Dopo alcuni decenni contrassegnati dall’illuminismo e dopo le sconfitte militari di Napoleone, con il famoso congresso di Vienna in Europa si tentò di ristabilire del potere dei sovrani assoluti (il cosiddetto “Ancien Régime”) precedente la Rivoluzione francese. Processo che fu definito come “RESTAURAZIONE”.
Ancora oggi nell’Unione Europea, stiamo, da alcuni anni assistendo a un vero e proprio processo di Restaurazione, in cui dopo anni di sconfitte delle classi subalterne, i sovrani (le oligarchie del capitale finanziario voglio riprendersi il potere assoluto.
Ciò sta avvenendo in vari campi e luoghi! Sia a livello della UE nel suo complesso, sia a livello di diversi Stati.
La Restaurazione sta avvenendo nel campo della politica estera, dove, ad una vocazione fondativa della UE, basata sulla difesa della pace e la convivenza (nonostante la vecchia “guerra fredda”), si è sostituita una politica guerrafondaia e una corsa agli armamenti, una politica che potremmo definire neoimperialista. Il tutto giustificato dall’invasione Russa dell’Ucraina. Naturalmente, nessuno sforzo e nessuna iniziata fatta per cercare di arrivare almeno ad una tregua dopo lo scoppio della guerra, e nessuna iniziativa per prevenirla (anzi forse, per mano della Nato, qualcosa è stata fatta per favorirla e continuarla!). Certamente, ancora più grave, è il comportamento nei confronti della guerra in Palestina, dove si permette al governo israeliano di perpetuare un vero e proprio genocido.
La Restaurazione sta avvenendo, nel campo delle politiche sociali, dove, soprattutto nei singoli Stati, vengono sottratte risorse alle spese per l’istruzione e la sanità pubblica e contemporaneamente vengono aggredite le politiche per la difesa dei lavoratori.
Anche, nel campo della democrazia non c’è da stare tranquilli. Si pensi a che succede non solo in alcuni paesi dell’est Europa, ma anche i paesi come la Francia di Macron, o in Italia dove sono in corso di emanazione leggi liberticide che mirano a colpire non tanto le cosiddette avanguardie, ma tutte le forme di opposizione allo stato di cose.
Ma, forse, il processo di restaurazione più stupefacente è quello nel campo delle politiche ambientali!
Infatti, dopo che le acquisizioni scientifiche che dopo Rio avevano chiarito le principali emergenze ambientali, la UE e molti dei paesi ad essa aderenti, si erano caratterizzati come avanguardia nelle politiche ambientali mondiali. Ciò si era concretizzato in molte iniziative legislative e programmatiche che, forse con qualche errore, avevano caratterizzato l’attività della Commissione e del Parlamento europeo sino ai primi decenni degli anni 2000. Basti ricordare il Regolamento REACH del 2006 o le numerose direttive sulle emissioni di CO2, o il piano sulla finanza sostenibile.
Ma ad un certo, punto soprattutto nella prima presidenza Von Der Leyen, hanno cominciato ad apparire crepe nelle stesse politiche appena impostate. Rivio di molte regolamentazioni sull’uso di pesticidi, rinvio dell’entrata in vigore di molte regole in vari settori (in particolare in agricoltura), introduzione del nucleare e aumento del peso del gas nella Tassonomia (le regole per definire sostenibile degli investimenti). Naturalmente, anche a causa dell’aumento delle spese militari, molti finanziamenti per l’ambiente si sono ridotti.
Ma in verità, il vero significato del riferimento al termine “Restaurazione”, non si coglie solo in questi arretramenti nelle politiche ma anche nelle parole che vengono usate, soprattutto in Paesi come il nostro, per giustificare gli arretramenti o, addirittura, i cambi di rotta.
Il concetto/ frase più utilizzato è quello di “ambientalismo ideologico”!
