di Marina Boscaino –
Negli anni appena passati quello della scuola è stato uno dei pochi settori in cui si è riusciti a mobilitare forze per contrastare azioni di governo che andavano ad accelerarne il processo di aziendalizzazione, inaugurato dall’Europa (già allora) delle banche e delle finanze addirittura prima del Trattato di Maastricht, negli anni ’80.
Anche coloro che non sono insegnanti e studenti ricorderanno senza dubbio quando, nel 2012 (governo Monti) il ministro Profumo propose l’aumento dell’orario di lezione a parità di salario. I docenti risposero in modo talmente intransigente, che l’iniziativa fu immediatamente cassata (benché periodicamente sia rispuntata fuori o evocata da governi di centro destra e di centro sinistra). C’è poi l’indimenticabile esempio della stagione di lotte che si sviluppò in occasione della discussione in Commissione di quella che sarebbe stata la legge 107/15 (la sedicente Buona Scuola), che – grazie a quella mobilitazione straordinaria – passò con voto di fiducia in Senato. Il 24 aprile di quell’anno il sindacalismo di base e poi il 5 maggio i confederali – insieme agli scioperi no Invalsi e degli scrutini di fine anno – animarono quella stagione, con una partecipazione straordinaria di docenti, studenti e genitori. Il voto di fiducia e poi l’immediato deporre le armi soprattutto da parte di Cgil Cisl e Uil hanno prodotto una grande stanchezza tra i docenti, rassegnati, sconfitti, desolati, non di rado complici della applicazione di una norma che tende a decostituzionalizzare la scuola italiana. In questi 3 anni di applicazione della legge il mondo della scuola ha taciuto, non riuscendo nemmeno a portare a casa il risultato delle 500mila firme che sarebbero state necessarie per giungere al referendum su 4 temi particolarmente critici di quell’odiosa norma.
In quella circostanza il M5S – pur non muovendo un dito o quasi per giungere al numero di firme (non amano partecipare a battaglie che non sono intestate direttamente a loro e lì il fronte era costituito da Flcgil, Cobas, Unicobas e Lipscuola) – tuonò fuoco e fiamme contro alternanza, School Bonus, poteri discrezionali del dirigente scolastico, comitato di valutazione (i temi dei quesiti).
Nella campagna elettorale del 2018, i 5 stelle hanno fatto dell’abrogazione della 107/15 il proprio cavallo di battaglia. All’art. 22 del “contratto di governo” stipulato da Lega e 5stelle si legge testualmente: “In questi anni le riforme che hanno coinvolto il mondo della scuola si sono mostrate insufficienti e spesso inadeguate, come la c.d. “Buona Scuola”, ed è per questo che intendiamo superarle con urgenza per consentire un necessario cambio di rotta”.
Tutto ci si sarebbe potuto aspettare (in una visione ingenua della realtà) tranne che il sedicente “governo del cambiamento” si ponesse in una condizione di assoluta continuità con Renzi e Gentiloni, ma anche con tutte le operazioni che – dall’autonomia scolastica in poi – hanno intenzionalmente allontanato la scuola dal dettato costituzionale.
Sta accadendo infatti una cosa estremamente grave, di cui tutti – anche coloro che non sono lavoratori e studenti, ma che abbiano a cuore la democrazia e la funzione che la scuola pubblica come organo costituzionale è tenuta ad esercitare – dovremmo farci carico. E su cui sarebbe auspicabile che soprattutto i docenti si riappropriassero del proprio mandato politico.
Stanno passando pressoché inosservate le possibili conseguenze sul sistema nazionale dell’istruzione dell’iniziativa della Regione Veneto sull’”autonomia differenziata” (cui segue quella, assai simile anche se un po’ meno estrema, della Lombardia e dell’Emilia Romagna). Si tratta di un disegno di legge delega che – nelle intenzioni delle regioni e del governo – dovrebbe essere approvato dal Parlamento nazionale (su impulso del governo, ed in particolare della ministra per gli affari regionali Erika Stefani, leghista del Veneto). L’inizio della discussione nel merito è fissata per il 15 febbraio.
Il dispositivo è più ampio: l’articolo 116, terzo comma, della Costituzione prevede infatti la possibilità di attribuire forme e condizioni particolari di autonomia alle Regioni a statuto ordinario (c.d. “regionalismo differenziato” o “regionalismo asimmetrico”, in quanto consente ad alcune Regioni di dotarsi di poteri diversi dalle altre), ferme restando le particolari forme di cui godono le Regioni a statuto speciale (art. 116, primo comma). L’ambito delle materie nelle quali possono essere riconosciute tali forme ulteriori di autonomia concernono:
- tutte le materie che l’art. 117, terzo comma, attribuisce alla competenza legislativa concorrente;
- un ulteriore limitato numero di materie riservate dallo stesso art. 117 (secondo comma) alla competenza legislativa esclusiva dello Stato.
