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Ripensando a Gustavo Gutiérrez, il profeta della teologia della liberazione

di Alessandro
Scassellati

Il 22 ottobre è morto a 96 anni Gustavo Gutiérrez, uno dei padri di una delle correnti di pensiero teologico cattolico più discusse del ‘900, la teologia della liberazione, che alla sua base ha l’opzione preferenziale per i poveri e gli oppressi. Diventato un frate domenicano nel 1999, è stato acclamato come “profeta dei poveri” per la sua convinzione che la Chiesa avesse il dovere politico di promuovere cambiamenti politici e strutturali fondamentali che avrebbero posto fine alla povertà. Di essere voce dei senza voce e di lottare perché i senza voce possano finalmente farsi sentire. Ha scritto frasi importanti come: “Il futuro della storia appartiene ai poveri e agli sfruttati”; “Conoscere Dio è fare giustizia. Non c’è altro modo di conoscere Dio”; “Fare teologia significa scrivere una lettera d’amore al Dio in cui credo, alle persone tra cui vivo e alla Chiesa a cui appartengo”.

La “teologia della liberazione” è stata una scuola di pensiero e un movimento progressista che hanno esplorato le dimensioni della liberazione dal punto di vista della dottrina sociale cattolica. Un pensiero teologico che è stato promosso negli anni ’60 e ’70 in America Latina sulla base delle aperture del Concilio Vaticano II dal teologo brasiliano ed ex francescano Leonardo Boff, dal teologo peruviano Gustavo Gutiérrez e dal vescovo brasiliano Hélder Cámara, che era solito dire: “Se dò da mangiare ai poveri, mi dicono che sono un santo, ma se chiedo perché i poveri sono affamati e stanno così male, mi dicono che sono un comunista”.

La teologia della liberazione rifiutava il tradizionale ruolo della Chiesa come baluardo della reazione e insisteva invece su una “opzione preferenziale per i poveri“. Ebbe un forte sviluppo in tutta l’America Latina dopo il Concilio Vaticano II (1962-65) e la Conferenza di Medellín dei vescovi latinoamericani del 1968: in Brasile con Ruben Alves, Frei Betto, Leonardo Boff, Hélder Cámara1; in Colombia con Camilo Torres Restrepo, il padre guerrillero morto in combattimento nel 1966; in Nicaragua con Ernesto Cardenal, successivamente tra i protagonisti della lotta contro la dittatura di destra di Anastasio Somoza e uno dei leader della rivoluzione sandinista nel 1979; in El Salvador con Jon Sobrino; in Cile; in Perù con il teologo Gustavo Gutiérrez che pubblicò il volume Hacia una teologìa de la liberaciòn nel 1971 che ha  sistematizzato un movimento comunitario vivo e collaborativo in questa opera pionieristica; e in Argentina, dove però gesuiti come Jorge Mario Bergoglio l’hanno trasformata in “teologia del popolo”, epurandola dei riferimenti alla lotta di classe marxista2. Le dichiarazioni della Conferenza aprirono nuovi orizzonti nell’espansione della nozione di “liberazione” teologica per includere un processo umanizzante positivo e per attaccare le strutture politiche, sociali ed economiche del capitalismo che avevano tenuto poveri ed oppressi milioni di latinoamericani. La teologia della liberazione ha dato vita ad un movimento e ad un dibattito, che ha portato alla nascita di diverse correnti – per questo spesso si parla di teologie della liberazione, al plurale -, alcune caratterizzate anche da estremismi che sono andati ben oltre i ruoli pastorali tradizionali anche se ciò significava sostenere la lotta armata contro gli oppressori. Questa teologia influenzò anche i ribelli di sinistra in Messico e Colombia, dove una delle principali fazioni della guerriglia fu guidata per quasi 30 anni da un prete spagnolo ridotto allo stato laicale, Manuel Pérez3.

