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Roba da matti !

di Fulvio
Picoco

Qualche giorno fa è stata posta la prima pietra per la costruzione di una “cittadella psichiatrica”,  alla periferia  di Nairobi (Kenia), alla presenza del Ministro degli Esteri Italiano Di Maio. Il progetto prevede che la cittadella potrà ospitare fino a 600 pazienti ed è promosso tra gli altri dal Gruppo Ospedaliero S. Donato (primo gruppo ospedaliero privato italiano). Questo nuovo polo per la cura delle malattie psichiatriche diventerà punto di riferimento per l’Africa  centro orientale, lì dove questo tipo di patologie si stanno sviluppando per una serie di motivi anche di tipo sociale ed ambientale, dai cambiamenti legati alla urbanizzazione di molte aree, alle problematiche del lavoro, alla povertà, alle crisi alimentari, alle guerre, al desiderio frustrato di trovare territori ospitali, emigrando.

La risposta che si dà al disagio mentale è di tipo manicomiale, non solo per il numero di persone che si intende accogliere nella cittadella, ma anche per il tipo di “cura” fondamentalmente asilare.

Al di là della strategia affaristica del privato sanitario in ambito internazionale, che senso può avere la presenza di un Ministro del governo Italiano, che sembra dare un significato simbolico al progetto? Perché non esportare in Africa il modello di cura territoriale e di salute mentale, dalla prevenzione alla cura in acuto, alla prevenzione secondaria, alla riabilitazione e al recupero delle abilità individuali e sociali, alla costruzione della rete di sostegno alle persone affette da patologia psichiatrica e alle famiglie?

Proprio in questo periodo in cui nel nostro paese vi sono segnali della fine della spinta di Basaglia e della legge 180/78!

In giro per l’ITALIA numerosi i Dipartimenti di Salute Mentale (la legge 180/78, ha cercato di disciplinare il passaggio dal “manicomio” al socio sanitario e alla “salute mentale”, ma trattandosi di una Legge quadro ogni Regione ha prodotto leggi di applicazione delle norme ed articoli sulla psichiatria in modo diversificato, cosa che sostanzialmente hanno modificato i progetti-obiettivo “Tutela della salute mentale” 1994-1996 e 1998.2000, che pure istituivano la organizzazione dipartimentale) in cui depauperate sono le dotazioni organiche (mancano Medici, Psicologi, Terapisti della Riabilitazione psichiatrica, Infermieri, Assistenti Sociali, OSS, ecc.) che dovrebbero essere adeguate a svolgere il delicato e difficile compito della cura e presa in carico delle persone che soffrono di patologia mentale, in grado di fare “salute mentale” su tutto il territorio, che finora si è retto sul sacrificio, la buona volontà, l’impegno professionale degli operatori residui dei servizi.

Dov’è l’approccio unitario alla persona che richiede prima di tutto un processo di integrazione interno al DSM, tra le sue varie parti costituenti, in particolare lungo l’asse territorio-ospedale-territorio, ma anche nell’area della riabilitazione tra CSM e Strutture riabilitative?

Quali risposte sono state date alle recenti morti di persone contenute a letto, anche in reparti ospedalieri di territori che sono stati pilota nella realizzazione della progettualità di Basaglia?

Dove sono i progetti di valutazione della qualità assistenziale?

Dove la formazione degli operatori?

Quali le risposte ad altri segnali di voglia di tornare al passato, come ad esempio le modifiche apportate alla Consulta Regionale per la Salute Mentale della regione Lazio che viene deprivata di significato con la legge Regionale del 17 giugno 2022 n.10, art.19?

Che dire poi della riabilitazione psichiatrica e delle varie strutture create? Certamente le sr ospitano i pazienti che in passato venivano ricoverati negli ospedali psichiatrici, tendenti alla cronicizzazione, con maggiori disabilità, con disturbi psicopatologici gravi, con patologie e disabilità insorte  in giovane età, non coniugati, che non svolgono alcun lavoro, che percepiscono pensione di invalidità civile, con comportamenti aggressivi e disturbanti, le cui famiglie per i loro congiunti desiderano una sistemazione che preveda maggiore supervisione clinica e assistenziale che porta a iperprotezione e scarsa     autonomizzazione. Vi è una dimissibilità molto bassa, soprattutto dalle strutture a più elevata intensità assistenziale  ed i fattori che intervengono sono molteplici:

  • si dà priorità alle attività interne (gestione di sé, della casa, dei laboratori);
  • è difficile la realizzazione di attività esterne;
  • si raggiungono abilità relazionali e sociali in grandi gruppi;
  • si hanno quindi scarse possibilità di reinserimento sociale in contesto non protetto e dubbi sul mantenimento delle abilità, anche in famiglia.