Dopo quasi quattro giorni di colloqui e riunioni, Parlamento e Consiglio Europeo non hanno trovato un compromesso sull’architettura più verde, più giusta e orientata al futuro per agricoltori e consumatori della nuova Politica Agricola Comune 2023-2027 (ritardata di 2 anni rispetto a quanto previsto), interrompendo il negoziato.
I negoziati erano iniziati il 25 maggio con l’obiettivo di assicurare che una parte maggiore di sussidi siano più equamente distribuiti tra gli agricoltori di varie dimensioni dal 2023. La PAC è una delle politiche più antiche dell’UE (dal 1962) e mette assieme circa un terzo dell’intero budget dell’Unione, ma lascia a secco le piccole aziende agricole, mentre distribuisce la maggior parte dei soldi a ricchi proprietari terrieri, mafie, politici corrotti, falsi agricoltori e aziende agricole intensive che non avrebbero nemmeno bisogno di essere aiutate dall’UE per ottenere un profitto. Nell’ambito del Green Deal Europeo e delle annesse strategie Farm to Fork e Biodiversity 2030, dal 10 novembre 2020 i negoziatori del trilogo europeo – Commissione, Parlamento e Consiglio – sono sotto pressione per rendere la nuova PAC più verde, ma anche per arrivare ad una distribuzione più equa dei fondi tra grandi e piccoli agricoltori per cercare di fermare il declino dei piccoli e proteggerli dall’intensificazione dell’agricoltura promossa da decenni di politiche precedenti. In meno di 20 anni le aziende agricole sono diminuite di oltre 4 milioni: sono diminuite quelle piccole, mentre si sono rafforzate quelle grandi, organizzate sul modello dell’agricoltura industriale.
Contro ogni pronostico o auspicio, la trattativa riprenderà a giugno. Uno smacco per la presidenza portoghese del Consiglio. Nella migliore delle ipotesi, questa settimana, ma non è detto, dato che le parti sono andate ad un “muro contro muro”.
Se da un lato è sfumata la possibilità che un accordo potesse essere confermato già entro maggio, alla riunione dei ministri europei dell’Agricoltura (Consiglio Agrifish), dall’altro questo stop vuol dire che i giochi sono tutt’altro che fatti. Il fatto che il budget della PAC sia di circa 46 miliardi di euro più piccolo dei tempi pre-Brexit ha contribuito ad alzare la tensione sui negoziati, rendendo gli Stati più determinati a cercare di mettere le mani sui fondi che ci sono.
Il Consiglio (che rappresenta gli interessi dei vari Stati dell’Ue) non vuole cedere, ma neppure il Parlamento è disposto a indietreggiare così facilmente su alcuni punti, che dovrebbero essere il cuore della nuova PAC per la gestione di 270 miliardi di euro di sussidi.
Così, nella notte tra il 27 e il 28 maggio, gli eurodeputati e la presidenza portoghese si sono scambiati altre proposte che, invece di avvicinare le due parti, hanno fatto precipitare la trattativa, allontanandole ancora di più. “I negoziati riprenderanno a giugno” ha twittato il ministro dell’agricoltura finlandese Jari Leppa.
L’accordo è saltato innanzitutto sulla distribuzione dei sussidi tra le grandi e le piccole e medie imprese. La nuova PAC, come la vecchia, infatti è basata sulla logica delle sovvenzioni erogate in base agli ettari di produzione. Ad oggi l’80% dei sussidi è destinato al 20% delle aziende agricole più grandi (in molti casi delle aziende agricole “sulla carta” che fanno poco altro che controllare grandi e grandissime estensioni di terreno) e il Consiglio UE ha mostrato di nn avere interesse a mettere fine ai privilegi dei grandi proprietari. Si è opposto al “capping obbligatorio” (un tetto massimo all’importo di cui le aziende di maggiori dimensioni possono beneficiare) che il Parlamento aveva proposto di fissare a 100 mila euro, con regressività fiscale a partire da 60 mila euro. I governi dell’UE dovrebbero “principalmente” utilizzare le enetrate fiscali generate dai grandi agricoltori per fornire sussidi a coltivatori più piccoli o di medie dimensioni, in un sistema denominato pagamento “ridistributivo” proposto dalla Commissione. Un punto, però, sul quale l’accordo pare sia cosa fatta: un “capping volontario”, che diventa “obbligatorio” solo per gli Stati che non prevedono l’aumento dei premi ai primi ettari per favorire le piccole imprese.
