C’è un fenomeno nella società europea, particolarmente visibile in quella italiana, che la guerra in Ucraina ha reso conclamato: vasti ambiti di quella che era stata l’intellettualità progressista fino agli anni ’80-’90 sono diventati supporti di giuntura all’egemonia moderata su cui si regge l’attuale dominio capitalistico. I moderati colti che danno lustro all’establishment più o meno consapevolmente, sulla carta stampata e nei dibattiti televisivi. È un fatto storico comprensibile. Dopo l’89, i vecchi partiti comunisti e socialdemocratici, che hanno guardato al proprio passato come a un unico grande errore, hanno accettato il punto di vista sul mondo offerto dalla cultura neoliberista che stava avanzando a livello globale a partire dal Regno Unito e dagli USA con la politica della deregulation. Una delle rotture più drammatiche di questo processo è stato l’abbandono da parte di questi partiti della rappresentanza e mobilitazione della classe operaia e dei ceti popolari, e la scelta di trovare consenso nei ceti medio-alti, emarginando temi e rivendicazioni di classe e privilegiando quelli dei diritti, soprattutto quelli delle libertà individuali e di genere. Gli intellettuali, specie quelli italiani, antropologicamente ansiosi di stare all’ombra del potere, hanno seguito, incoraggiato, accompagnato con narrazione storica e produzione ideologica, questa tendenza. Non stupisce che allo scoppio della guerra in Ucraina – e agli inizi questo era abbastanza comprensibile – abbiano immediatamente abbracciato la versione del Paese democratico invaso e dunque la necessità di schierarsi a fianco della resistenza del popolo ucraino.
Potrei ovviamente fare un lungo elenco di intellettuali italiani, anche vecchi amici, che hanno sposato questa lettura e ancora continuano a rimanerne prigionieri. Costoro continuano a non accorgersi di essere, volenti o nolenti, zelanti fiancheggiatori della Nato e soprattutto di un dispiegato e sanguinario progetto di dominio globale orchestrato dalle amministrazioni americane. Il fenomeno è diventato allarmante a livello europeo con la maggioranza dei gruppi socialisti nel Parlamento UE, che già prima della guerra ha accettato l’equiparazione tra comunismo e nazismo (una vera infamia intellettuale). Insieme allo schieramento moderato, poi, gran parte dei parlamentari socialisti si è schierata per l’invio di armi all’Ucraina ora si è opposta alla proclamazione del cessate il fuoco a Gaza. Una scelta che imprime su queste figure politiche e intellettuali un marchio di disonore incancellabile. Costoro, in nome della logica binaria, democrazia/dittatura, dunque Israele vs Hamas, non si schierano contro il massacro del popolo palestinese e assistono inerti e corresponsabili a uno dei più gravi eccidi della storia contemporanea.
Oggi, dunque, dopo 2 anni di guerra in Ucraina, gli studi, le denunce di ex funzionari USA, le varie confessioni dei leader, ecc. abbiamo ben documentata una verità inoccultabile: questa guerra è stata lungamente preparata dagli USA, che ha finanziato gli elementi antirussi e favorito la guerra civile nelle province russofone, ha esteso per oltre 1600 km lo schieramento di basi Nato lungo le regioni confinanti con la Russia, ha ricusato i vari trattati di limitazione dell’uso dei missili balistici intercontinentali, ha stracciato gli accordi di Minsk che erano un trucco per dare tempo a Kiev di armarsi (parola di Angela Merkel), ecc. Non posso qui dilungarmi su cose che ormai ben note che con singolare protervia tanti intellettuali progressisti rifiutano di prendere in considerazione. Gregorio De Paola ha fatto una informatissima e onesta lezione, per chi non ha pregiudizi e voglia di imparare, per la Scuola interdisciplinare. Che può consultare in questo sito Qui sono necessariamente sommario e rimando – a chi al coraggio di sfidare le proprie rassicuranti certezze – al sintetico quadro che ne fa B. Abelow1.