Tema centrale del movimento è stata la priorità della «prassi di liberazione» rispetto alla riflessione teologica. In tale quadro fu promossa la formazione di comunità di base con finalità non soltanto confessionali ma anche di emancipazione politica, sociale ed economica, di difesa della dignità della persona, contro ogni discriminazione. Preti e suore, frati e vescovi, lasciarono le loro sacre sale e andarono nelle campagne e nelle favelas delle città. Furono formate cooperative agricole e bancarie, gruppi di studio presero vita, laici (per lo più uomini) a decine di migliaia furono autorizzati ad assumere la guida delle loro comunità. Questo movimento di rinnovamento si diffuse in tutta l’America Latina, un potente esempio di persone che si sollevavano. Ciò che accadde dopo fu indicibile: oppressione in tutto il continente, una guerra sporca in Argentina, colpi di stato in Cile, Brasile, Haiti e altrove, genocidio in Guatemala. I cristiani, in particolare quelli che praticavano la teologia della liberazione, non erano immuni a queste ondate di violenza; spesso ne erano il bersaglio. Tredici sacerdoti furono uccisi in Guatemala. I vescovi Óscar Romero, Enrique Angelelli e Juan José Gerardi furono assassinati rispettivamente in El Salvador, Argentina e Guatemala. Migliaia e migliaia di laici furono martirizzati.

Quando i sacerdoti e le suore iniziarono ad abbracciare la teologia della liberazione in tutta l’America Latina, il Vaticano reagì, criticandone l’influenza apparentemente marxista e la riduzione dello status di Gesù da salvatore divino a quello di liberatore sociale. Purtroppo, la gerarchia della Chiesa cattolica per gran parte di questo periodo fece poco o nulla per difendere i suoi membri che praticavano la teologia della liberazione. Papa Giovanni Paolo II, le cui radici erano in una Polonia che soffriva sotto il “comunismo reale”, fece poco per sostenere il modello innovativo di Chiesa avviato da Gutiérrez e dai suoi simili custodi della fede.

 

Gutiérrez e l’opzione preferenziale per i poveri

Gustavo Gutiérrez ha dato voce a un’intera generazione di teologi latinoamericani alle prese con questioni di violenza, ingiustizia e disuguaglianza in un contesto di Guerra Fredda. La sua sollecitazione di un riesame critico degli approcci tradizionali alla Scrittura e la chiamata ad amplificare le voci dei poveri hanno avuto un impatto immenso sulla sua generazione di teologi latinoamericani, che includeva molte importanti figure cattoliche e protestanti come Papa Francesco e il teologo metodista José Míguez Bonino. Gutiérrez ha sostenuto che la rivelazione e l’escatologia sono state eccessivamente idealizzate a scapito degli sforzi volti a realizzare il Regno di Dio sulla Terra. Tornato in Perù da prete nel 1959, dopo anni di studio in Europa, si rese subito conto che la teologia europea che aveva studiato non rifletteva le oppressive condizioni materiali dell’America Latina e scrisse: “Provengo da un continente in cui più del 60% della popolazione vive in stato di povertà, e l’82% di questa si trova in estrema povertà”. Per Gutiérrez, la fonte dei problemi dell’America Latina era il peccato manifestato in una struttura sociale ingiusta. La sua soluzione a questo problema era quella di sottolineare la dignità dei poveri dando priorità alla gloria di Dio presente in loro.

Uno dei capisaldi del pensiero di Gustavo Gutiérrez era il più profetico e dirompente brano dei Vangeli: le beatitudini, con l’affermazione della profonda dignità dei poveri, degli ultimi, degli oppressi. “Solo un’autentica solidarietà con i poveri e una vera protesta contro la povertà del nostro tempo possono fornire il contesto concreto e vitale necessario per una discussione teologica sulla povertà”, ha scritto Gutiérrez nel suo fondamentale libro del 1971. Il capitolo 25 del Vangelo di Matteo, quello delle opere di misericordia, era la sua bussola. Il mandato di Cristo — «In verità vi dico, tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Matteo 25,40) — la cifra del suo pensiero. L’«opzione per i poveri» il suo assillo.

