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La bandiera bianca e il nulla bellicista di Ezio Mauro

di Francesca
Lacaita

Ritorna lo spettro («la cattiva tentazione») della bandiera bianca nell’articolo di Ezio Mauro pubblicato su «Repubblica» lo scorso fine settimana. A invocarla è ciò che Mauro chiama «il nichilismo», che appunto «non ha simboli», e che di fatto si incarna in una galleria di tipi che, vuoi per ignavia, vuoi per indifferenza, vuoi per simpatie putiniane, vuoi per vecchie ubbie ideologiche, vuoi in eccessivo ossequio alla realpolitik («il mal sottile dell’Occidente»), delegittimano la figura e il ruolo di Zelensky, spingono l’Ucraina alla resa, e quindi prescrivono la sottomissione alla legge del più forte quale norma generale. Mauro non vi include Papa Francesco, il primo a far riferimento alla bandiera bianca lo scorso marzo, suscitando un prevedibile vespaio di polemiche. La sottintesa contrapposizione è comunque evidente, e fa dell’articolo su «Repubblica» una sorta di contro-predica sulla situazione dell’Occidente. E s’impongono alcune considerazioni.
Fa innanzitutto specie la perversione del significato dell’espressione “bandiera bianca”, che di per sé non significa affatto resa. Come si vede in film d’invenzione e filmati dal vero, ad alzare bandiera bianca sono soprattutto i soccorritori che portano aiuto ai feriti. Oppure chi ha da recapitare un messaggio, o chi intende interporsi. In ogni caso, chi lo fa dichiara intenzioni pacifiche e chiede l’incolumità facendo appello al senso di umanità di chi ha le armi puntate contro di lui o lei. Sì, ci vuole coraggio ad alzare bandiera bianca, come diceva Papa Francesco. Ma sparare contro chi alza bandiera bianca è considerato universalmente spregevole. Per questo sono tanto più inquietanti la stigmatizzazione e l’esorcizzazione proprio del momento in una guerra in cui si pone in primo piano il soccorso, la pietà, la comunicazione, la parola, e in sostanza ci si scopre umani da ambo le parti. Ci si chiede allora che mondo prospetti Ezio Mauro, novella madre spartana che porge lo scudo intimando “o con questo o su questo”.
Mauro parla di «principi», di «valori», di «ragioni dell’Europa, dell’Occidente, della democrazia». Lamenta che per i cinici che spingerebbero l’Ucraina ad arrendersi, «non ci sono ideali per cui valga la pena vivere, rischiando anche di morire per difenderli, non ci sono valori e principi di convivenza che formano il deposito morale e spirituale di una nazione». Ma sono parole che risuonano vuote, astratte, disincarnate, perché prive di effettivo contenuto. Quale «democrazia», se con la legge marziale si riducono drasticamente gli spazi di confronto e di dissenso? Quale «convivenza», se il sostegno alle correnti più oltranziste del progetto nazionale ucraino e la guerra “fino alla vittoria” negano di per sé l’idea stessa di convivenza? Il senso delle parole di Ezio Mauro sembra essere che se si rinuncia a combattere fino all’ultimo ucraino, la si dà vinta a Putin, quindi tutto l’Occidente è sconfitto. Un’altra ammissione della realtà di una guerra per procura, se ce ne fosse bisogno. All’inizio dell’invasione russa si erano evocate a sproposito la guerra civile spagnola e la Resistenza antifascista. Ora le analogie con la Prima guerra mondiale appaiono più evidenti, con parole d’ordine simili a quelle con cui si mandava al macello la carne da cannone – com’è noto, si insiste perché vengano arruolati in Ucraina anche i diciottenni, novelli “Ragazzi del 99” – “la guerra per porre fine a tutte le guerre”, “Trento e Trieste”, “rendere il mondo sicuro per la democrazia”.