Infatti, ormai, salvo qualche stupido negazionista, nessuno può negare la crisi ambientale che sempre con maggiore velocità e maggiori danni, corre verso il disastro totale. E, allora, ecco, che quando qualche normativa dà fastidio a i nostri dominanti, parte l’accusa di ambientalismo ideologico.
Ad esempio, nella recente assemblea di Confindustria italiana, il nuovo Capo, sostenuto subito dal governo, ha riproposto l’accusa di ideologismo contro delle regole europee, riferendosi al tema a norme che dovrebbero entrare in vigore nel 2035 (il divieto di mettere in commercio autoveicoli con motori a combustione), definendole ideologiche. Un po’ tutta l’industria europea dell’auto dice di non essere pronta a questo passaggio, perché i tempi sono troppo brevi (oltre 10 anni) e perché si teme la concorrenza asiatica sulle auto elettriche. Il tema dell’industria automobilistica è in realtà una questione paradigmatica, che può servire da esempio di studio sul tema di riconversione.
In realtà, l’industria automobilistica europea e americana, (come ben raccontato in un precedente articolo di Alessandro Scassellati ( https://transform-italia.it/il-triste-tracollo-dellindustria-automobilistica-europea/ ) , assecondata dai governi nazionali non ha mai messo in discussione né le tecnologie e tanto meno i modelli di mobilità. A proposito di tecnologia, mi sembra utile riportare in aneddoto personale. Nel 2012 quando dirigevo un ufficio al Ministro Ambiente che si occupava di criteri ambientali per gli acquisti della pubblica amministrazione, si propose di stabilire come obbligo una quota minima di autoveicoli elettrici negli appalti. Importanti esponenti dell’industri nazionale, ci disserro che era una proposta insensata perché l’elettrico non aveva futuro, ciò mentre in Asia le iniziative asiatiche sul tema erano in stato avanzato!
Peraltro, i depositi di auto nuove invendute sono già pieni all’inverosimile, non è forse il caso di pensare a produrre altro, riconvertendo industrie ed attività verso altri scopi e funzioni, magari senza farne pagare il prezzo ai lavoratori? Naturalmente ciò comporterebbe una vera riconversione, non solo, quindi, nelle tecnologie dell’auto (peraltro le auto elettriche non risolvono i problemi che abbiamo di fronte), quanto nei modelli sociali e di consumo. La riconversione dovrebbe essere un processo molto profondo, dovrebbe occuparsi di molte cose: dalla programmazione di nuovi e diversi cicli e attività produttive, alla riqualificazione dei lavoratori e alla loro ricollocazione in altri settori.
Non sembra affatto che l’industria automobilistica sia in grado di avviare questa riconversione, e, tanto meno, che ne abbia voglia.
La realtà è che, sulla questione della mobilità di persone e merci (come su altre questioni), ciò che manca è l’iniziativa di Governo che ponga all’ordine del giorno il cambiamento del modello di mobilità. Un modello che, da un lato riduca il quantitativo di merci che viaggiano su gomma, e dall’altro riduca tendenzialmente al minimo il numero di auto private che circolano nei centri urbani. Ciò grazie alla messa a punto di un servizio di trasporto pubblico efficiente e tendenzialmente gratuito.
Insomma, i governi, dovrebbero riprendersi il ruolo di indirizzo e programmazione (e perché non anche di attività diretta) nelle politiche produttive.
Ma naturalmente questa è una prospettiva VERAMENTE IDELOGICA! Roba da comunisti!
Quindi che si fa per contrastare la RESTAURAZIONE? Aspettiamo, come nel diciannovesimo secolo, i moti del 1830? Cosa possiamo fare per favorire la loro partenza, per accorciare i tempi della loro attesa, e, soprattutto, per far sì che i loro risultati siano produttivi, efficaci, e soprattutto più duraturi? Forse è utile una riflessione e una analisi serie della realtà politica sociale, unitamente alla ricostruzione di una forza politica adeguata al compRiccardo
Riccardo Rifici