Riflettendo sulla richiesta di impegno sociale per il cambiamento strutturale, ha sostenuto: “Carità è oggi una parola che è stata molto abusata. La vera carità, il vero amore di Dio, è esigente; implica azioni che affrontano l’ingiustizia”. Quindi, ha sfidato le nozioni tradizionali di carità, esortando i cristiani ad affrontare i sistemi che creano disuguaglianza. La carità intesa da una prospettiva biblica non è distribuire qualcosa a chi è nel bisogno, ma accompagnarli nella loro lotta per la liberazione e l’emancipazione.

Secondo Gutiérrez la vera “liberazione” ha tre dimensioni principali: in primo luogo, implica la liberazione politica e sociale, l’eliminazione delle cause immediate della povertà e dell’ingiustizia. In secondo luogo, la liberazione implica l’emancipazione dei poveri, degli emarginati, degli oppressi da tutte “quelle cose che limitano la loro capacità di svilupparsi liberamente e con dignità”. In terzo luogo, la teologia della liberazione implica la liberazione dall’egoismo e dal peccato, un ristabilimento di una relazione con Dio e con le altre persone.

La centralità della teologia della liberazione potrebbe essere spiegata in questo modo. Gutiérrez sostiene che il cristianesimo deve implicare una partecipazione attiva alle lotte per la giustizia sociale, vedendo la salvezza come una trasformazione olistica, sia spirituale che materiale. Critica le teologie tradizionali che trascurano le questioni sociali sistemiche, sostenendo che la teologia dovrebbe essere una risposta pratica alla sofferenza piuttosto che solo una ricerca teorica. Si possono individuare i seguenti principi chiave nel suo lavoro:

  1. pratica storica: fede e azione sono inseparabili, poiché i cristiani sono chiamati a impegnarsi attivamente nella società e ad operare per la giustizia e l’uguaglianza;
  2. opzione preferenziale per i poveri: la teologia della liberazione afferma che Dio ha una preoccupazione speciale per gli emarginati, esortando i cristiani a dare priorità ai poveri sia nel pensiero che nell’azione;
  3. integrazione di fede e giustizia sociale: la crescita spirituale è legata agli sforzi nella riforma sociale; la trasformazione sociale è un percorso per realizzare il Regno di Dio sulla Terra. Non solo la trasformazione individuale, ma anche il cambiamento strutturale è centrale nella fede. La Teologia della Liberazione di Gutiérrez era un testo rivoluzionario, una chiamata alle armi: “I tentativi di apportare cambiamenti all’interno dell’ordine esistente si sono dimostrati vani. Solo una rottura radicale con lo status quo, cioè una profonda trasformazione del sistema della proprietà privata [e] una rivoluzione sociale che spezzerebbe questa dipendenza consentirebbe il cambiamento verso una nuova società, una società socialista… L’obiettivo non è solo migliori condizioni di vita, un cambiamento radicale delle strutture, una rivoluzione sociale; è molto di più: la creazione continua, senza fine, di un nuovo modo di essere umani, una rivoluzione culturale permanente”.
  4. la liberazione come viaggio: la liberazione non è solo politica, ma anche personale e spirituale e comprende la trasformazione delle relazioni, delle comunità e degli individui.

Ci sono voluti anni perché la sua opera fosse capita e accolta anche oltre i confini dell’America Latina dove era nata, in un contesto caratterizzato da forti fenomeni di marginalizzazione e di povertà. La sua opera principale, «Teologia della liberazione», era stata pubblicata in Italia dalla casa editrice Queriniana nel 1972. Sebbene il lavoro di Gutiérrez sia stato descritto come “un approccio pionieristico e profetico che … [ha posto] gli sfruttati e gli economicamente oppressi al centro di un programma per redimere il popolo di Dio dalla schiavitù”, non è stato universalmente ammirato dai suoi confratelli sacerdoti. Le sue conclusioni – non ultima la sua affermazione secondo cui la teologia del tempo avrebbe potuto imparare da un “confronto diretto e fruttuoso con il marxismo” – non resero caro Gutiérrez ad alcuni a Roma. Gutiérrez ha utilizzato gli strumenti di analisi offerti dal marxismo per comprendere la società, la politica, l’economia e la religione peruviana e latinoamericana. Ma, la gerarchia della Chiesa di Papa Giovanni Paolo II era preoccupata che la teologia della liberazione potesse condurre la Chiesa verso l’estremismo politico e potenzialmente compromettere la sua missione spirituale. Vedeva l’enfasi sull’analisi marxista all’interno di alcuni filoni della teologia della liberazione come potenzialmente pericolosa. Era preoccupata che la missione della Chiesa potesse essere messa a repentaglio se si fosse allineata troppo con i movimenti politici progressisti.

