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Quattro giorni di mobilitazione legati dal filo dell’antimilitarismo

di Anna
Camposampiero

Il 21 e il 22 di giugno si sono tenuti due giorni di mobilitazione a L’Aia e a seguire il 23 e il 24 a Bruxelles il Forum Internazionale per la Pace: due appuntamenti che si sono collocati poco prima del vertice della NATO che si terrà anch’esso a L’Aia il 24 e il 25 di giugno.
Il controvertice “No to NATO”, organizzato da 11 realtà olandesi, tra cui ROOD, Young Socialists e il Partito Socialista Rivoluzionario Olandese, si è tenuto sabato 21 è stata una giornata densa di dibattiti e di incontri con molte realtà locali ma anche realtà provenienti da vari paesi, non solo europei. Forte la presenza belga, che condivide il confine con l’Olanda, e che ha la sede della NATO a Bruxelles. 
Ed è quindi normale che nella sessione di apertura sia intervenuto Peter Mertens, il segretario generale del Partito del Lavoro Belga (PTB), il partito più radicale e più a sinistra in Belgio, che ha raggiunto un ottimo risultato elettorale e sta egemonizzando il discorso contro la NATO e contro la guerra in questa zona dell’Europa. Un sabato denso di incontri, strutturati per tavoli di lavoro dalla militarizzazione delle frontiere parlando delle persone migranti, al femminismo, dalla guerra in Ucraina alla costruzione di un’alternativa. Hanno partecipato più di 400 persone, anche se, mi permetto di dire, l’impressione è stata più di una iniziativa utile a costruire localmente un’opposizione alla NATO e alle politiche di guerra. In alcuni dibattiti l’impressione è stata di avvio di analisi. Assente la detenzione amministrativa nel dibattito sulle frontiere e assente il Patto d’asilo che sarà implementato nel 2026, solo per citare un tema. Questa impressione di avvio di lavoro di mobilitazione viene anche dalla manifestazione che si è tenuta la domenica: hanno partecipato più o meno 8.000 persone, e qui sorge un interrogativo sul lavoro di propaganda rispetto al tema NATO. A L’Aia, qualche settimana fa, c’è stata un’imponente manifestazione pro Palestina che ha visto più di 150.000 persone sfilare per le strade della città. L’opposizione al vertice della NATO ha portato nelle strade poco più di 8.000 persone di cui alcune provenienti dai paesi vicini, il PTB ha organizzato una buona mobilitazione del partito portando più di 500 persone dal Belgio.
È stato comunque un buon segnale per un paese come l’Olanda abbastanza liberale, che dimostra quindi un inizio di costruzione di un movimento che chiede uno stop alla militarizzazione. Ricordiamo che a questo vertice NATO si arriva con una richiesta degli Stati Uniti, del presidente Trump, di portare l’investimento dedicato agli armamenti al 5% del PIL. Al momento solo lo stato spagnolo ha posto obiezioni, in virtù anche del fatto che non vi è alcun obbligo che prevede l’aumento del contributo di ciascuno stato membro, scelta in capo ai singoli governi. L’idea di aumentare al 5% è una follia: si tratta di una quantità di denaro che viene tolta alle spese per il welfare, per l’educazione, per la sanità, per il sistema pubblico e che andrebbe totalmente investita in armi. La cosa più, diciamo, ridicola, se non fosse una tragedia, è che la maggior parte degli investimenti di questo aumento delle spese di militari verrebbe indirizzato verso le imprese statunitensi produttrici di armi, quindi la richiesta degli Stati Uniti serve a finanziare gli Stati Uniti, di fatto. Questa è una delle ragioni per cui molte delle forze di opposizione a questo sistema manifestano una grande obiezione rispetto a questa richiesta.

Nei due giorni successivi, il 23 e il 24 giugno, si è tenuto a Bruxelles il Forum Internazionale per la Pace: una iniziativa fortemente voluta dalla Sinistra Europea, deliberata già l’anno scorso, con l’obiettivo di aprire interlocuzioni e parlare di costruzione di pace non solo in Europa ma anche a livello globale coinvolgendo realtà soggettività anche dal cosiddetto Sud del mondo.
Due giorni appunto iniziati con un’apertura con caratura di livello internazionale che ha visto intervenire Gloria Ramirez già ministra del lavoro del governo colombiano del cambiamento di Gustavo Pedro, e ovviamente Walter Baier, presidente della Sinistra Europea.  La prima giornata, in sessione plenaria, ha visto l’intervento di Ivano Orosa, del Partito Socialista Rivoluzionario olandese a nome del controvertice “No to NATO”, Josè Luis Centella, uno dei vicepresidenti della Sinistra Europea, uno degli organizzatori, insieme a Maite Mola, responsabile esteri della Sinistra Europea, di questo evento internazionale.
A seguire, nel corso della giornata, Peter Mertens, segretario generale del PTB, Marc Botenga, eurodeputato sempre del PTB, Ozlem Demirel, eurodeputata di Die Linke, e ancora Danilo Della Valle, eurodeputato Movimento 5 Stelle, Joao Oliveira, eurodeputato del Partito Comunista Portoghese, e ospiti internazionali come Jorge Cano Perez, incaricato dell’Ambasciata di Cuba in Belgio, che ha portato anche un messaggio scritto del presidente della Repubblica di Cuba, Miguel Diaz-Canel.
L’ultimo intervento della giornata è stato quello di Esther Lynch, segretaria della ETUC, la confederazione europea dei sindacati, che ha portato un punto di vista sindacale sulle conseguenze della guerra ed è quello che noi ripetiamo sempre sull’impatto economico e sulla crisi della classe lavoratrice, perché alla fine la guerra la pagano i lavoratori e le lavoratrici.

