L’Italia sembra una Repubblica in subappalto, fondata (sulle morti) sul lavoro. Pare questa la costituzione reale di un sistema-paese che ha chiuso il 2023 con quattro vittime al giorno, una ogni due ore di turno ordinario, fino a 1485 lavoratrici e lavoratori che nell’arco dello scorso anno si sono alzati la mattina per guadagnarsi da vivere; e poi non hanno più fatto ritorno a casa la sera.
Firenze ha toccato sulla propria pelle questo stillicidio disumano venerdì scorso alle ore 8.50 quando al cantiere del nuovo supermercato Esselunga di via Mariti, in zona Rifredi, un pilastro di cemento armato lungo quindici metri, del peso di quasi cinquemila chili, ha ceduto all’improvviso, cadendo da oltre dieci metri di altezza, portandosi dietro solai e impalcature; e rovinando con un boato sui lavoratori di un’azienda in subappalto la GO Costruzioni di Villongo (Bergamo), che stavano operando in quella parte del cantiere. I soccorsi sono riusciti a salvare la vita a tre persone, ricoverate in prognosi riservata; mentre nel corso delle operazioni sono stati estratti dalle macerie i cadaveri di Luigi Coclite di 60 anni, Mohamed Toukabri di 54 anni, Mohamed El Farhane di 24 anni, Taoufik Haidar di 43 anni e di Bouzekri Rahimi, rinvenuto appena ieri sera, rimasto sepolto sotto le macerie per oltre cento ore dalla strage.
Nella culla del Rinascimento da giorni giace un gigantesco sarcofago di cemento armato, spruzzato di sangue operaio a macchiare ostinatamente la vetrina del Belpaese, dove spesso si viene ammazzati per profitto e le persone sono costi collaterali, da comprimere fino alla sussistenza o all’annientamento, per poi eventualmente indennizzare i familiari delle vittime.
Già, perché la giungla di affidamenti esterni organizzata dalla ditta appaltatrice, la Villata Spa – immobiliare controllata al 100% da Esselunga e AEP (Pavia) e presieduta dall’ex-ministro Angelino Alfano – contava nello stesso cantiere su oltre trentacinque aziende in subappalto e più società operative per lavorazioni in contemporanea, con l’evidente aumento dei rischi sulle condizioni di sicurezza, pur di stringere i tempi di consegna. Alle cronache di questi giorni non è sfuggito neppure che le ditte appaltatrici siano risultate le stesse del cantiere di San Benigno a Genova, in cui proprio un anno fa alcuni operai furono coinvolti in due gravi infortuni sul lavoro.
Un sistema di subappalti tragicamente detto “a cascata”, che con il nuovo codice dei contratti pubblici (d.lgs. 36/2023) varato dal governo Meloni, di fatto deresponsabilizza i datori di lavoro ed elimina ostacoli nella corsa al ribasso sui costi, nella compressione di diritti, rappresentata da ritmi massacranti, età troppo elevate sui cantieri, precarietà altissima, scarsa formazione, o sotto-inquadramento, fino all’ingaggio di personale senza documenti in regola e perciò ancor più ricattabile, fino allo schiacciamento dei lavoratori in carne ed ossa, come avvenuto a Firenze.
Secondo l’Osservatorio nazionale morti sul lavoro lo scorso anno si è chiuso con circa 900 vittime accertate sul posto di lavoro e 585 in itinere per arrivarci o tornare a casa, con dati che risentono per difetto del duro ricatto della precarietà e quindi di una sotto-stima delle dichiarazioni di denuncia, soprattutto in comparti dove il lavoro nero fa letteralmente sparire vite nell’oblio.
E a proposito dei settori con il più alto rischio si distinguono proprio l’edilizia, l’agricoltura ed i trasporti, con 162 morti accertati per schiacciamento da trattore e 117 vittime fra gli autotrasportatori nel 2023. Se si considerano invece le denunce per infortuni, a distinguersi sono anche sanità, logistica e commercio.
Secondo l’Osservatorio sulla Sicurezza sul Lavoro e Ambiente di Mestre poi la maglia nera per infortuni mortali va alla Lombardia, seguita da Campania, Veneto ed Emilia Romagna1.
Non è facile avere contezza della crescente deriva, se si pensa anche solo alle differenze nei sistemi di rilevamento dei parametri fra ANMIL (associazione nazionale fra mutilati e invalidi del lavoro) riferiti alle sole morti o infortuni indennizzati, mentre l’INAIL riporta anche morti e infortuni denunciati, registrando la crescente tendenza agli infortuni plurimi, ovvero con più vittime contemporaneamente, come i 15 registrati nel 2023.