Tra queste, ad esempio, istruzione e sanità. La bozza della proposta del Veneto prevede:
1) – 2) Norme generali sull’istruzione – Istruzione:
Sono attribuite alla Regione del Veneto le competenze legislative e amministrative dirette a:
- consentire l’ottimale governo, la programmazione, inclusa la programmazione dell’offerta formativa e della rete scolastica – compresi l’orientamento scolastico, la disciplina dei percorsi di alternanza scuola-lavoro – la programmazione dell’offerta formativa presso i Centri Provinciali Istruzione Adulti e la valutazione del sistema educativo regionale, in coerenza con gli elementi di unitarietà del sistema scolastico nazionale e nel rispetto dell’autonomia delle istituzioni scolastiche;
- disciplinare l’assegnazione di contributi alle istituzioni scolastiche paritarie con le correlate funzioni amministrative;
- regionalizzare i fondi statali per il sostegno del diritto allo studio e del diritto allo studio universitario;
- regionalizzare il personale della scuola, compreso il personale dell’Ufficio scolastico regionale e delle sue articolazioni a livello provinciale;
6) Ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi: sono attribuite alla Regione del Veneto competenze legislative e amministrative volte a:
- programmare, nel rispetto dell’autonomia delle Istituzioni universitarie e in coerenza con la programmazione delle Università, d’intesa con le Università, l’attivazione di un’offerta integrativa di percorsi universitari per favorire lo sviluppo tecnologico, economico e sociale del territorio;
- disciplinare la programmazione strategica e gli interventi di sostegno in tema di ricerca, innovazione e trasferimento tecnologico nonché lo sviluppo delle Reti Innovative Regionali e di altre forme aggregative di impresa;
Una richiesta che va interpretata per giunta alla luce della necessità di attribuire risorse finanziarie aggiuntive – sottratte peraltro alle altre Regioni – rispetto a quanto speso oggi dallo Stato in Veneto, facendo leva sul calcolo di parametri che tengono conto anche del gettito fiscale superiore, ossia del maggior reddito dei Veneti. L’equazione è, dunque, impropriamente, più reddito = più servizi pubblici. Si tratta di una conseguenza, ventilata diverse volte, soprattutto dalle regioni amministrate dalla Lega, della nefasta Riforma del Titolo V della Costituzione (2001). L’operazione non solo rischia di stravolgere completamente il principio di solidarietà, previsto all’art. 2 della Carta, ma anche quello di uguaglianza, previsto dall’art. 3.
La configurazione di 20 sistemi scolastici a marce differenti (perché determinati sulla base del gettito fiscale erogato in ciascuna regione) segnerà inevitabilmente il passaggio da una scuola organo dello Stato, unitario e garante di un livello di istruzione analogo in tutte le regioni italiane, ad un sistema a marce differenti e differentissime, configurando – di conseguenza – cittadini di serie A e di serie B: gli ultimi della società non avranno più alcuna speranza che la Repubblica, attraverso la scuola, organo costituzionale, rimuova gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona. Perché la scuola non sarà più quella della Repubblica e della Costituzione. Le regioni autonomamente gestiranno temi fondamentali come il trattamento del personale, la valutazione, la programmazione dell’offerta formativa, l’orientamento, l’alternanza scuola-lavoro, liberandosi in tal modo degli scomodi orpelli e lacciuoli dei principi fondamentali della Carta e gettandosi a capofitto in uno spregiudicato inserimento del sistema formativo in un libero mercato, affatto garante di qualità, certamente foriero di profitto, a discapito del diritto allo studio e all’apprendimento e alle pari opportunità.
Grazie alla Buona Scuola, di cui questo percorso rappresenta una coerente continuazione (non a caso esso è stato avviato in extremis dal ministro Valeria Fedeli, del governo Gentiloni, di marca PD) potrebbe realizzarsi lo stretto collegamento tra “scopi e metodi della scuola con il mondo del lavoro e dell’impresa” che rappresenta uno degli obiettivi fondamentali della “Buona Scuola”, dove le imprese saranno parte attiva (e profittevole, sia dal punto di vista economico che ideologico) del processo. Al contempo, allontanare da una parte la scuola unitaria dalla sua funzione istituzionale, culturale e politica di luogo della riflessione sulla cultura nazionale, per dar vita ad istanze localistiche – si pensi alla lengua veneta – configura una visione divisiva che in un tessuto storicamente fragile come il nostro potrebbe provocare danni enormi. Infine, si configura la dismissione definitiva della funzione emancipante della cultura e del sapere disinteressato di gramsciana memoria, sostituendo l’ideologico ricorso alle competenze alla conoscenza e all’apprendimento.
Il terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione prevede una procedura di approvazione dell’autonomia differenziata che si incentra in tre passaggi procedurali:
- parere degli enti locali;
- intesa Regione-Stato (anche su iniziativa regionale);
- legge dello Stato approvata a maggioranza assoluta da entrambe le Camere. Considerata la scadenza del 15 febbraio, siamo quasi fuori tempo massimo.
È giunto il momento, dopo anni di sopore, che la scuola democratica italiana e tutte le forze democratiche del Paese abbandonino la propria inerzia e si uniscano in difesa dell’uguaglianza e delle pari opportunità per tutte e tutti. Il sedicente governo del cambiamento (con l’arrembante aggressività della Lega e gli omertosi silenzi del M5S) promette di inasprire ulteriormente le condizioni di diseguaglianza e di convivenza (in)civile non solo con la vergognosa partita che si sta giocando sulla pelle dei migranti; ma persino ai danni dei cittadini del Nord e del Sud del territorio nazionale.
sul tema, vi invitiamo a leggere anche
Gianfranco Viesti – Verso la secessione dei ricchi? Autonomie regionali e unità nazionale
e il Dossier del Servizio Studi del Senato citato da Regioni.it scaricabile dall’articolo Autonomia differenziata: “coinvolte” 13 Regioni su 15