La prima giornata dell’evento internazionale è terminata con un flash mob, un DIE-In come si usa fare, stendendosi a terra al suono delle sirene e dei bombardamenti, a cui abbiamo partecipato tutti noi invitati e relatori dell’evento, in una piazza poco distante dalla Borsa dove si stava tenendo un presidio pro Palestina. Al termine del flash mob, a cui si sono unite anche persone di passaggio, ci sono stati una serie di interventi, a partire da Katerina Anastasiou, che ha parlato a nome della campagna Stop ReArm Europe.
La seconda giornata dell’evento internazionale è stata strutturata per workshop, per ampliare la discussione, incrociare esperienze, iniziative provenienti da tutta Europa e non solo. Ho partecipato, a nome di Rifondazione Comunista, al workshop dal titolo “Per un’Europa autonoma e in pace”, in cui sono stati messi a confronto i movimenti in alcuni paesi, dalla Francia alla Norvegia, passando appunto per l’Italia, dove ho potuto raccontare il percorso della campagna Stop ReArm Europe che sta riattivando un movimento per la pace “addormentato” da troppo tempo. La giornata si è conclusa con la plenaria di chiusura, e la lettura della dichiarazione finale che chiede di fermare l’aumento delle spese militari e la militarizzazione della nostra società. Si prendono una serie di impegni, tra cui il più vicino, la costruzione di una mobilitazione che coinvolga tutti i paesi, in occasione del 21 settembre, giornata mondiale della Pace.

Si riconferma ovviamente l’impegno per fermare il genocidio a Gaza, ma anche di agire politicamente per far diventare il “Group of Friends of Peace”, nato in seno alle Nazioni Unite, un percorso di allargamento che coinvolga movimenti sociali e partiti politici, e quindi creare gruppi di amici per la pace.  Tutti i punti che hanno caratterizzato questa due giorni sono quel filo antimilitarista che attraversa tutte le mobilitazioni e tutte le iniziative che a poco a poco finalmente stanno cominciando a vedere la luce nei vari paesi.

Quale il messaggio che arriva da questi quattro giorni di mobilitazione? Da una parte si vede come stia ricominciando un cammino, un percorso che si era interrotto negli anni e in alcuni casi le giovani generazioni sembrano davvero ripartire da zero, come se non ci fosse mai stata un’analisi, un movimento pacifista, un movimento che si sia opposto nell’arco degli anni a tutto quanto stava accadendo, senza riuscirci.
Sono stati gli anni delle bombe intelligenti, delle guerre umanitarie, delle donne da andare a salvare, dei bambini da andare a salvare, a meno che non siano palestinesi. Nell’arco degli anni il movimento per la pace è stato a poco a poco messo sempre di più all’angolo, l’assuefazione a cui siamo stati soggetti tutte e tutti, senza esclusioni, con le grandi organizzazioni di massa che si sono ritrovate in difficoltà nella difesa anche dei diritti più basilari, abbiamo scordato l’importanza del mantenere viva un’attenzione rispetto a un processo di militarizzazione che non è iniziato ora, ma che va avanti da quindici anni. L’Italia ha partecipato a tutte le guerre che si sono viste dalla caduta del muro di Berlino in poi. Tutte.
Oggi, finalmente, abbiamo visto varie manifestazioni che si sono susseguite una dietro l’altra nel tentativo di ricostruire una coscienza collettiva che si opponga alla corsa verso il baratro cui ci stanno portando e che riesca realmente a costruire una massa di opinione pubblica che possa incidere sulle scelte di governi che sembrano sempre più aver dimenticato che cosa è la guerra e che cosa porta la guerra.

La campagna europea Stop ReArm Europe in Italia ha visto l’adesione e la partecipazione di ormai quasi 500 organizzazioni, e ha culminato, in questa prima fase, nella manifestazione del 21 giugno a Roma a Porta San Paolo, e ora nelle varie iniziative che si stanno facendo in giro per l’Italia di fronte a quanto sta accadendo con l’escalation in Medio Oriente e le azioni dirette degli USA. 

Noi siamo già in guerra. L’Italia è già in guerra. Il blocco delle ferrovie in Toscana per permettere l’adeguamento e il miglioramento della struttura ferroviaria per poter trasportare con più facilità le armi dalla base di Camp Derby ce lo dice, così come ce lo dicono le misure repressive che nel nostro paese si stanno mettendo in atto proprio per impedire il sorgere di un movimento che possa bloccare l’agire del governo e delle scelte che vengono messe in atto. Se uniamo i puntini di tutto quanto sta accadendo attorno a noi, possiamo prima spaventarci, ma poi impegnarci per modificare lo stato delle cose.

I quattro giorni che ho vissuto, due a L’Aia e due a Bruxelles, mi dicono che non siamo soli, ma insegnano anche che serve organizzarsi, serve convincere più persone possibili, serve mobilitarsi e serve allargare alle realtà e a tutte e tutti coloro che hanno ancora a cuore un movimento per la pace, dove per pace si intenda giustizia sociale e non solo la fine dei bombardamenti pur necessari laddove questi avvengono.
Un impegno che deve essere quotidiano prima di tutto, per fermare la follia verso cui stiamo andando e poi per costruire le condizioni affinché questo non si ripeta. Non dobbiamo per forza passare ancora attraverso una guerra per sapere che si può evitare e si può costruire una società migliore. 

Anna Camposampiero

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