Sebbene il Vaticano non abbia mai condannato o censurato né Gutiérrez né le sue opere, lui stesso ha riconosciuto che la Santa Sede ha avviato un “dialogo molto critico” con i sostenitori della teologia della liberazione e che ci sono stati “momenti difficili”. Sono circolate voci secondo cui fosse indagato dal responsabile della dottrina e della disciplina di Papa Giovanni Paolo II, il cardinale tedesco Joseph Ratzinger, che sarebbe poi stato eletto Papa Benedetto XVI nel 2005. Ratzinger lo ha messo in guardia sulle implicazioni della teologia della liberazione e sui suoi eccessi. Sotto il cardinale Joseph Ratzinger, la Congregazione per la Dottrina della Fede ha emesso due volte istruzioni sulla teologia della liberazione, la prima delle quali è stata la Libertatis nuntius nell’agosto 1984, che ha attirato l’attenzione sulle “deviazioni e sui rischi di deviazione, dannosi per la fede e per la vita cristiana, che sono causati da certe forme di teologia della liberazione che usano, in modo non sufficientemente critico, concetti presi in prestito da varie correnti del pensiero marxista”4. Quel documento è stato seguito nel 1986 dalla Libertatis conscientia, che ha presentato la dottrina cristiana sulla libertà e la liberazione. “Attraverso la sua Croce e la sua Risurrezione, Cristo ha operato la nostra Redenzione, che è liberazione nel senso più forte del termine, poiché ci ha liberati dal male più radicale, vale a dire il peccato e il potere della morte”, ha affermato la Congregazione. La verità, a partire dalla verità sulla redenzione, che è al centro del mistero della fede, è dunque la radice e la regola della libertà, il fondamento e la misura di ogni azione liberatrice5.

A differenza di altri teologi della liberazione, Gutiérrez era interessato a restare entro i confini della fede cattolica ortodossa e della disciplina ecclesiastica, per cui 20 anni dopo la prima pubblicazione, Gutiérrez diede le stampe una versione rivista della sua opera, ammettendo l’esistenza di alcuni errori nella prima versione. Di fronte alle controversie sorte in seguito alla sua riflessione teologica aveva detto di recente che: «Talvolta è stata dura. Ma la scelta è stata quella di lavorare nella Chiesa, dall’interno. E oggi si assiste a un rinnovamento e a evidenti cambiamenti». Pochi mesi dopo l’elezione, papa Francesco accolse Gutiérrez in Vaticano per un incontro che contribuì in modo definitivo a legittimare il suo pensiero all’interno della Chiesa cattolica6. Insieme celebrarono la messa a Santa Marta. «Grazie per la sua testimonianza» era quello che Gutiérrez disse al Pontefice argentino, come confidava in una lunga intervista per «L’Osservatore Romano», pubblicata l’11 settembre 2013. Nello stesso colloquio il domenicano chiariva le direttrici della sua teologia, «piena di risorse» perché il suo centro — la povertà — era «sempre lì, sempre più urgente». E non si trattava di «poverologia», spiegava: «Bisogna chiarire che il termine povertà è complesso, poiché c’è la povertà reale, che riguarda la situazione di chi non conta niente, di chi è insignificante, per ragioni economiche ma anche per cultura, lingua, colore della pelle, o perché appartenente al mondo femminile che è tra i più penalizzati».

Sebbene Jorge Mario Bergoglio si fosse opposto alla teologia della liberazione mentre era a capo dei gesuiti in Argentina negli anni ’70, l’incontro con lui da Papa portò Gutiérrez ad essere accolto come oratore principale a un evento in Vaticano nel 20157.