Ora, come ormai dimostrano tutte le fonti serie e fondate, oltre ai fatti storici (le guerre condotte dagli USA, con o senza Nato) dalla Jugoslavia in poi, le 800 basi militari sparse per il globo, le spese militari stratosferiche (oltre 800 miliardi di dollari l’anno), ecc. tutto dimostra che l’America è un impero sanguinario al tramonto, gravemente diviso al suo interno, finito in mano ai neocons legati all’industria delle armi, che ha bisogno di nemici esterni per la sua unità e per le ambizioni di dominio globale, ecc. Ma di solito, quando all’interlocutore progressista si illustra un tale quadro, qui appena abbozzato, le obiezioni che scattano sono delle pure recriminazioni moralistiche: Putin despota, o peggio, Hitler, l’invasione della Georgia, della Crimea, e prima la Cecenia, l’assassinio di Anna Polikavskaja, ecc. Siamo sempre e monotonamente di fronte una ritorsione retorica che rivela un superficiale movimento binario del cervello: quello del computer, che separa bianco o nero, o a o b. Ricordo che la mente dell’homo sapiens sapiens dovrebbe possedere una più ampia opzione di scelte. E come se rinfacciando le colpe di un protagonista della vicenda, in questo caso Putin, si cancellassero le responsabilità dell’altro , in questo caso gli USA, o si spiegassero in qualche modo i problemi, o si indicasse una via d’uscita che non sia la punizia della Russia, cioè la “vittoria” della NATO. Una misera argomentazione da bar che consegue il risultato di mettere l’interlocutore in una posizione sgradevole, (diventa un putiniano) quasi fosse il difensore dei “valori” (i valori, che non costano niente, hanno preso il posto degli interessi e dei bisogni) di chi sta dall’altra parte come il nemico.
Ora qualche considerazione su Putin. Intanto ricordo velocemente che l’invasione della Georgia e della Crimea seguono all’evidente tentativo della NATO (ad es. accordo di Bucarest, 2008, col progetto di inserire Estonia ed Ucraina nella Nato), di sbarrare la strada alla Russia verso i suoi mercati tradizionali. La Cecenia ricordano tanti che vogliono giustificare una posizione nella sostanza insostenibile. Rammento che i ceceni hanno cercato di ottenere l’indipendenza attuando le più feroci forme di terrorismo, mettendo bombe anche nel cuore di Mosca e in altre città. Accanto ai secessionisti ceceni militava la Jihad islamica e altri mercenari internazionali, dietro cui c’era probabilmente il supporto della CIA, come accade invariabilmente da almeno 80 anni in tutte queste circostanze. Julian Assange ce ne ha fornito prove numerosissime e inoppugnabili, tanto che gli USA vogliono gettarlo in un carcere per tutto il resto della sua vita. Quella cecena fu una guerra condotta con atrocità dall’una e dall’altra parte. Ma se si vuole capire – il che non significa giustificare in tutto la posizione della Russia né i suoi metodi – bisogna mettersi nei panni di Mosca. Sempre, chi vuole comprendere i fenomeni sociali in profondità e non limitarsi al tifo per l’uno o per l’altro contendente, deve interrogarsi sulle ragioni che ispirano i vari protagonisti in lotta. Mosca non poteva concedere ai Ceceni la completa autonomia, ricercata peraltro a suon di attentati sanguinosi. La Federazione russa è composta da 24 stati con circa 200 gruppi etnici, al suo interno. Un successo della secessione cecena avrebbe aperto la strada al pericolo di rivendicazioni consimili e portare in breve tempo al collasso e al disfacimento dell’intera Federazione. Esattamente quanto accaduto nella ex Jugoslavia, fatta precipitare in una sanguinosa guerra civile e smembrato ad opera dell’Europa occidentale, della NATO e degli USA. Come si può pensare che la Russia chiudesse un occhio su tale rischio dopo l’implosione dell’URSS, con la Nato che cominciava a espandersi a Est? Essendo peraltro ben nota ai servizi segreti russi l’opera sotterranea di formazione di gruppi ribelli che la Cia va svolgendo in qualunque paese gli USA decidano di cambiarne il regime.
