La strategia processuale scelta dall’avvocata Bongiorno, nei vari processi in cui l’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini è imputato di sequestro plurimo di persona per aver impedito l’attracco a navi cariche di richiedenti asilo, ha due caratteristiche. Le diverse vicende che hanno visto coinvolte navi di organizzazioni umanitarie e della marina militare, hanno subito un trattamento criminoso da parte del Viminale che dal punto di vista giuridico dovrebbe essere severamente punito. Dopo le autorizzazioni concesse dal Tribunale dei Ministri, in un campo ipotetico e teorico, le soluzioni, a reato comprovato e anche con vittime del sequestro che chiedono giustizia, dovrebbero essere condannati o l’ex ministro dell’Interno o, in caso di provata complicità, gli esponenti dell’allora governo che erano a conoscenza del reato e non hanno fatto nulla per impedire che venisse compiuto.
Ma la difesa ha scelto di contrattaccare non solo negando le responsabilità del politico inquisito e cercando di coinvolgere correi ma, soprattutto ora che la Lega è tornata al governo, affermando che i governi che sono seguiti non hanno fatto altro che continuare, magari con toni diversi, le gesta dell’”uomo con la felpa”.
Dal punto di vista processuale l’affermazione non avrebbe ragion d’essere. Sarebbe come chiedere di essere assolto da un reato di omicidio in nome del fatto che ogni giorno qualcuno perde la vita per simile ragione. Il reato è responsabilità personale e in base a questo si dovrebbe essere giudicati. Ma dal punto di vista politico la strategia è azzeccata al punto che potrebbe portare anche ad azzerare le decisioni del tribunale.
Col “Conte 2” poi e con il governo Draghi ora – stessa ministra al posto di Salvini – nel Mediterraneo Centrale si sono continuate e si continuano ad applicare le stesse, identiche politiche. Ovvero respingimenti verso la Libia e la Grecia, contrasto all’attività delle “navi umanitarie”, ritardi nei tempi per concedere lo sbarco di chi arriva, ecc… Certo i tempi di attesa al largo sono minori, con Salvini si è arrivati anche a 38 giorni, c’è meno propaganda mediatica attorno agli impedimenti frapposti ma nel contempo ogni nave di soccorso continua ad essere sottoposta, dopo i salvataggi, a provvedimenti di “sequestro cautelativo” e ad indagini tali da ostacolare ogni impresa. Gli stessi giornali, anche quelli della sedicente “stampa progressista”, hanno ripreso a prestarsi alla campagna di odio e criminalizzazione verso le ong, utilizzando spesso elementi parziali e che dovrebbero essere ancora riservate, di indagini in corso.
Non è casuale che dal suo insediamento il presidente Mario Draghi abbia volutamente poco affrontato i temi connessi all’immigrazione – troppo divisivi nell’eterogenea maggioranza – lasciando ai ministri salviniani campo libero. Al Viminale, seppur con ruoli non ancora ben definiti, sede l’autore dei “decreti sicurezza” solo in parte modificati durante il “Conte 2”, l’avvocato Nicola Molteni, fervente leghista e uomo d’ordine. Per ora il sottosegretario verde / nero, intende occuparsi di pratiche non ancora evase dal governo precedente come la dotazione di “taser” alla polizia municipale, ma difficile che resti a lungo in silenzio, tenendo conto che con l’arrivo di una stagione migliore e col peggioramento delle condizioni in Libia, Tunisia e Algeria, gli arrivi potrebbero riaumentare.
Speriamo di non essere profeti di sventura ma è ipotizzabile che le fasi cruciali dei processi a Salvini potrebbero coincidere con condizioni per cui si attuerebbero le stesse modalità emergenziali praticate in passato. Draghi sa benissimo che l’obbligo di redistribuzione dei profughi nei Paesi UE è solo una chimera. Lo stesso New pact on migration and asylum presentato il 23 settembre scorso dalla Presidente Von Der Leyen, che ancora deve attraversare discussioni nel Parlamento e nel Consiglio, non prevede tale obbligatorietà ma richiama ad un “principio di solidarietà” già affermato tante volte come vincolo nell’UE e normalmente disatteso.
Comunque ogni modifica “favorevole” giungerà con tempi lunghi e nel frattempo i governi dovranno adattarsi. Come? Rendendo sempre più deserto il Canale di Sicilia, bloccando con ogni mezzo necessario le navi delle ong che debbono continuare ad essere considerate “nemico da additare” e obiettivo di campagna politica per costruire consenso.
Si sta evitando, questo va chiarito, di urlare alla “chiusura dei porti” (lo fanno dal governo i leghisti e dall’opposizione di destra i parlamentari di FdI) ma l’antifona non è cambiata, si è unicamente raffinata. Indagini sulle ong con tanto di indiscrezioni a mezzo stampa per provare a denunciare un legame con gli “scafisti”, tentativi di far passare le organizzazioni umanitarie come soggetti che speculano sul soccorso – l’inchiesta che appare priva di fondamento su un episodio serve a gettare fango su tutti – e in più le pratiche di “sequestro sanitario” di equipaggi e imbarcazioni.
