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Rifondazione Comunista e la “primavera pugliese”

di Franco
Ferrari

Con un agile e puntuale libretto (2024, Stilo Editrice, 130 pp., 16 euro), Vincenzo Colaprice ha ricostruito le vicende di Rifondazione Comunista in Puglia dalla fondazione, nel 1991, fino alle elezioni europee del 2014, caratterizzate dall’elezione al Parlamento europeo di Eleonora Forenza. La Puglia rappresenta, nella vicenda del PRC, un punto di osservazione interessante anche per il ruolo che hanno svolto a livello nazionale diversi suoi dirigenti, tra i quali Franco Giordano, segretario nazionale subentrato a Bertinotti, Nichi Vendola, uno dei fondatori del partito, Nicola Fratoianni, non pugliese di origine ma segretario regionale per alcuni anni, Michele De Palma, oggi dirigente Fiom, e infine la stessa Forenza.
Il lavoro di Colaprice nasce dalla sistemazione dell’archivio del partito pugliese e questo ha consentito di arricchire la ricostruzione che si è avvalsa dall’analisi della stampa locale. Gazzetta del Mezzogiorno e edizione barese di Repubblica hanno seguito con attenzione le vicende di un partito che in Puglia ha svolto un ruolo politico importante fino all’elezione di Vendola alla presidenza della Regione.
L’opposizione alla trasformazione del PCI in partito socialdemocratico (o, secondo una certa elaborazione occhettiana, piuttosto in formazione radical-democratica) ebbe in diverse realtà pugliesi una consistente opposizione, tant’è che a Bari prevalse al primo congresso l’opposizione ingraiana. Solo una parte di questa poi diede vita al Partito della Rifondazione Comunista che raggiunse però in breve tempo una dimensione consistente di oltre 7.000 iscritti. In Puglia, annota Colaprice, la dispersione di iscritti del PCI che non si orientarono né verso il PDS, né verso il PRC fu decisamente inferiore a quella nazionale.
Rifondazione Comunista raccolse anche una significativa presenza in zone di insediamento comunista caratterizzate da una forte tradizione di lotta bracciantile (la realtà sociale da cui proveniva Giuseppe Di Vittorio). Il voto comunale di Andria, una delle prime prove elettorali del partito, ebbe una risonanza nazionale dato che, con oltre il 13%, sorpassò lo stesso PDS. L’altra componente significativa del PCI pugliese era quella intellettuale che si era raccolta attorno alla cosiddetta “école barisienne”, definizione non priva di una qualche ironia, che aveva nella casa editrice De Donato, un punto di particolare forza. Questa, all’interno della cartografia politica del PCI, si era andata avvicinando alle posizioni della sinistra ma in buona parte restò affine al PDS andando via via disperdendosi.
In Puglia fu meno rilevante la presenza della componente che faceva capo a Cossutta, il che però non impedì un effetto negativo quando ci fu la rottura tra il Presidente del Partito e il segretario Bertinotti, quando la maggioranza decise di togliere il sostegno al Governo Prodi. La federazione di Taranto perse allora metà degli iscritti.
La collaborazione, senza alleanza organica, del PRC con l’Ulivo coincise con la massima espansione organizzativa ed elettorale che in Puglia raggiunse il 7,6%. A livello amministrativo Rifondazione Comunista scelse la collocazione elettorale ritenuta più coerente con i propri obbiettivi politici, a volte alleandosi col centro-sinistra e altre volte presentandosi in alternativa. Scelte che venivano rese sempre più complesse dall’evoluzione dei sistemi elettorali in senso maggioritario oltre che dalla diversa composizione dello stesso centro-sinistra. Si presenta anche un caso, come quello del comune di Bisceglie, nel quale il PRC guidava con un proprio candidato la coalizione di centro-sinistra.
Colaprice richiama le vicende nazionali del partito che ovviamente condizionava la realtà pugliese pur con le sue specificità, segnalando i tentativi di ridefinizione messi in atto sotto la guida di Bertinotti, dopo la rottura con la componente cossuttiana. Quest’ultima si faceva interprete di una rivendicata continuità con il modello politico rappresentato dal PCI (non sempre corrispondente all’effettiva realtà storica di quel partito).
Nel PRC si prese atto dell’impossibilità di ricostruire il partito di massa novecentesco ma si faticava a delineare concretamente una nuova forma partito. Questa venne sintetizzata, a partire dalla conferenza d’organizzazione di Chianciano del 1997, nel cosiddetto “partito-comunità”.
Su questa innovazione, che “passa sottotraccia nei territori”, impatta la scissione che dà vita al Partito dei Comunisti Italiani. Colaprice sintetizza così il contrasto che porta alla rottura del partito sulla base di una “insanabile divergenza dal punto di vista tattico e strategico”. Da un lato “Cossutta ritiene un elemento indispensabile l’unità della sinistra all’interno del centrosinistra. Bertinotti invece immagina un partito autonomo e innovatore, pronto a rompere gli schemi della politica tradizionale e farsi un tutt’uno con i fermenti e le istanze sociali che nascono in quegli anni. Si tratta di una diversa cultura politica che trae la sua origine nel carattere eterogeneo delle forze che hanno dato vita al PRC”.
