libia del 2011, avviato sotto gli auspici della NATO.[↩]
- La “triangolazione” in politica si riferisce a una strategia in cui un politico o un partito si posiziona tra due ideologie o gruppi di interesse opposti per attrarre un più ampio spettro di elettori. Questo approccio comporta l’adozione di elementi da entrambe le parti, creando un compromesso che affronti le preoccupazioni da più angolazioni. Il termine “triangolazione” è stato reso popolare da Dick Morris, un consulente politico che ha lavorato alla campagna di rielezione di Bill Clinton nel 1996. Clinton ha utilizzato con successo la “triangolazione” per attrarre repubblicani e democratici moderati, conquistando infine Stati tradizionalmente repubblicani e assicurandosi la rielezione. In sostanza, la “triangolazione” consiste nel trovare una via di mezzo tra due estremi, sperando di attrarre una porzione più significativa dell’elettorato. Questo approccio può portare a politiche più equilibrate e razionali, ma i critici sostengono che può anche comportare una mancanza di convinzione e principi in politica[↩]
- L’espansione verso est della NATO è ampiamente nota. Il processo è stato avviato quasi immediatamente dopo la fine della Guerra Fredda e ha violato l’impegno degli Stati Uniti a non espandersi preso con il presidente Gorbachev. Le implicazioni aggressive e pericolose erano state notate da George Kennan, autore della dottrina del contenimento della Guerra Fredda, in un editoriale del New York Times del 1997 intitolato “Un errore fatale”. Per i neoconservatori statunitensi, l’espansione della NATO è facilmente comprensibile. La Russia non era stata sconfitta militarmente e costretta ad arrendersi incondizionatamente (come la Germania e il Giappone), e i neoconservatori la consideravano una minaccia continua all’egemonia globale degli Stati Uniti. L’espansione della NATO ha rafforzato la posizione militare degli Stati Uniti e indebolito quella della Russia.[↩]
- La dottrina unipolare si è inizialmente diffusa tra i repubblicani intransigenti come Dick Cheney e Donald Rumsfeld, ed è stata poi adottata da democratici come Hillary Clinton e Barack Obama. Ciò l’ha resa ancora più pericolosa, in quanto ha catturato entrambi i partiti politici statunitensi. Inoltre, con Biden i democratici hanno fornito una copertura insidiosa sostenendo che gli Stati Uniti, “il faro della democrazia”, erano motivati dalla protezione della liberal-democrazia e dei diritti umani dai leader autoritari e neo-autoritari (le “autocrazie”). Il paradosso è che ora con l’amministrazione Trump gli Stati Uniti stanno camminando come sonnambuli verso l’autocrazia o la “democrazia oligarchica”[↩]
- Trump ora ammette spudoratamente che quella in Ucraina è una guerra per procura alimentata e diretta dagli Stati Uniti. Tuttavia, sostiene che è la guerra per procura sbagliata, che la Russia non è l’avversario degli Stati Uniti e che tutti gli sforzi dovrebbero concentrarsi sulla prossima guerra che gli Stati Uniti stanno preparando contro la Cina. Tutto perché Washington vede il suo predominio economico e tecnologico messo in discussione dalla Cina.[↩]
- L’Europa già spende in armi, apparato della difesa, tecnologie militari molto di più di quello che spende la Russia. Ha quattro volte più navi da guerra, tre volte più carri armati e artiglieria e il doppio degli aerei da combattimento della Russia.[↩]
- Il New York Times ha pubblicato un lungo articolo in cui racconta il minuzioso e profondo coinvolgimento degli Stati Uniti di Joe Biden nella guerra in Ucraina. L’articolo è stato scritto dal giornalista Adam Entous ed è basato su oltre 300 interviste a militari, politici e persone coinvolte nel rapporto tra i due paesi. Descrive come molte delle mosse dell’Ucraina nella guerra, tra cui quasi tutte quelle più importanti (sulle strategie militari, le offensive e le controffensive), siano state concordate da un gruppo di generali ucraini e statunitensi nella base americana di Wiesbaden: lì era stato creato un gruppo di lavoro segreto, chiamato Task Force Dragon, al quale partecipavano anche ufficiali europei.[↩]