Sempre nel 2015, Gutiérrez scrisse un articolo sul quotidiano vaticano L’Osservatore Romano (un estratto del suo libro “Perché Dio preferisce i poveri”, Emi, Bologna), affermando che ci sono due scuole di pensiero sulla povertà, entrambe radicate nel Vangelo. La prima forma di povertà, scrisse, è incentrata sulla sensibilità di Cristo verso i poveri e la loro sofferenza, mentre la seconda è che Cristo stesso “aveva vissuto una vita di povertà, e così i cristiani, fin dalle loro origini, capirono che per essere suoi discepoli dovevano anche vivere una vita di povertà”. Gutiérrez ha affermato che la sua comprensione della povertà come “stato scandaloso” si riflette nella beatitudine di Luca “Beati voi poveri, perché il regno di Dio è vostro”, mentre la sua interpretazione di essa come “infanzia spirituale” ha un precedente nel versetto di Matteo, “Beati i poveri in spirito, perché di loro è il regno dei cieli”. Secondo Gutiérrez, sia “la povertà come scandalo che la povertà di spirito” possono essere utili, tuttavia, il loro significato deve essere interpretato nel contesto storico e globale moderno. “Una nuova nozione di povertà” è emersa nel secolo scorso e “la povertà, nella Bibbia e ai nostri tempi, non è solo una questione economica. La povertà è molto più di questo. La dimensione economica è importante, forse primaria, ma non è l’unica”. Ha anche sottolineato che la povertà è il risultato di istituzioni sociali imperfette. La teologia della liberazione è spesso criticata per aver offerto un’interpretazione marxista del Vangelo, concentrandosi sulla libertà dalla povertà materiale e dall’ingiustizia piuttosto che dare la priorità alla libertà spirituale.

E, in un augurio di compleanno a Gutiérrez nel 2018 (in occasione dei suoi 90 anni), Francesco ha detto di aver ringraziato Dio per il “servizio teologico e … l’amore preferenziale per i poveri e gli scartati nella società” del sacerdote peruviano. Il papa ha aggiunto: “Grazie per il tuo impegno e per il tuo modo di interpellare la coscienza di ogni persona, affinché nessuno possa rimanere indifferente di fronte al dramma della povertà e dell’esclusione”. In un’intervista del gennaio 2017 al quotidiano spagnolo El País, Papa Francesco ha affermato: “La teologia della liberazione è stata una cosa positiva in America Latina. Il Vaticano ha condannato la parte che ha optato per l’analisi marxista della realtà”. Nell’intervista, Francesco ha richiamato che i cardinale Joseph Ratzinger aveva emesso due istruzioni quando era prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede: una molto chiara sull’analisi marxista della realtà, e la seconda che riprendeva gli aspetti positivi.

Una delle ultime apparizioni internazionali di Gutiérrez è stata a Roma nell’ottobre 2019, in occasione di un congresso tenutosi presso la Curia generale dei Gesuiti. Lì, su invito della Pontificia Commissione per l’America Latina, ha tenuto una conferenza su “L’opzione preferenziale per i poveri”, un’espressione da lui coniata che è stata poi integrata nel magistero della Chiesa come cammino fondamentale per vivere la fede. Giovanni Paolo II riconobbe infatti «che l’opzione preferenziale per i poveri non è esclusiva né escludente, ma è ferma e irrevocabile».

Nell’ultimo decennio, la teologia della liberazione si è diffusa in lungo e in largo. Ovunque si verificano situazioni simili di discriminazione e ingiustizie basate su casta, classe, razza, genere, ambiente, la teologia della liberazione è diventata il metodo e la modalità di teologia dominante. Sebbene originariamente sviluppata in America Latina per affrontare le disuguaglianze sistemiche, l’enfasi della teologia della liberazione su un’“opzione preferenziale per i poveri” e sulla giustizia sociale ha trovato riscontro in molti teologi a livello globale, in India, Sri Lanka, Africa, Corea del Sud, America, Palestina, etc.. Si è diffusa in lungo e in largo perché affronta la vita e le lotte delle masse comuni che sono soggette a oppressione e sfruttamento a causa di sistemi sociali, economici, politici, educativi e religiosi. Mentre il punto di partenza della teologia della liberazione era la sofferenza dei poveri e dei vulnerabili, in ultima analisi cercava la loro liberazione da tutte le forme di oppressione. Ha inoltre sottolineato il ruolo della Chiesa nell’attivismo politico e nella giustizia sociale, sostenendo che la fede cristiana richiede una risposta attiva alla disuguaglianza.

