La decisione della magistratura di condannare Marine Le Pen e altri esponenti del suo partito, il Rassemblement National, di estrema destra, per distrazione di fondi pubblici avrà un impatto sulla situazione politica francese che non è facile prevedere. Soprattutto perché interviene in un contesto di crisi, caratterizzato da un presidente che gode di scarsa popolarità, non dispone di una maggioranza parlamentare e che cerca di garantire il proprio potere mantenendo in piedi governi precari.
Nel merito della decisione dei giudici c’è un aspetto che sembra difficilmente contestabile e un altro che invece solleva qualche interrogativo legittimo. L’accusa rivolta agli esponenti dell’estrema destra riguarda l’abuso dei fondi destinati dal Parlamento europeo ad assumere assistenti che supportino gli europarlamentari nel loro lavoro. Nel caso del Rassemblement National (ex Front National) i personaggi messi a libro paga del Parlamento europeo hanno svolto tutt’altro lavoro. L’inchiesta ha accertato senza alcun dubbio che molti o tutti costoro svolgevano sì varie attività per il loro partito ma poco o nulla sapevano dell’attività dei parlamentari di cui avrebbero dovuto essere, in teoria, gli assistenti. Tutto ciò è stato largamente dimostrato da una quantità di prove documentali. Per altro il partito della Le Pen non si è nemmeno troppo preoccupato di nascondere la destinazione reale di questi “assistenti parlamentari” dato che la loro azione si svolgeva agli occhi del pubblico e della stampa.
La difesa ha utilizzato come argomentazione che in ogni caso si trattava di persone che lavoravano per il partito e che i confini esatti tra attività specifica del parlamento europeo e azione politica generale non sono esattamente definibili. Difesa piuttosto debole e che infatti non ha funzionato. L’ammontare dei fondi distratti al loro uso specifico, stabilito dal Parlamento europeo, supera i 4 milioni di euro. Non certo briciole. Il comportamento dell’RN non è frutto solo di un uso disinvolto del denaro pubblico ma anche dal rivendicato spirito “sovranista” che considera del tutto marginale l’azione in sede europea. Una presenza, quella nell’istituzione che si divide tra Bruxelles e Strasburgo, considerata al più come marginalmente propagandistica e che, come tale, non aveva bisogno di dedicare molto tempo allo studio dei dossiers.
Se questa è la parte difficilmente contestabile della sentenza di condanna, più complicato è valutare l’applicazione della norma che prevede l’ineleggibilità con effetto immediato, senza attendere la sentenza di appello. In questo caso non si è in presenza di una decisione ineluttabile bensì di una scelta discrezionale le cui ragioni vengono esplicitamente argomentate nella sentenza.
Due sono le motivazioni fondamentali che vengono addotte. I giudici hanno valutato che l’argomentazione difensiva sostenuta (“gli assistenti parlamentari avrebbero effettuato un lavoro politico, non distaccabile dal mandato del loro deputato, a profitto di un partito politico”), tanto più, si specifica, che molti dei condannati hanno una formazione giuridica, indica che gli esponenti dell’RN sotto processo non avrebbero “manifestato alcuna volontà di partecipare alla manifestazione della verità”. E questo mancato riconoscimento preventivo della “verità” da parte degli accusati, che in pratica si sarebbe tradotta in una ammissione di colpa, attesterebbe la tendenza a reiterare il reato.
Nella sentenza il tribunale ha anche introdotto un’altra considerazione che si colloca al confine tra la motivazione giudiziaria e valutazione politica. Si afferma che il “tribunale prende in considerazione, oltre il rischio di recidiva, i disturbi importanti all’ordine democratico che deriverebbero nel caso specifico dal fatto che sia candidata, per esempio e specialmente alle elezioni presidenziali, ed eventualmente eletta, una persona che sarebbe già stata condannata in prima istanza, in particolare a una pena complementare di ineleggibilità, per fatti di distrazione di fondi pubblici e potrebbe esserlo in seguito in modo definitivo”. Tutto questo ragionamento implica una valutazione politica tendente a scegliere di rendere da subito incandidabile Marine Le Pen, sulla base del rischio derivante da una conferma della condanna una volta già eletta a Presidente della Repubblica. Introducendo valutazioni che assumono l’opportunità politica come criterio diventa facile opporre ad esse altri e ed opposti criteri di opportunità politica, quale quella di non sottrarre una candidata che si trova largamente in testa nei sondaggi al giudizio popolare.
Sul piano giudiziario la Le Pen procederà con i propri ricorsi ed è già stato annunciato dalla Corte d’Appello (evento per nulla usuale) che si arriverà ad una sentenza entro l’estate del 2026, in modo da consentire la possibile partecipazione alle elezioni presidenziali del 2027.
È indubbio che non si può accettare l’idea che il potere politico debba considerarsi al di sopra delle leggi e godere di immunità che non si applicano al comune cittadino. Così come è evidente l’ipocrisia di una destra estrema (e non solo) che punta a criminalizzare un gran numero di comportamenti quando questi riguardino il dissenso politico altrui o semplicemente derivanti da condizioni sociali in cui si trovano spesso i ceti popolari e le minoranze “razializzate”, ma si scandalizzi quando l’azione della magistratura colpisce i loro comportamenti criminali.