La rottura col governo Prodi non porta però ai frutti sperati perché, annota Colaprice, “il mancato sostegno al governo Prodi rappresenta la rottura di un tabù agli occhi dell’elettorato tradizionale di sinistra. Questa scelta genera lo stigma dell’inaffidabilità che accompagna Bertinotti e Rifondazione negli anni a seguire”.
A partire dal Congresso di Rimini del 1999 si avvia quella che viene definita come “una nuova Rifondazione” caratterizzata dall’autonomia dal centrosinistra e dalla presenza all’interno dei movimenti altermondialisti che si sviluppano in particolare all’inizio del nuovo millennio.
Il PRC pugliese unisce una tattica flessibile sul piano delle alleanze politiche ed elettorali con un impegno attivo nell’opposizione alla corruzione e agli intrecci tra settori politici, economici e malavita che si insediano in misura crescente nella realtà pugliese negli stessi anni. È in prima fila anche nel movimento ambientalista (in particolare sulla vicenda degli “ecomostri” di Punta Perotti) e soprattutto nell’intensa attività pacifista che si intreccia con l’altermondialismo. Il partito contribuisce ad importanti mobilitazioni in accordo con le nascenti strutture di base che confluiranno nei social forum. Sono circa 2.000 i manifestanti che dalla Puglia si recano a Napoli nella prima significativa manifestazione, duramente repressa, che anticipa le giornate contro il G8 di Genova. Per queste giornate partiranno dalla Puglia tre treni speciali con più di mille manifestanti.
Nelle elezioni politiche Rifondazione decide di mettere in atto una tattica di “non belligeranza” giustificata dal segretario di Bari, Pasquale Martino, come “utile ad evitare che il centrosinistra utilizzi l’assenza del PRC nell’Ulivo come un capro espiatorio in caso di sconfitta”.
Colaprice caratterizza le esperienze del triennio 1999-2001 come quelle che “hanno inciso profondamente sulla pratica, le strategie e la proposta politica del partito, rappresentando il momento di maggiore originalità dell’esperienza di Rifondazione. La ‘rifondazione’ del comunismo – aggiunge – “assume sempre più l’identità di un partito ibrido, capace di attraversare i movimenti sociali e di assumerne le pratiche, sancendo una cesura profonda con il modello organizzativo e teorico del partito comunista novecentesco di impianto marxista-leninista” (sull’identificazione tout court del partito comunista novecentesco con l’impianto marxista-leninista mi permetto di dissentire dall’autore).
Colaprice coglie però anche gli altri elementi che caratterizzano questo periodo mettendo in evidenza il “sempre maggiore personalismo favorito dal sistema maggioritario”, come anche il fatto che “la contaminazione con i movimenti” conduce nello stesso tempo “a consensi e adesioni instabili poiché saldate alle fortune e agli umori del movimento stesso”. Un limite tanto più evidente quando poi i movimenti conflittuali attraversano una fase di grande debolezza come quella attuale.
Rilevando come questa dinamica conflittuale non si traduca in consenso elettorale che anzi in questa fase tende a stagnare attorno al 3%, Colaprice segnala un altro punto critico, richiamandosi allo studio di Rosa Mulé su “il popolo di Rifondazione Comunista” (2009, Carocci): “le svolte movimentiste slegano il partito dalle istanze dei ceti popolari e meno garantiti. Nasce così l’incontro con un elettorato che si pone a cavallo tra il precariato cognitivo e il ceto medio, più sensibile alle istanze del PRC ma allo stesso tempo più fluido e meno controllabile”.
C’è indubbiamente un nesso fra la fase di sviluppo dei movimenti e l’affermazione di quella che viene definita come la “primavera pugliese”. Per Colaprice il possibile punto d’inizio “di una stagione politica tutta pugliese che si traduce in laboratorio per la scena politica nazionale” nel Bari Pride che porta in piazza 50.000 persone, “un successo che trasmette la sensazione di una città pronta a superare stereotipi e pregiudizi”.
L’affermazione di Vendola, prima nelle primarie interne al centrosinistra e poi nella conquista della presidenza della Regione si intreccia con la riapertura del confronto tra il PRC e l’Ulivo che porterà alla nascita dell’Unione. A livello locale, il Comitato regionale pugliese fissa una serie di condizioni politiche alla possibilità di partecipare ad accordi con il centrosinistra.
Il voto del giugno 2004 segna un’avanzata del centrosinistra, all’interno del quale il PRC si attesta in Puglia attorno al 6%. Alle europee Vendola ottiene un notevole successo personale che gli frutta 38.000 preferenze con un picco del 24% per il PRC nella sua città di Terlizzi. Questo successo porta l’esponente del partito pugliese all’attenzione nazionale apre la strada alle tappe ulteriori. Per un errore materiale Vendola non diventa europarlamentare ma resta comunque una figura politica in ascesa.
Quando Rifondazione avanza la sua candidatura alla presidenza della Regione, nessuno pensa realisticamente ad una sua possibilità di successo. Ma “la figura di Vendola suscita fin da subito una straordinaria partecipazione popolare, con comitati che nascono spontaneamente”. Il suo successo vedrà commenti opposti di Prodi che sottolineava un consenso sfuggito “agli schemi partitici”, mentre D’Alema tendeva a sminuirne la portata. Una differenza di giudizio ovviamente condizionata dalle diverse strategie nazionali dei due esponenti dell’Ulivo, post-partitica del secondo, partitica del primo.
