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Sciopero femminista contro la pandemia patriarcale

di Tommaso
Chiti

Per la Giornata Internazionale delle Donne lo scorso 8 marzo sono state molte le piazze, scosse dal torpore del distanziamento sociale con iniziative nell’ambito dello sciopero femminista e transfemminista  nonostante la pandemia, peraltro propulsore di iniquità e diseguaglianze anche di genere oltre che sociali.

Dal Cile con la mobilitazione della Coordinadora8M, all’Europa con il movimento NUDM ed i sindacati di base, fino ad oltre oceano, si è percepito chiaramente il bisogno di riscatto, che ha portato in piazza una platea intersezionale di persone a rivendicare come “essenziale lo sciopero e la lotta”. Fra le istanze maggiormente riecheggiate il diritto a sanità ed istruzione pubbliche, la libertà di aborto e consultori accoglienti anche di soggettività non binarie, la tutela delle migranti da sfruttamento e ricatto della clandestinità, misure concrete contro la violenza di genere, oltre al blocco di licenziamenti e sfratti.

Tutt’altro che una banalità da parte di lavoratrici essenziali, proprio perché maggiormente impiegate in settori come sanità – pari all’86% del totale di addetti a livello europeo-, istruzione, distribuzione e commercio al dettaglio, applaudite dai balconi all’inizio della pandemia, e ora alle prese con il rischio di nuove restrizioni, fra cui come in Italia le chiusure scolastiche che – in mancanza di congedi parentali o ferie – metterebbero in seria difficoltà la conciliazione fra vita professionale e privata.

Nella sessione plenaria di giovedì scorso al Parlamento Europeo è stata riconosciuta anche dal Presidente Sassoli la “retorica sterile” a fronte dell’assenza di misure concrete per far fronte al rischio di cancellazione di decenni di conquiste, acuito da governi reazionari e patriarcali, specie sui diritti civili, come per il divieto di aborto in Polonia. In occasione dell’8 marzo la Commissione UE guidata da Ursula Von der Leyen ha proposto misure di trasparenza salariale, come priorità politica da sancire mediante una direttiva per la perequazione dei salari, contro quel ‘soffitto di vetro’ quindi, nel quale incappano molte lavoratrici che, a parità di inquadramento subiscono comunque l’ingiustizia di uno stipendio minore dei loro colleghi uomini.

Questa iniziativa è pensata nel quadro della Gender Equality Strategy 2020-2025 attuativa dell’art.157 TFUE sull’uguaglianza di genere, attualmente intorno al 67,5% a livello UE, pur se con molti distinguo nei vari stati membri. La strategia persegue il duplice approccio dell’integrazione della dimensione di genere con il principio trasversale dell’intersezionalità, mediante obiettivi riguardanti la fine della violenza di genere, la lotta agli stereotipi sessisti, il superamento del divario di genere sul lavoro, sia retributivo che pensionistico.

Di fatto però le donne restano sotto rappresentante nei processi decisionali e la sproporzione aumenta nei lavori gratuiti come quello domestico, di circa 65 ore settimanali come denuncia la Sinistra Europea.

mentre le competenze comunitarie in materia di politiche sociali restano concorrenti agli stati membri e quindi meno stringenti.

Una sfida tutt’altro che facile insomma, se si considera il ritmo di diminuzione di appena lo 0,1% all’anno della disparità salariale secondo e European Institute for Gender Equality (EIGE), richiedendo quindi almeno altri 60 anni, escluse le ricadute della crisi sanitaria. Non a caso da tempo è stato sancito l’Equal Pay Day al 3 novembre di ogni anno, data simbolica dalla quale il lavoro femminile viene considerato gratuito, se si equiparano gli stipendi con i colleghi uomini.

Secondo Eurofound infatti questa disparità solo nel 2018 è stata stimata in perdite economiche per le finanze pubbliche di circa 320mld.€ a livello di Unione Europea (intorno al 2,4% del PIL). Inoltre le donne rappresentano il 58% dei soggetti percettori di salario minimo, sebbene siano il 48% della forza lavoro complessiva, con conseguenti rischi di instabilità finanziaria, precarietà e ricadute di lungo termine sulle pensioni.

Eppure il bilancio di EUROSTAT già prima della pandemia sui dati relativi all’occupazione (2019) è impietoso e segna una differenza del  11,7% del tasso femminile rispetto a quello maschile, più accentuato in paesi come Malta, Grecia ed Italia. Qui l’occupazione femminile ha segnato -4,1%, il doppio della media europea, meglio solo della Spagna (-5,2%), analogamente alle quote sul totale dei posti persi, di cui oltre la metà (56 su 100) di donne.

Il gap salariale è invece del 14,8% sempre a favore degli uomini, che rappresentano l’80% circa degli occupati in professioni maggiormente remunerate. Alle donne spetta un primato critico nell’impiego part-time superiore del 32% a quello maschile ed in larga parte non per scelta, dato che sono largamente impiegate in professioni poco o punto remunerate, specie nei lavori di cura, assistenza e casa.

L’anno scorso è stato il 25° anniversario della Dichiarazione di Pechino dell’ONU, a favore dell’emancipazione femminile e del miglioramento della condizione delle donne in tutto il mondo, ma la strada da percorrere per la parità di genere è ancora lunga.

INFO:

https://www.europarl.europa.eu/news/it/headlines/priorities/giornata-internazionale-della-donna-2021

https://www.europarl.europa.eu/news/it/press-room/20210226IPR98811/iwd-2021-the-gender-dimension-must-be-included-in-the-covid-19-recovery-plans

https://www.europarl.europa.eu/news/it/headlines/society/20210225STO98702/l-impatto-della-pandemia-covid-19-sulle-donne-infografica

https://www.europarl.europa.eu/cmsdata/230495/ICM-ThD-IWDFEMM2021.pdf

https://www.guengl.eu/iwd-2021-marks-feminist-fightback-in-struggle-for-womens-rights/

8 marzo, intersezionalità, sciopero femminista, sciopero transfemminista
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