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Rinviare la data del Referendum, ma senza un election day

di Alfonso
Gianni

di Alfonso Gianni –

La discussione attorno al possibile rinvio della data del referendum  sulla riduzione dei parlamentari indetto per il 29 marzo si sta intensificando. Si succedono dichiarazioni che alimentano la richiesta, comparsa in un articolo sul Manifesto del 25 febbraio da parte del prof Massimo Villone, Presidente del “Comitato per il No nel referendum sulle modifiche alla Costituzione sulla riduzione del numero dei parlamentari”, un organismo promosso dal Coordinamento per la Democrazia Costituzionale, del quale fa parte anche chi scrive. 

Martedì 3 marzo i senatori firmatari della richiesta di referendum ai sensi dell’art.138 Cost. hanno tenuto una conferenza stampa in cui hanno ribadito la richiesta di rinvio. Nel frattempo le grandi organizzazioni sociali si stanno pronunciando in modo chiaro ed aperto. E’ il caso dell’Anpi che con un comunicato del suo Comitato Nazionale del 4 marzo si pronuncia per il NO, dichiarando l’intenzione di condurre una campagna in autonomia rispetto agli altri organismi esistenti, ma indirizzata verso lo stesso fine: il No al taglio del Parlamento.  Nel contempo non sono mancate anche dichiarazioni e interpretazioni assolutamente fuorvianti.

Nella richiesta di rinvio, immediatamente inviata al Presidente della Repubblica e ai Presidenti del Consiglio e delle due Camere, viene sostenuta la necessità di una posticipazione della consultazione referendaria, a causa delle misure d’emergenza adottate con decreto legge dal Governo che hanno portato alla sospensione di manifestazioni o iniziative di qualsiasi natura, anche se in luoghi chiusi aperti al pubblico, che rendono materialmente impossibile la campagna referendaria. Dal 25 febbraio ad oggi la situazione da questo punto di vista è ulteriormente peggiorata. Il 42% della popolazione italiana, e in particolare il 96% della popolazione delle regioni del Nord sia est che ovest, sono sottoposte a severe restrizioni che impediscono qualunque tipo di riunione. Mentre scrivo queste note si ha notizia di provvedimenti restrittivi ancora più pesanti e più estesi. 

La campagna referendaria è quindi inibita da queste misure. Almeno che non si pensi, e sarebbe davvero grave, che la si possa fare solo attraverso il mezzo televisivo o radiofonico con la gente tappata in casa. Se così avvenisse saremmo di fronte ad una lesione gravissima dei diritti costituzionali. Oltre tutto lo spazio messo a disposizione dalla Rai è minimale e concentrato negli orari di minore ascolto. Non si chiede però un rinvio di mesi, indefinito o incondizionato nei tempi, anzi si precisa che deve essere fissata una nuova data nel momento in cui l’emergenza venga effettivamente superata, aggiungendo che a questo scopo sarebbe cosa utile che il Presidente del Consiglio sentisse i vari Comitati per il No in un apposito incontro. In effetti di comitati per il No ne sono sorti parecchi, certamente molti di più di quelli per il Sì, piuttosto indolente, almeno finora.  

Naturalmente c’è chi cerca di speculare sulla vicenda. Ma per capire di chi e cosa si tratta bisogna guardare sul versante delle forze politiche parlamentari, non certo tra i comitati di cittadini che si sono aggregati sul no al taglio del Parlamento. Non sono certo questi ultimi che possono coltivare un qualche interesse a utilizzare l’eventuale rinvio per riaprire fantomatiche finestre elettorali, o, al contrario, per chiuderle definitivamente almeno per quanto riguarda l’anno in corso. 

Questo gioco politico, piuttosto melenso e scontato, ma molto insistito, si incrocia, e questo comincia ad essere evidente, con la preoccupazione crescente da parte dei sostenitori del Sì determinata dal fatto che l’appuntamento referendario non si presenta  come una comoda passeggiata plebiscitaria. Infatti il fronte del No si estende anche all’interno di quelle forze politiche che in parlamento avevano votato a favore del taglio dei parlamentari o avevano convertito il loro no in un sì nell’ultima votazione, sacrificando un articolo della Costituzione sull’altare di un mero accordo di governo. Dal canto suo Salvini abbatte il muro del ridicolo quando afferma, dopo avere detto e stradetto che sarebbe obbligatorio tornare a votare immediatamente, che invece bisognerebbe rimandare di almeno otto mesi non solo il referendum, ma anche le elezioni amministrative previste per la tarda primavera, magari in un election day nella speranza di curvare in senso politicista la scelta referendaria. La sua posizione è dunque puramente strumentale.

Tutto ciò non può e non deve essere confuso e inquinare la necessità, garantita dall’articolo 138 della Costituzione, che i cittadini si esprimano su una proposta di modifica della Costituzione qualora questa non abbia raggiunto la maggioranza dei due terzi dei componenti di una delle due camere, come è successo in questo caso. E che lo possano fare avendo maturato una loro convinzione sulla base di una informazione completa e corretta. Per questo le limitazioni di movimento e di incontro imposte dalle misure contro l’epidemia  del coronavirus sono un obiettivo e serio ostacolo allo svolgimento della votazione referendaria nei tempi fin qui previsti. 

Finora il governo si è limitato a dichiarazioni, tramite suoi componenti o rappresentanti della maggioranza che lo sostiene, di tipo possibilista. Forse una decisone sarà assunta nella riunione prevista per giovedì 5 marzo e, vista l’estensione dell’epidemia e quanto finora deciso, lo spostamento della data del referendum diventa più probabile di prima. 

A questo punto però si apre un nuovo problema. A maggiore ragione insistiamo perché il Presidente del Consiglio ascolti in un apposito incontro i comitati per il No. Lo spostamento della data non deve coincidere con quella da fissarsi per le elezioni amministrative, senza farsi sopraffare dalle sirene del risparmio. Intanto perché queste riguardano non tutte ma solo cinque regioni in Italia. Quindi si creerebbero condizioni disparità territoriale nelle condizioni in cui si tiene il voto. Ma soprattutto perché il sovrapporsi del voto referendario  con uno di natura politico-amministrativa finirebbe per rendere meno libero, responsabile e consapevole la scelta in merito al taglio del parlamento. Vi sono quindi ragioni di rango costituzionale che impongono che non si confondano con scelte politiche e richiedono quindi che per il referendum contro il taglio dei parlamentari si individui una data apposita non concomitante con altre.

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