Nell’articolo di Ezio Mauro non compaiono gli ucraini. È vero che il giornalista intende parlare di «noi», che siamo «nelle retrovie», sostanzialmente «il secondo fronte». Tuttavia spicca, non solo in questo articolo, la pressoché totale rimozione del “primo fronte”. È sottinteso che gli ucraini ad altro non aspirino che combattere sino alla fine, sino all’ultimo ucraino. Un’immagine oleografica che occulta tante cose. Occulta la realtà di un Paese che nel 1991, anno dell’indipendenza, aveva aveva 52 milioni di abitanti, e che ora ne totalizza 35, con una perdita di 8 milioni dall’inizio del conflitto. Occulta la realtà concreta di un Paese già provato dalla povertà (il secondo Paese più povero d’Europa), depredato da oligarchi e multinazionali, cui la guerra ha dato il colpo di grazia, con un rapporto debito/PIL del 95% (chi parla di difesa della sovranità ucraina dovrebbe partire da qui), con il 44% delle famiglie che non riesce a coprire i bisogni fondamentali, con difficoltà di accesso alla sanità, all’istruzione e ad altri servizi essenziali, con oltre 7 milioni di persone che vivono in condizioni di insicurezza alimentare, e un quarto della popolazione che soffre di disturbi mentali causati dalla guerra. Ecco cosa vuol dire “combattere sino all’ultimo ucraino”! Occulta la realtà degli ucraini in carne e ossa, che hanno avuto e hanno appartenenze ed esperienze plurali e complesse, al pari di altri popoli dello spazio ex sovietico, come si è avuto modo di vedere anche di recente. L’invasione russa ha lacerato con violenza e prepotenza quest’intreccio di rapporti; al tempo stesso l’apparente solidarietà dell’Occidente è subordinata all’assunzione del ruolo di muta e volenterosa carne da cannone. Intanto nell’Ucraina reale aumentano le defezioni dall’esercito e la renitenza alla leva; aumentano anche in Russia, ma se ne parla altrettanto raramente: il “pacifismo” del nemico è inquietante quanto quello della propria parte.
In realtà, in questa sporca guerra per procura, iniziata scopertamente dalla Russia il 24 febbraio 2022 senza che da parte NATO si facesse alcunché per prevenirla, anzi attizzata da quest’ultima nell’ombra, il ruolo degli ucraini non è solo combattere nelle prime file, come in ogni caso sono costretti a fare, ma anche rieducarci – specialmente noi figli di un’Europa che voleva superare il suo passato di sanguinosi conflitti di potere, e segnatamente noi figli della Costituzione italiana e del suo articolo 11 – alla guerra come a un fatto normale nelle relazioni internazionali. Riabituarci, con il sacrificio delle loro vite, alla «vecchia Menzogna: Dulce et decorum est / pro patria mori», specie se a morire sono i più poveri. Riportarci ai «miti eterni della patria e dell’eroe», alla patria che «si gloria / di in altro eroe alla memoria». Proprio perché il loro intento è far accettare la guerra negando o sminuendo la distruzione, il dolore e la sofferenza che essa comporta, i «valori», gli «ideali» perorati da Ezio Mauro appaiono vuoti, aridi, sostanzialmente un mortifero nulla.
Intanto il neo segretario della NATO Mark Rutte ha esortato ad aumentare in misura consistente le spese militari (altro che il 2%), anche tagliando la spesa sociale, e ad assumere una “mentalità da guerra”. La direzione verso cui vogliono sospingerci è chiara. Sarebbe ora che la riconoscesse pure quella parte della sinistra che, muovendo da una giusta indignazione per l’aggressione russa all’Ucraina, si rifiuta di considerare il contesto più ampio, la storia remota e recente, e le dinamiche in corso, e continua a puntare sulla vittoria militare quale unica via possibile per concludere il conflitto. Più tardi potrebbe essere troppo tardi. 

Francesca Lacaita 

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2 Commenti. Nuovo commento

  • Luigi Flagelli
    31/12/2024 9:03

    Ottimo 👏 purtroppo i guerrafondai sono trasversali omettendo la verità e la storia.

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  • Maria Teresa Ambrosini
    08/01/2025 13:33

    Una grande vergogna x noi Stati che abbiamo già passato tragedie simili e ora lasciamo che un’altra tragedia coinvolga nuovamente tutta l’Europa!

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