Gli studi concordano che le fasce d’età numericamente più colpite dagli infortuni mortali sul lavoro siano quelle tra i 15 e i 24 anni e tra i 55 e i 64 anni; con le motivazioni più disparate all’origine, sebbene incidano soprattutto luoghi di lavoro non sicuri, condizioni di stress che portano malori e sistemi di protezione inadeguati e non a norma. Di certo non è l’ispettorato del lavoro ad impensierire chi specula sulla sicurezza, dato che fino a poche settimane fa a Firenze era presente un solo tecnico specializzato per le ispezioni, su ventiquattro in tutta l’area interprovinciale, per controllare oltre centomila aziende. Ed in tutta Italia le recenti assunzioni fino a 662 unità non coprono affatto il fabbisogno di organico, che risente anche di una sproporzione formativa tra le competenze e le responsabilità richieste al personale, così come della retribuzione corrisposta. Secondo i dati dell’Ispettorato del Lavoro negli ultimi due anni si è registrata una media del 72% di aziende irregolari fra quelle controllate, con 314.069 lavoratori irregolari, di cui 19.932 quelli totalmente a nero.
A livello europeo l’Italia ha una media di 2,66 vittime ogni 100mila occupati e si piazza fra i dieci paesi più a rischio per infortuni mortali sul lavoro nell’UE secondo i dati Eurostat2, con le percentuali più basse registrate in Germania, dove la cosiddetta “Strategia congiunta per la sicurezza e la salute sul lavoro (Gda)” concertata fra istituzioni ed istituti assicurativi per incentivi premianti sembra garantire un certo miglioramento, mentre la Confederazione dei Sindacati Europei ha lanciato la campagna “Zero morti sul lavoro”, con un manifesto, firmato tra gli altri anche dai vicepresidenti del Parlamento europeo.
Tornano alla mente le storie di vite troncate come a Brandizzo – con cinque operai travolti e uccisi mentre lavoravano sui binari, convinti che non sarebbe passato più alcun treno -, o il crollo della gru in via Genova a Torino con l’uccisione di tre montatori specializzati.
E mentre la magistratura di Firenze ha aperto un fascicolo per omicidio colposo plurimo e crollo, nella Piana toscana già nel recente passato veniva detto ‘mai più’ per Sabri Jaballah e ancora “mai più” per la giovane operaia tessile Luana D’Orazio, tristemente seguita a pochi mesi di distanza da Giuseppe Siino, un collega del distretto manifatturiero.
Non se ne può davvero più di un simile stillicidio ed è inammissibile il paradosso di un sistema che uccide mentre si fatica a campare. Da tempo s’impongono reazioni adeguate, come l’introduzione del reato di omicidio sul lavoro, proposto da varie realtà sindacali ed oggetto di una petizione popolare dei sindacati di base. Altrettanto incisivo potrebbe essere lo strumento dello sciopero generale automatico, per autotutela della classe lavoratrice, nel giorno seguente all’infortunio letale, così da far prendere coscienza anche in termini economici della gravità di esistenze compromesse irrimediabilmente per mero calcolo.
Oltre allo sciopero di oggi dei segretari nazionali di CGIL e UIL a Firenze per una manifestazione pomeridiana nel luogo della strage; per tenere accesi i riflettori su salute e sicurezza sul lavoro, nella vicina Prato nell’ambito del Social Forum sarà proiettato il film Palazzina Laf, alla presenza degli attori Elio Germano e Michele Riondino e promosso insieme al Collettivo di Fabbrica GKN, il movimento 8×5 ed il gruppo di familiari delle vittime sul lavoro afferente a Medicina Democratica.
Un’iniziativa per affrontare le questioni legate al diritto al lavoro dignitoso e alle vertenze per riscattarlo, dato che le scene del più grande caso di mobbing all’ILVA di Taranto travalicano l’aspetto cinematografico, per ripresentarsi purtroppo anche nella realtà del contesto locale, dove dal distretto tessile alle imprese industriali come l’ex-GKN, nella Piana toscana dilaga il ricatto della precarietà, fino allo sfruttamento; con collettivi e movimenti sindacali, che cercano di riscattare tutele sempre più frammentate, anche in ottica di riconversione ecologica.
Proprio nel contesto attuale di nuove privatizzazioni del patrimonio pubblico e della crescente speculazione finanziaria, nella contrazione dei settori produttivi a vantaggio della rendita immobiliare, la vicenda assume ancora più rilevanza e anche per l’area di via Mariti a Rifredi c’è chi parla di “Ground Zero” del lavoro, chiedendo che venga abbandonato il progetto dell’ennesima colata di cemento, per realizzare invece un parco pubblico.
Tommaso Chiti