A proposito dell’assassinio della Polikavskaja, ricordo che il suo autore è stato individuato e condannato a oltre 20, ma è uscito dal carcere alla fine perché una legge recente concede la libertà a chi si arruola per combattere al fronte. Credo che si faccia lo stesso in Ucraina. Ricordo questo fatto non certo per sminiare la gravità di questo orribile delitto. Ma per contestare il semplicistico e propagandistico cortocircuito per questo misfatto venga attribuito direttamente ai vertici del potere. L’assassinio esecrabile di questa brava e coraggiosa giornalista non può da un punto di vista giuridico essere attribuito a Putin. La Russia ha una magistratura con certo grado di autonomia, certo quanto può consentire quello stato, ma non è alle dirette dipendenze del Cremlino. Ha dei servizi segreti, talora in competizione, che come i servi di tutto i paesi gode di una certa autonomia e anche di arbitrio, non per nulla sono segreti. Secondo questa logica da fumetto dovremmo attribuire l’assassinio di Martin Luther King o di qualche leader delle Pantere nere al presidente degli USA o gli assassini dei leader palestinesi da parte del Mossad ai capi di governo di Israele. Questo ragionamento si può perfettamente estendere al caso Navalny, la cui deprecabile morte è utilizzato da tutto l’Occidente per nascondere la sua rovinosa sconfitta in Ucraina. E per continuare come prima.
Putin, dunque. Si rimane davvero dentro una lettura falsa, superficialmente propagandistica, da rotocalco per lettori semplici, se lo si dipinge come fa la grande stampa italiana, oggi sempre meno grande. Il Putin imperialista è una colossale sciocchezza di giornalisti disinformati o semplicemente faziosi: la Russia è territorialmente il più grande stato del pianeta, e per giunta sottopopolato. Davvero non si capisce perché debba ambire a occupare altri stati. Il trucco retorico serve solo a bilanciare l’imperialismo vero, quello degli USA. Ma al tempo stesso non si capisce davvero niente della grandezza politica di Putin, che non significa ovviamente sposarne né la mentalità né la visione politica. Considero il capo del Cremlino uno dei maggiori statisti viventi. Basterebbe aver ascoltato l’intervista concessa da Putin al regista americano Oliver Stone, poi diventato un film-documentario, disponibile in rete, o quella recente al giornalista americano Tucker Carlson, per rendersi conto che nessun leader europeo possiede l’ampiezza di visione mondiale dei problemi del nostro tempo, una conoscenza tanto precisa delle situazioni particolari, un cosi equilibrato e realistico giudizio sulle cose e sugli uomini quanto questo ex agente del KGB. Ma questo può anche essere un giudizio impressionistico, benché il raffronto con il linguaggio propagandistico dei leader occidentali fa semplicemente giganteggiare Putin. Ma è la storia, per chi ha la pazienza e la voglia di capire prima ancora di schierarsi, di contare fideisticamente sulle idee ricevute (su cui poggiano la propria sicurezza psicologica o anche i propri vantaggi economici e di potere), che fa comprendere molto di più le ragioni di questo giudizio, che può apparire apologetico.
Dopo il crollo dell’URSS, nel 1991, la Russia, finita in mano a Yeltsin, ha vissuto la più drammatica fase della sua storia in tempo di pace. Una economia centralizzata e burocratizzata aperta da un giorno all’altro al libero mercato è diventata in breve tempo un immenso campo di saccheggio (da qui sono usciti gli oligarchi) ed è precipitata nel caos. In quel periodo procurarsi il cibo quotidiano per milioni di russi è diventato un problema, l’insicurezza fisica dei cittadini non era garantita, la sera era meglio non andare in giro. Leggevo allora su Repubblica cronache amplissime e raccapriccianti sulla diffusione che avevano raggiunto le mafie in quel Paese. Non è un caso che in quel decennio la popolazione russa perse 10 anni di aspettativa di vita. Una tragedia sociale di proporzioni immani, coperta dal silenzio di gran parte dei media occidentali: il passaggio trionfante di una economia socialista fallita al capitalismo non andava offuscato con il disvelamento dei suoi esiti devastanti. Ho una memoria personale sul quel periodo. Erano i primi del 2000, Putin era da poco salito al potere e all’ università La Sapienza ho conosciuto in un convegno un ex accademico delle scienze dell’URSS. Una persona amabile che parlava benissimo l’italiano. Ricordo di avergli chiesto che cosa ne pensava del nuovo presidente. Risposta: “Non lo conosco, pochi lo conoscono, ma speriamo che riesca, è difficilissimo, siamo disperati, caro Bevilacqua. Se non ce la fa per la Russia è la fine”.