Dopo aver vinto a sorpresa le primarie, Vendola riesce a battere Fitto, candidato del centrodestra, per 14.000 voti e al momento dell’elezione di fronte ad una piazza barese affollata da ventimila persone annuncia la sua “rivoluzione gentile”. La prima fase del governo di Vendola è indubbiamente caratterizzata da misure popolari come “l’abolizione dei ticket per quasi due milioni di pugliesi e un sostanziale incremento dei fondi destinati al diritto allo studio”.
L’esperienza pugliese si intreccia con una evoluzione della politica nazionale che apre una crisi profonda della sinistra radicale e del PRC. Bertinotti – scrive Colaprice – “palesa l’intenzione di dare vita ad un nuovo soggetto politico, capace di riunire i partiti della sinistra radicale in modo da ‘risolvere il problema dell’efficacia’ delle singole forze, creando una ‘massa critica’ utile a colmare il divario con la sinistra riformista”. La nascita del PD accelera la costituzione di un “soggetto unitario della sinistra alternativa” che si incarna nel cartello elettorale della Sinistra Arcobaleno. Si determina un “divorzio consensuale” per effetto del quale la SA si presenterà alle elezioni politiche come “terzo polo”, ma del quale sarà soprattutto il PD a beneficiare. Inizialmente Vendola viene indicato come possibile leader della Sinistra Arcobaleno ma questa ipotesi viene accantonata e l’esponente del PRC punta alla sua riconferma alla presidenza della Regione Puglia. Nonostante questa scelta risulta netta l’indicazione da parte di Bertinotti di Vendola come futuro leader nazionale di una sinistra radicale riconfigurata.
La pesante sconfitta elettorale della Sinistra Arcobaleno non risparmia nemmeno la Puglia dove la coalizione si ferma sotto al 3%. I risultati decisamente migliori ottenuti negli stessi giorni nelle elezioni amministrative (Molfetta, Mesagne, Foggia) indicano che il risultato delle politiche è l’effetto di una dispersione elettorale in diverse direzioni, astensionismo, liste minori, ma in misura rilevante dallo spostamento verso il PD derivato dall’avversione per le destre.
Il successivo congresso di Chianciano porta alla rottura tra sostenitori di Vendola e quelli di Ferrero. In Puglia sono i primi a prevalere col 67% dei consensi (3.120 voti) contro il 32% del secondo (1.498 voti).  Non stupisce quindi che il PRC pugliese venga “demolito dalla scissione”. In tutta la regione il PRC perde quattromila iscritti, l’80% dei suoi aderenti. Nel 2023, il PRC contava in Puglia 440 iscritti, mentre Sinistra Italiana ne contava 485.
È interessante rilevare che dopo la scissione di Chianciano, il PRC non sceglie la strada dell’isolamento. Al contrario, in una riunione alla presenza di Ferrero, “il gruppo dirigente pugliese adotta una politica delle alleanze che prevede la possibilità di partecipare alle coalizioni di centrosinistra purché sia esclusa l’UDC”. Il partito risulta indebolito, in quanto gran parte del patrimonio elettorale viene ereditato dal soggetto politico costituito da Vendola.
“Da questo momento – annota Colaprice – prende vita un costante confronto tra due tipologie di sinistra radicale, le quali si contendono lo stesso spazio elettorale”. La seconda campagna elettorale di Vendola è caratterizzata da una effettiva capacità di realizzare “nuove forme di attivismo che assumono una forma a metà strada tra il forum e il tradizionale comitato elettorale, ovvero le ‘fabbriche di Nichi’”. L’altro troncone emerso dal congresso di Chianciano dà vita alla Federazione della Sinistra che sembra attestarsi in Puglia attorno al 3% dei consensi.
Nel Congresso di Napoli del 2011, il documento di maggioranza propone “la costruzione di un fronte democratico contro le destre da attuarsi nella forma di un accordo esclusivamente elettorale con il centrosinistra”. Sarà il sostegno del PD al governo Monti e alle sue misure di austerità a rendere impraticabile questa prospettiva. La FDS si scioglie “attorno alla questione irrisolta del rapporto con il centrosinistra” e il PRC “comincia da questo momento un lungo peregrinare, passando da un cartello elettorale all’altro alla ricerca di un progetto politico duraturo e alternativo al centrosinistra”. La prosecuzione o meno della “peregrinazione” è oggetto del confronto congressuale in corso in queste settimane.
La ricostruzione di Colaprice termine con la formazione dell’Altra Europa con Tsipras che porta alla elezione di Eleonora Forenza al Parlamento europeo grazie alla rinuncia di Barbara Spinelli del seggio conquistato nella circoscrizione meridionale. Anche l’Altra Europa rappresenterà una esperienza effimera.
Tornando in conclusione sulla “primavera pugliese”, Colaprice segnala che “la Puglia oggi è un brand e lo sviluppo conosciuto dal settore terziario – a partire dal turismo e dalle imprese creative e culturali – affonda le proprie radici nelle politiche promosse dalle giunte di Vendola”. Ma questa è solo una faccia della medaglia perché la primavera pugliese “ha cambiato la storia e il volto della regione, eppure si avverte che abbia fallito la prova più importante, ovvero la costruzione di un’eredità politica duratura”.