Resta però il problema che deriva dalla stessa legge che stabilisce il principio di ineleggibilità e che tende a produrre elementi di confusione ed anche a fornire possibili appigli ad una magistratura che non può sempre essere vista come totalmente super partes. La stessa sentenza che ha riguardato gli esponenti del Rassemblement National produce effetti diversi e contraddittori. La tendenza a reiterare il reato, ravvisata dal tribunale, non porta alla destituzione dell’attuale sindaco di Perpignan, la principale città francese controllata dall’estrema destra, il quale potrà regolarmente portare a termine il proprio mandato. Come se la reiterazione del reato di uso illecito di fondi pubblici a fini politici potesse riguardare solo gli eletti di domani e non quelli attualmente in carica.
L’annuncia della Corte d’Appello sui tempi rapidi della seconda sentenza sembra finalizzato a far scendere la tensione ma resta l’incertezza sugli effetti politici di breve e lungo termine su un sistema politico già in crisi e che vive una situazione di precarietà. L’attuale governo guidato dal centrista Barnier è sopravvissuto grazie alla “non sfiducia” del Rassemblement National che ha permesso l’approvazione di numerose misure legislative sostenute dalla maggioranza macroniana e dalla destra tradizionale.
Nel frattempo si sta avvicinando la scadenza di un anno dalle precedenti elezioni che impediva al Presidente della Repubblica di indire un nuovo voto anticipato. Sarà il Rassemblement National molto probabilmente a continuare ad avere in mano le chiavi della sopravvivenza del governo. A questo punto dovrà decidere se attendere un altro anno che arrivi la sentenza d’appello, sperando che sia maggiormente favorevole alla Le Pen, continuando a barcamenarsi in una tattica parlamentare che cerca di combinare il ruolo di alternativa al “sistema” e contemporaneamente di forza responsabile, unica in grado di garantire la permanenza di quello stesso “sistema”. L’altra soluzione sarebbe di imporre elezioni anticipate ravvicinate contando sulla crescita di consensi che si registra nei sondaggi, in grado forse, in quel caso, di conquistare la maggioranza parlamentare e procedere anche a quelle modifiche legislative sull’ineleggibilità già preannunciate da Eric Ciotti, alleato del Rassemblement.
Potrebbe essere un azzardo ma in questa fase le condizioni sembrano essere favorevoli all’estrema destra che oltre tutto potrebbe presentarsi al voto con l’aureola della vittima del “potere”, nascondendo che in realtà buona parte di quel “potere” (economico, mediatico, ecc.) si è in gran parte riallineato in direzione del partito della Le Pen. L’RN potrebbe cercare di capitalizzare il consenso prima delle elezioni amministrative del 2026, considerate di per sé un terreno poco favorevole al partito.
Alcune delle condizioni che hanno frenato nel 2024 il successo dell’estrema destra ora sembrano più difficilmente riproducibili. Il Nuovo Fronte Popolare, che aveva consentito la convergenza programmatica ed elettorale dei quattro partiti della sinistra (Socialisti, France Insoumise, Comunisti, Ecologisti) si è frantumato. I socialisti non hanno votato l’ultima sfiducia al governo e sono profondamente divisi all’interno in vista del prossimo congresso nazionale. Una parte è favorevole a mantenere la collaborazione a sinistra ma senza essere completamente subordinata alla politica di Melenchon, mentre un’altra guarda al centro e al recupero dell’elettorato di Macron che proviene dal bacino elettorale socialista. Nelle presidenziali potrebbe raggrupparsi attorno alla candidatura di Raphael Glucksmann.
I comunisti perseguono una strategia di riaffermazione di un proprio profilo che, sul piano delle tematiche socio-culturali, sembra avvicinarsi al “conservatorismo di sinistra” di Sahra Wagenknecht, nella speranza di recuperare un elettorato tradizionale che si è rifugiato nell’astensione o si è spostato a destra.
La France Insoumise è certamente la formazione più dinamica. È riuscita ad insediarsi in settori di elettorato giovane e nei quartieri popolari con una particolare attenzione a quegli elettori il cui background familiare è legato all’emigrazione, soprattutto africana e maghrebina. La strategia di Melenchon ha sempre unito la radicalizzazione polemica, anche nei confronti degli alleati, con la rapida svolta unitaria quando questa non può essere evitata. In questo modo questa formazione politica ha costruito un blocco elettorale relativamente solido (10-12%) ma non è riuscita a diventare il perno di un’alleanza che riconosca ruolo identità delle formazioni alleate.
Di fronte a possibili elezioni anticipate sembra difficile ricomporre una nuova alleanza, dopo la Nupes, e il Nuovo Fronte Popolare, che possa mobilitare un disorientato elettorato di sinistra. Ancora più difficile invitare alla desistenza verso gli eletti di Macron dopo che questi ha fatto di tutto per impedire l’accesso al governo delle sinistre e ha usato i voti dell’NFP convogliati sui suoi candidati al secondo turno per formare governi sempre più spostati a destra.
La crisi del sistema politico sembra destinata, quindi, a perpetuarsi e forse ad accentuarsi, tanto più che anche il quadro economico è tutt’altro che brillante. Il debito pubblico è notevolmente cresciuto e la volontà di Macron di partecipare in prima fila alla politica di riarmo avrà come contropartita ulteriori e pesanti tagli alla spesa sociale. La miscela potrebbe diventare realmente esplosiva e la crisi francese lascerebbe il timone dell’Unione Europea interamente nelle mani della coppia Merz-Von der Leyen. Altro che il “Manifesto di Ventotene”.
Franco Ferrari