Allora se vogliamo capire chi è Putin – senza nessun bisogno di sposarne gli ideali, ecc., e tutti gli altri scongiuri necessari per non essere lapidati – bisogna ricordarsi che quest’ uomo ha ereditato un Paese enorme precipitato nel caos economico e sociale, prostrato nella fiducia di sé stesso, e lo ha rimesso in piedi, strappato alle mani delle bande, ha ricostruito un ordine economico mercantile e capitalistico, ridato dignità all’immagine del Paese all’estero, ecc. Ma non si afferrano in pieno le sue straordinarie capacità se si dimentica che la Russia era priva di uno Stato, la sua ossatura istituzionale era il Partito comunista, un pachiderma burocratico inefficiente e abbastanza corrotto, non aveva corpi intermedi, un Parlamento liberamente eletto, partiti bene organizzati, ecc., Putin è riuscito a creare in un tempo relativamente breve uno stato funzionante, un gruppo dirigente, ha rimesso in piedi la macchina economica, la sanità pubblica, la scuola e l’università, ecc. Vi potevate aspettare da lui uno stato liberal-democratico all’occidentale? Il lettore abbia l’onestà e anche l’intelligenza politica di immaginare se al posto di un autocrate come Putin avesse dovuto affrontare il collasso di quel grande paese un sistema liberal democratico, con i vari partiti, le correnti interne, ecc. Cerchi di immaginare, se può, il sistema politico italiano alle prese con il compito immane che aveva Putin.
Devo aggiungere tuttavia che una evoluzione democratica della Russia non era impossibile. Essa poteva aver corso, benché certo non immediatamente, con Putin o con altri, ma dopo un processo storico. La democrazia non si esporta, questo lo sostenevano i guerrafondai americani, è un processo lungo che ha bisogno di vari ingredienti. Soprattutto della sicurezza, la possibilità di uno svolgimento pacifico dei propri progetti di sviluppo e di organizzazione sociale. Ma gli USA hanno consapevolmente impedito questo processo, perché avevano bisogno del vecchio nemico, cominciando a rendere insicuri i confini di quel Paese con l’espansione della Nato a Est. Ricordo che Putin ai suoi esordi aveva intenzione di aderire alla NATO, non essendoci più contrapposizioni di sistema con l’Occidente. Lo ha ripetuto nella recente ‘intervista al giornalista americano Carlson ascoltabile in rete.
Concludo con una affermazione perentoria ma ben meditata: considero la sconfitta della NATO in Ucraina una via di salvezza per l’umanità. La sconfitta della Russia avrebbe portato a una sanguinosa guerra civile tra le ex repubbliche, la devastazione del Paese seguita dall’apertura del confitto mondiale con la Cina. La tenuta della Russia garantisce al contrario lo sviluppo dei BRICS e la possibilità di un mondo multipolare: solo da un simile assetto possono nascere relazioni internazionali pacifiche ed equilibrate, mentre l’unipolarismo USA porta alla continuazione delle guerre in cui siamo già immersi da tre decenni. Tutti gli imperi, quando scorgono l’inizio del proprio declino, fanno prevalere le armi alla politica per mantenere il dominio. Possiamo anche storcere il naso se pensiamo alle forme di governo degli stati che fanno part dei BRICS e di quelli che si vanno aggiungendo. Ma la storia avanza con i materiali che eredita dal passato e possiamo farci poco. È la pace che viene prima delle nostre preferenze sugli ordinamenti interni dei Paesi. E francamente nessuna lezione può venire oggi dall’Occidente e tanto meno dagli USA, i quali in questo momento sono corresponsabili del genocidio che si sta consumando a Gaza: chiedono a parole e per il grande pubblico al governo di Israele di cessare il fuoco, e continuano a rifornire di armi il suo esercito, mantenendo due gigantesche portaerei nel Mediterraneo orientale. E all’ONU hanno sempre bloccato le risoluzioni che chiedevano il cessate il fuoco E’ evidente che Biden e tutta l’amministrazione americana mentono, come hanno sempre fatto, con i propri cittadini, gli alleati e gli avversari. Oltre al dollaro, l’altra moneta non cartacea usata dalle amministrazioni USA è la menzogna. Fidarsi della narrazione americana oggi non è più un atto di fede, ma una ingannevole superstizione e un danno alle sorti future del mondo.
Piero Bevilacqua
- Come l’Occidente ha provocato la guerra in Ucraina. Prefazione di L. Canfora, Fazi 2023.[↩]