Tra i punti che maggiormente hanno mantenuto lontani Parlamento e Consiglio c’è quello sugli “ecoschemi”, ossia i finanziamenti destinati agli agricoltori che presentano i progetti più sostenibili. Secondo il Parlamento dovrebbero costituire il 30% del “primo pilastro” (circa 58 miliardi di euro), mentre il Consiglio era rimasto a un 20% (quasi 39 miliardi). In pratica, una differenza di 20 miliardi, calcola la Commissione UE.
La presidenza portoghese del Consiglio Ue aveva anche manifestato l’intenzione di proporre che la riserva “verde” per gli aiuti diretti fosse del 22% nel 2023 e 2024 e del 25% dal 2025, ma anziché avvicinarsi alla posizione del Parlamento – che era già pronto ad accettare una percentuale del 25%, di molto inferiore al 30% votato ad ottobre -, gli Stati membri hanno avanzato proposte provocatorie e, sugli “ecoschemi”, il Consiglio ha proposto di ridurre la percentuale minima dedicata a queste misure al 18% del budget del “primo pilastro”. I parlamentari hanno respinto l’offerta degli Stati, fatta attraverso il Consiglio. Hanno considerato l’offerta come un tentativo “spianare” il Parlamento, un’istituzione che è spesso considerata il junior partner nei negoziati dell’UE. I ministri dell’agricoltura hanno reagito furiosamente alle 2 del mattin. Il ministro greco, Spilios Livanos, hanno accusato i deputati di ricattare governi democraticamente eletti per aver osato rifiutare la proposta.
Altro elemento di scontro è quello della “condizionalità sociale”, cioè la riduzione degli aiuti in violazione dei diritti dei lavoratori. Il Parlamento vuole che la nuova CAP tagliare le sovvenzioni dell’UE alle aziende che sfruttano i lavoratori e violano le norme europee sul lavoro. La “condizionalità sociale” rapprenta il tentativo di migliorare le condizioni di lavoro di circa 4 milioni di persone che fanno lavori sottopagati nel settore agricolo in Europa, dai lavoratori migranti stagionali nei paesi del sud a quelli colpiti dal coronavirus nei macelli tedeschi.
Su questo punto le resistenze sono state tante. Perché per Germania e per i Paesi del Nord Europa le politiche sociali non rientrano tra i temi di cui deve occuparsi la PAC, anche se Berlino aveva manifestato l’intenzione di astenersi dal voto (evitando, dunque, di rappresentare un ostacolo a un eventuale accordo). Anche Austria, Belgio e Grecia sono contrari. L’Italia, invece, seguita da Francia e Spagna è a favore di un compromesso “che tenga in considerazione i diritti dei lavoratori e degli agricoltori, incidendo nel modo più limitato possibile sugli oneri burocratici” ha affermato il ministro delle Politiche Agricole, Stefano Patuanelli.
La conferenza stampa ha confermato una situazione molto tesa. Il presidente della Commissione Agricoltura del Parlamento Europeao, Norbert Lins (Partito Popolare UE), ha sostenuto che da parte del Consiglio “c’è una mancanza di certezza in termini di pianificazione”, mentre il Parlamento richiede “misure da adottare”. “Sono molto deluso che i negoziati siano stati interrotti, pensavo che avremmo potuto trovare un accordo” ha detto, sottolineando che la presidenza del Consiglio UE “sembrava essere sorpresa dal fatto che non ci siamo semplicemente limitati ad accettare la loro proposta”. E ha aggiunto: “Mi aspetto che il Consiglio ci rispetti come co-legislatori. La mancanza di flessibilità del Consiglio minaccia la sicurezza per gli agricoltori dell’UE”.
“Continueremo a negoziare in buona fede sulla riforma della Pac. Le soluzioni ci sono e tutti i negoziatori hanno una genuina disponibilità a trovarle“. Lo ha scritto su Twitter il vice presidente della Commissione Ue, Frans Timmermans, dopo lo stop ai negoziati fiume . “Questa trattativa riguarda il futuro. Il futuro dell’agricoltura, il futuro della biodiversità e il futuro delle comunità agricole in tutta l’Ue. Se abbiamo a cuore quel futuro, abbiamo bisogno che la Pac cambi rotta“, ha sottolineato.