Gutiérrez era nato a Lima, in Perù, l’8 luglio 1928 da genitori di origine mista ispanica e indiana quechua. Aveva studiato medicina e letteratura nel Paese natale (all’Università Nazionale di San Marcos a Lima), mentre partecipava all’Azione Cattolica, spostandosi poi in Europa, per gli studi in psicologia e filosofia a Lovanio in Belgio. Aveva proseguito poi il percorso all’Università Cattolica di Lione, e poi, ancora, a Roma e a Parigi, approfondendo gli studi teologici, ispirato da teologi domenicani che incontrò, come Edward Schillebeeckx, Yves Congar e Marie-Dominique Chenu. Fu ordinato sacerdote nel 1959, entrando nell’ordine domenicano nel 1999 (è morto nel convento di San Domenico a Lima a 96 anni), e ha trascorso gran parte della sua vita vivendo e lavorando tra i poveri di Lima. In una recente intervista aveva affermato che: «Non sono mai stato professore di teologia. Sono stato un semplice sacerdote e parroco». È stato professore di teologia presso la cattedra John Cardinal O’Hara presso l’Università di Notre Dame in Indiana (USA). Ha insegnato anche presso la Pontificia Università Cattolica del Perù e in numerose importanti università del Nord America e dell’Europa. L’Istituto Bartolomé de las Casas, fondato da Gutiérrez nel 1974, ha reso omaggio al suo fondatore, affermando: “I suoi scritti e il suo lavoro a favore dei poveri e dei più dimenticati della società continueranno a illuminare la strada della Chiesa nella sua ricerca di un mondo più giusto e fraterno”. Nei suoi 50 anni di vita, l’Istituto ha celebrato e valorizzato le lotte delle comunità, dalla difesa dell’Amazzonia, alle scuole di leadership, agli studi di teologia popolare.