Franco Ferrari

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2 Commenti. Nuovo commento

  • Pietro Antonicelli
    02/01/2025 11:47

    Ho letto con tantissimo interesse il tuo articolo dedicato alla “primavera pugliese”. Sono Pietro Antonicelli, ho militato nel PCI con la sezione Palmiro Togliatti di Grumo Appula (BA). È stata la sezione che a stragrande maggioranza (oltre il 90%) si schierò per il NO alla svolta occhettiana, contribuendo attivamente alla nascita di Rifondazione Comunista. Il 6 gennaio 1990 partecipammo a quel primo incontro al teatro Eliseo a Roma, al successivo del teatro Brancaccio (dove ci fu quel brutto episodio ai danni di Pannella, gli sputarono addosso) e all’incontro al Palaeur di Roma. Quella sezione, che dopo il PCI aderì al PRC, lavorò talmente bene che dal 1996 diede al paese un sindaco comunista, dopo 50anni di amministrazioni democristiane. Quella prima elezione consentì di organizzare un comizio con Bertinotti, che accettando il nostro invito permise di riempire all’inverosimile la piazza centrale di Grumo Appula. Quel sindaco comunista era Nicola Domenico Rutigliano, affettuosamente chiamato Mimì. Non c’è più Mimì, così come non esiste più quella sezione di partito… Ora non milito più attivamente. Faccio parte di quella schiera di compagni che si sono rifugiati in un malinconico distacco dall’impegno. Cordiali saluti comunisti e Buon 2025.

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    • Franco Ferrari
      08/01/2025 11:33

      Grazie della tua attenzione e di averci ricordato un pezzo di storia politica che è importante non cancellare. Purtroppo la schiera di chi si è allontanato dall’impegno politico concreto è sempre più folta. Saluti comunisti e buon 2025 anche a te.

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