Ma procediamo con ordine: nei primi giorni di marzo, con una simultaneità che permette di parlare di “giustizia ad orologeria” 3 diverse procure siciliane hanno dato notizia prima di un’inchiesta contro la nave Mare Jonio (Mediterranea Saving Human), poi hanno chiuse le indagini sulla nave Juventa e rinviato a giudizio chi ha operato sull’Aquarius. Il ritorno delle destre al potere è stato “battezzato” nei tribunali con largo anticipo e c’è da temere che siamo solo all’inizio.
Non stupirebbe che all’udienza decisiva del 14 maggio, per il “caso Gregoretti” (nave militare italiana bloccata dal ministro Salvini), la strategia difensiva enunciata all’inizio combinata con le inchieste in corso verso le ong, possa portare l’ex ministro verso la completa assoluzione.
Ad intervenire poi sul campo con ulteriori pessimi segnali ha poi provveduto il più insospettabile dei ministeri”, avvalendosi dell’Usmaf
L’acronimo in questione si esplica in “Ufficio di sanità marittima, aerea e di frontiera”. Le sue strutture sono dislocate omogeneamente sul territorio nazionale e dipendono dal ministero della Salute rimasto all’onorevole Speranza (Leu). Quando una nave che porta migranti sbarca su territorio nazionale, in base all’articolo 8 lettera b del Dpcm 14 gennaio 2021, anche l’equipaggio, pur se asintomatico e poi negativo ai tamponi, viene posto in quarantena. La stessa motivazione per cui anche i migranti passati per la Libia, che fa parte del cosiddetto “gruppo E” dei paesi considerati più a rischio, sono trasferiti, anche se negativi, nelle navi quarantena. Il bello è che nel suddetto Dpcm esiste anche un “punto 7” dello stesso articolo sopra citato – ci si perdoni i tecnicismi – che esula dal trattenimento l’equipaggio e il personale viaggiante.
Il punto 7 però è preso in considerazione per le navi commerciali ma non vale per le navi delle ong. La ragione? Nessuno la spiega.
Intanto le persone continuano a giungere, con gli sbarchi “autonomi” non conteggiati da Salvini nel rivendicare il proprio primato nella salvaguardia dei sacri confini e con gli arrivi dalla Libia anche se oggi come unica nave operativa resta la Sea Watch 3, si sta tentando, ma ci vorrà tempo, di mettere in mare la nave di un nuovo progetto, la ResQ.
Intanto, a causa di queste politiche scellerate, non si fermano i naufragi e aumenta il triste conto dei morti. L’8 marzo è giunta notizia, dalla Tunisia, per l’esattezza dalle isole Kerkennah, (governatorato di Sfax) dell’affondamento di due imbarcazioni. Due giorni dopo sono stati recuperati 39 cadaveri fra cui 4 bambini e 10 donne, in 165 sono stati invece salvati. Le ricerche in mare continuano ma non c’è speranza di trovare altri superstiti. La Lega tornata al governo straparla di una crescita esponenziale di arrivi a cui i suoi ministri e sottosegretari porranno rimedio, intanto secondo il recente rapporto “Missing Migrants Project” di Oim e Unhcr, il rapporto fra i tentativi di traversata e il numero dei morti fra quest’anno e il precedente è raddoppiato (dallo 0,8% all’1,6%). Sui 10.000 che hanno tentato la traversata metà c’è riuscita, l’altra è stata respinta nei lager libici, in Tunisia, in Algeria o ha lasciato la vita in mare. Per queste ragioni anche il Consiglio d’Europa, ha “bacchettato” i Paesi UE considerandoli responsabili di tali drammi.
La commissaria per i diritti umani Dunja Mijatovic, ha infatti attaccato l’UE: «Gli Stati Ue devono urgentemente cambiare le loro politiche migratorie nel Mediterraneo, perché quelle attuali mettono in pericolo la vita e il rispetto dei diritti di rifugiati e migranti», ha detto. E, riferendosi agli accordi di Italia e Malta con la Libia, all’operazione Irini e alle azioni contro le Ong, ha aggiunto: «Molte azioni degli Stati sembrano avere lo scopo implicito o esplicito di lasciare il campo libero alla guardia costiera libica perché intercetti le imbarcazioni di migranti». Questo pochi giorni dopo che il direttore dell’Agenzia Frontex, sotto indagine per aver provocato il respingimento di 11 mila richiedenti asilo in Libia e per quanto sta accadendo sulla Balkan Route si è difeso in maniera imbarazzante dichiarando che “è nell’interesse di Frontex fare luce sulle preoccupazione e le accuse espresse dalle istituzioni europee e dai cittadini” anticipando poi che nella relazione presentata a riguardo “non ci sono evidenze che il personale di Frontex abbia partecipato a violazioni dei diritti umani fondamentali”.
Non è accaduto nulla di male quindi. Lo dice la maggioranza Von Der Leyen in Europa, lo conferma il governo di “Unità nazionale” in Italia. Poco è cambiato insomma, rispetto ai tempi in cui Salvini diceva “la pacchia è finita”.
Modi diversi ma identiche intenzioni, è questo il filo nero che unisce Salvini e Lamorgese, nel silenzio di una maggioranza “bulgara” del parlamento e della grande stampa italiana.