Alessandro Scassellati

  1. Il Brasile è stato uno dei paesi dell’America Latina dove la teologia della liberazione ha esercitato una forte influenza non solo in campo religioso, ma anche politico e culturale. Impegnandosi con la pedagogia rivoluzionaria di Paulo Freire (perseguitato ed esiliato dalla dittatura del 1964), il Movimento per l’istruzione di base (MEB) è stato il primo tentativo cattolico di una pratica pastorale radicale tra le classi popolari brasiliane. Il MEB mirava non solo a portare l’alfabetizzazione ai poveri, ma ad aumentare la loro consapevolezza e ad aiutarli a prendere il controllo della propria storia. Molti dei movimenti popolari brasiliani che negli ultimi decenni hanno fatto notevoli progressi per la giustizia sociale sono in larga misura il prodotto dell’attività di base dei cristiani impegnati: la confederazione sindacale radicale (CUT), il movimento dei contadini senza terra (MST), le associazioni dei quartieri poveri – e la loro espressione politica, il Partito dei Lavoratori (PT). Il PT era nato nel periodo della “riapertura democratica” dalle organizzazioni sindacali sorte a seguito della spinta all’industrializzazione voluta dal regime militare. Ma, altre forze sociali iniziarono a fondersi attorno a quel “nuovo sindacalismo“: i movimenti per la riforma agraria e dei quartieri urbani poveri, i gruppi cattolici di base ispirati alla teologia della liberazione, ossia il tipo di organizzazioni la cui radicalizzazione negli anni ’60 aveva provocato il colpo di stato militare. Nell’aprile del 1964, i militari presero il potere per salvare la “civiltà cristiana occidentale” dal “comunismo ateo” – in breve, per difendere l’oligarchia dominante minacciata dall’ascesa dei movimenti sociali sotto il presidente eletto, João Goulart. La dittatura è stata rapidamente approvata dalla Conferenza episcopale del Brasile nel giugno 1964: “ringraziando Dio, che ha risposto alle preghiere di milioni di brasiliani e liberato dal pericolo comunista, siamo grati ai militari, che, a grave rischio per la propria vita, sono insorti nel nome dei supremi interessi della nazione.” Un sentimento che tuttavia non è stato condiviso da molti attivisti e sacerdoti cattolici, molti dei quali sono stati tra le prime vittime della repressione del regime. Alcuni di loro si sono radicalizzati e nel 1967-68 un ampio gruppo di domenicani, tra cui il giovane Frei Betto, decisero di sostenere la resistenza armata e aiutare i movimenti clandestini come l’ALN (Azione per la Liberazione Nazionale) – un gruppo di guerriglieri fondato da un ex leader del Partito Comunista brasiliano, Carlos Marighella – nascondendo i suoi membri o aiutando alcuni di loro a fuggire dal Paese. Frei Betto, altri preti e laici cattolici furono arrestati, torturati e imprigionati nei primi anni ’70, mentre Boff, Cámara e la Chiesa della liberazione rivolta ai più poveri sono stati accusati di far sembrare Gesù un po’ come Che Guevara. Sono stati combattuti, marginalizzati e ridotti al “silenzio ossequioso” dalle gerarchie vaticane (la Congregazione per la Dottrina della Fede) durante i 34 anni dei pontificati di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI, e ora la Chiesa Cattolica si trova a competere con una aggressiva miriade di chiese e pastori evangelici (soprattutto neo-pentecostali) in grado di articolare con successo una narrazione basata sul millenarismo, sulla guarigione miracolosa, sull’invocazione dei demoni e l’esorcismo e, soprattutto, sulla “teologia della prosperità”, secondo la quale alla ricchezza corrisponde la benedizione divina che avalla la fede e l’operato del beneficiato. Negli ultimi anni, il cosiddetto “movimento di rinnovamento carismatico” della Chiesa cattolica ha preso in prestito alcune caratteristiche di intrattenimento dei servizi pentecostali, con la Canção Nova o movimento Canzone Nuova, rivolto ai giovani con spettacoli negli stadi e programmi radiofonici. Ma, questa “pentecostalizzazione” ha anche spostato la Chiesa cattolica nella direzione di un fondamentalismo e di una politica conservatrice che sempre più gioca a favore degli evangelici. Per anni l’evangelismo brasiliano ha promosso una pratica religiosa apolitica condita con posizioni apertamente neoliberiste, meritocratiche e reazionarie con una aperta celebrazione della prosperità e del “pensiero positivo”: con la fede, il duro lavoro, l’autodisciplina, il comportamento corretto e il sostegno comune, i credenti possono migliorare sé stessi, la propria condizione spirituale e materiale e dimostrare la loro fede pagando la decima all’organizzazione pastorale che li aiuta. La ricchezza sarebbe il segno di una benedizione divina che premia la fede del soggetto col benessere, il successo economico-sociale e la salute. Povertà, malattia, infelicità e miseria sono, al contrario, segno del  fallimento individuale e della maledizione divina, per cui è necessaria la conversione e il