- Durante la campagna elettorale, Trump aveva detto che avrebbe potuto porre fine alla guerra in Ucraina entro 24 ore. Questo si è dimostrato elusivo e le sue tattiche per costringere Russia e Ucraina a concordare un cessate il fuoco si sono finora concentrate sul bullismo e sulla pressione su Kiev (si pensi all’accordo coloniale sullo sfruttamento delle terre rare). Trump e il suo vicepresidente, JD Vance, hanno rimproverato Zelensky nello Studio Ovale il 28 febbraio, e Washington ha poi tagliato i servizi segreti e gli aiuti militari. Kiev ha poi sottoscritto il principio di un cessate il fuoco di 30 giorni se il Cremlino avesse ricambiato in cambio del ripristino dei servizi segreti e degli aiuti. Putin ha detto all’inizio di marzo che, sebbene fosse a favore di un cessate il fuoco, qualsiasi interruzione dei combattimenti dovrebbe prima richiedere di “rimuovere le cause profonde di questa crisi”. Ieri Mosca ha definito inaccettabili le ultime proposte di pace degli Stati Uniti perché alcune delle richieste chiave della Russia (riferite alle cause profonde del conflitto) non sono state affrontate. Mentre l’esercito russo si prepara a compiere una nuova offensiva di primavera/estate, Trump ha tempo fino a settembre per evitare che la guerra in Ucraina diventi la “sua guerra”. La situazione potrebbe precipitare entro quest’estate, quando la pipeline di armi approvate dal Congresso sotto Biden per l’Ucraina si esaurirà.[↩]
- Putin, in occasione della 43ᵃ Conferenza di Monaco sulla sicurezza (10 febbraio 2007), aveva invocato un nuovo ordine mondiale che non minacciasse i confini della Russia. Negli anni successivi si è rivolto spesso all’opinione pubblica internazionale, soprattutto agli europei, con continue accorate esortazioni. Nella conferenza stampa del 23 dicembre 2021 aveva affermato: “Abbiamo chiaramente detto che ogni ulteriore movimento della NATO verso est è inaccettabile. Non c’è niente di poco chiaro, al riguardo. Noi non stiamo mettendo i nostri missili ai confini degli USA, mentre gli USA stanno piazzando i loro missili vicino a casa nostra. Stiamo chiedendo troppo? Cosa c’è di strano in questo?”. Ma il processo di inserimento dell’Ucraina nella NATO non si è fermato. A vuoto è andato anche l’ultimo appello di Putin alla vigilia dell’invasione dell’Ucraina, l’8 febbraio 2022: “Lo voglio sottolineare ancora una volta […] che finalmente mi ascoltiate e lo comunicate al vostro pubblico su stampa, tv, internet. Vi rendete conto che se l’Ucraina entra nella NATO e cerca di riprendersi la Crimea per via militare, si troveranno automaticamente coinvolti in un conflitto militare con la Russia? Non ci saranno vincitori”.[↩]
- Riguardo agli accordi di Minsk, garantiti da Germania e Francia, che avrebbero dovuto normalizzare la situazione in Ucraina, scongiurando un allargamento del conflitto, com’è noto, il 7 dicembre 2022, al quotidiano tedesco Die Zeit, Angela Merkel, ha rivelato apertamente che quegli accordi erano una finzione, perché servivano a “dar tempo all’Ucraina di armarsi”. Ammissione, poi confermata anche dall’ex presidente della Repubblica francese, Franҫois Hollande.[↩]
- Quelli che sono cresciuti nel XX secolo hanno imparato che mettere assieme sciovinismo e militarismo in Germania è una pessima idea. I produttori di cannoni della valle della Ruhr hanno alimentato due devastanti guerre mondiali. Dopo il 1945, l’Europa ha concordato: nessun ritorno al militarismo tedesco. Ora il parlamento tedesco ha destinato ad armi e infrastrutture mille miliardi di euro dopo l’approvazione di una riforma costituzionale che ha abrogato l’obbligo del pareggio di bilancio, passata con un blitz prima che a Berlino si sia formato il nuovo parlamento. La Germania è già al quarto posto a livello mondiale per spesa per la difesa, ma ora sta passando alla modalità turbo per diventare apertamente kriegstüchtig (“pronta alla guerra”).[↩]