discepolato nei confronti di coloro che sono esaltati da Dio con la ricchezza. Tipicamente, le chiese neo-protestanti sono anche società finanziarie poco trasparenti, che rendono milionari i loro capi ministri. Chiese e pastori evangelici sono diventati una presenza comune nelle favelas, costituendo una rete spirituale e sociale capillare che fornisce un appoggio quotidiano e strutturato per milioni di poveri in assenza di servizi pubblici, ma hanno un orientamento politico prevalentemente conservatore e di destra. Hanno abbandonato una narrativa centrata sulla disuguaglianza e sulla “teologia della prosperità”, in favore di una lotta per le “guerre culturali” e abbracciando idee come l’affermazione che la sinistra vuole insegnare ai giovani ad essere gay.[]
  2. Bergoglio era molto critico nei confronti della versione marxista della teologia della liberazione. A quel tempo, c’erano movimenti di sinistra in America Latina, ma in realtà erano soprattutto movimenti della classe media, che Bergoglio riteneva usassero i poveri come strumenti. Aveva una frase che usava: “erano per il popolo ma mai con il popolo”.[]
  3. La teologia era così divisiva durante la Guerra fredda che, ancora oggi, si sostiene – una tesi confutata completamente dagli esperti – che il movimento sia stato un’invenzione del KGB per mettere la Chiesa cattolica in America Latina contro gli Stati Uniti.[]
  4. Ratzinger, nel marzo 1983, ordinò ai vescovi cattolici del Perù di esaminare “Una teologia della liberazione” per eventuali errori. La chiara implicazione era che ne avrebbero trovati alcuni. La richiesta, tuttavia, divise i vescovi, molti dei quali sostenevano l’approccio teologico di Gutiérrez. Nel 1984, i vescovi vennero convocati a Roma con l’intento specifico di condannare Gutiérrez, ma cinque dei sei vescovi finirono per approvare lo scritto di Gutiérrez come conforme alle norme del cattolicesimo.[]
  5. Nel corso di molti anni, il Vaticano ha esaminato gli scritti di Gutiérrez. Nel 2006, la conferenza episcopale peruviana ha riferito che il Vaticano aveva “concluso il percorso di chiarimento di punti problematici contenuti in alcune opere dell’autore” nel 2004, con una seconda versione rivista dell’articolo di Gutiérrez “Ecclesial Koinonia”. C’è stato anche un tardivo riavvicinamento personale tra Benedetto XVI e Gutiérrez. Il mercoledì delle Ceneri del 2007, quando il papa ha visitato l’antica Basilica romana di Santa Sabina, Gutiérrez è stato uno dei pochi scelti per andare avanti e farsi tracciare il segno della croce sulla fronte con le ceneri dal pontefice.[]
  6. Un tempo considerata rivoluzionaria, la sua nozione di empatia e di difesa dei poveri è diventata un principio fondamentale della dottrina sociale cattolica. Il “disgelo” tra Gutiérrez e il Vaticano è iniziato prima, quando è stato coautore di un libro – Dalla parte dei poveri. Teologia della liberazione, teologia della Chiesa (Edizioni Messaggero – Editrice Missionaria Italiana, 2013) – con il cardinale tedesco Gerhard Ludwig Müller, poi nominato da Papa Francesco prefetto della Congregazione per la dottrina della fede.[]
  7. Dalla sua elezione a pontefice nel 2013, l’insistenza di Papa Francesco sul fatto che la Chiesa sia “per i poveri” e le sue critiche puntuali al capitalismo e al consumismo hanno fatto molta strada nel riabilitare il movimento della teologia della liberazione e incorporarlo nella Chiesa. Gli esperti sottolineano anche la decisione di Francesco di nominare Oscar Romero, l’iconico arcivescovo salvadoregno assassinato dagli squadroni della morte di destra nel 1980, come martire, come un altro segno della rinascita della teologia della liberazione. Nel 2014, Papa Francesco ha scritto l’introduzione di un libro intitolato “Poveri per i poveri: la missione della Chiesa”, al quale Gutiérrez ha contribuito con due capitoli. Jung Mo Sung, un importante teologo della liberazione in Brasile, ha affermato che la Chiesa ha voltato pagina sulla teologia della liberazione proprio perché Francesco capisce che la missione della Chiesa non è solo quella di annunciare Dio a un mondo di non credenti, “ma a un mondo segnato dall’idolatria del denaro. In questo senso, possiamo dire che parte della teologia della liberazione è stata elevata a dottrina della Chiesa”. Sung attribuisce questo cambiamento all’allarmante aumento delle disuguaglianze globali e all’esperienza personale del Papa, che ha lavorato in alcune delle comunità più povere dell’Argentina. Francesco invoca una “Chiesa povera per i poveri”, riecheggiando la visione di Gutierrez di una Chiesa profondamente coinvolta nella lotta per la giustizia sociale. Nelle sue encicliche, in particolare Evangelii Gaudium e Laudato Si’, Francesco adotta temi familiari alla teologia della liberazione, sostenendo cambiamenti sistemici per affrontare la povertà, la disuguaglianza e la distruzione ambientale.[]
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