Con quali occhi guardare alla Siria – Sull’accelerazione degli eventi che hanno portato alla caduta della dinastia degli Assad in Siria, esistono sensibilità diverse il più delle volte dettate dal timore delle conseguenze della caduta di un regime che, per molti assicurava comunque una “stabilità”. A questo proposito l’Unione Europea si distingue ancora una volta per il suo sguardo miope assillato esclusivamente dall’ossessione che produce sulle nostre classi dirigenti la “questione migratoria”. Quella di Istico Battistoni, al contrario, è il punto di vista di chi ha subito e sofferto quella dittatura giorno dopo giorno per cinquanta lunghi anni.
Gli interrogativi sul futuro non mancano, tuttavia il fatto che le diverse componenti protagoniste della rivoluzione abbiano costituito qualcosa che assomiglia al nostro CNL dopo la liberazione, fa sperare che l’autodeterminazione di quel popolo produca forme di convivenza etnico-religiosa ben lontane dal temuto Califfato. Intanto rispettiamo la gioia di quella che, a tutti gli effetti, è stata una liberazione.
Quarantacinque anni. Quarantacinque anni ha dovuto aspettare un prigioniero del tiranno di Damasco per gustare la libertà, uscendo dalla prigione di as-Suwayda, così, come può uscire un coniglio dal cappello di un prestigiatore. La sua famiglia non sapeva neppure dove fosse, era stato dimenticato da quasi tutti, perché le cose funzionavano così: si facevano scomparire le persone per sempre e si negava di sapere dove fossero. Pinochet li buttava giù da un aeroplano in volo, i mafiosi gli scioglievano nell’acido. Il regime degli al-Asad li faceva vivere una vita intera in una cella, in condizioni penose, perché soffrissero fino all’ultimo giorno della loro esistenza. Uno dei regimi più brutali della storia moderna è caduto in pochi giorni, dopo che mezzo milione di concittadini avevano perso la vita nella sanguinosa repressione che ha seguito la Primavera araba.
È successo un 8 di dicembre. Mia sorella mi chiama per chiedermi del disastro siriano, dei nuovi jihadisti. Io non la sento, da tanto è il fracasso del carosello di auto che girano per il centro di Berlino con le bandiere della rivoluzione siriana. E quando la sento, la risposta è forse un poco frettolosa: lasciali festeggiare, alle analisi ci dedichiamo dopo. Possibilmente senza attivare i nostri parametri di giudizio orientalisti.
Per chi ci crede, tra i cattolici, oggi si festeggia l’Immacolata Concezione di Maria, insomma si festeggia l’unica creatura a essere nata priva del peccato originale e ad aver vissuto nella purezza. Forte di questo suo stato, sospetto che la Madonna ci abbia messo lo zampino, perché quanto è successo ha tutti i connotati di un miracolo. Quando la Storia aveva già decretato la superiorità della dittatura, capace di mantenersi in piedi ad ogni costo, un giorno qualunque, mentre i diplomatici discutevano delle tante guerre che alimentano in giro per il mondo, dei siriani che non si erano dati per vinti, ammassati nella provincia di Idlib dal 2017, rompono gli indugi e mettono in fuga l’esercito regolare dovunque arrivino. Alcuni di loro, li vedevi avanzare su delle motociclette, quasi avessero solo la forza della determinazione come arma decisiva. Ho subito pensato a quegli ottantadue del Granma, che furono quasi decimati al loro arrivo sulle coste cubane, nel 1956, ma che sulle montagne e nella selva si seppero riorganizzare, per ripartire alla conquista del potere: il dittatore cubano Batista scappò tre anni dopo.
È così difficile accettare che ogni popolo abbia il diritto ad autodeterminarsi, vi è sempre una buona ragione per dubitare degli esiti di ogni intento di liberazione, al punto che quando i Siriani vennero lasciati soli dal mondo intero mentre i Russi bombardavano massicciamente le città liberate e gli Iraniani avanzano a forza di missili balistici e artiglieria pesante, era il 2015, gli amici dell’Opposizione siriana mi chiedevano: perché ci lasciate morire così? È proprio vero che pensate che la democrazia non sia per gli Arabi?
Temo di conoscere la risposta a quella domanda scomoda. Ed in queste ore ho avuto il sentore della prova. Oggi, giorno della liberazione dal tiranno di Damasco, se Le Monde tiene costantemente come prima notizia della versione digitale quanto succede in Siria, e così The Guardian, La Repubblica era già passata nel pomeriggio alla competizione di Formula 1 di Abu Dhabi. Sin dalle prime ore di questa vertiginosa accelerazione della Storia in Siria, molta stampa europea parlava di jihadisti, si domandava se fossimo alla vigilia della nascita di un nuovo Califfato. Allora ho chiamato la Lega degli avvocati liberi siriani a Gaziantep, che mi hanno invece confermato che l’Opposizione aveva un comando militare unificato, a cui avevano aderito i gruppi di ispirazione islamica e quelli laici, e da cui erano rimasti fuori un paio di gruppuscoli ancora legati ad al-Qaida. Eppure, dalle nostre parti, si è continuato a rimpiangere, in pubblico od in privato, il tiranno, che con la frusta ed il sangue ha garantito qualcosa che alcuni chiamano “stabilità”, ma che per la maggioranza dei Siriani ha rappresentato una devastante maledizione.
Aveva ragione padre Paolo Dall’Oglio, quando diceva che la libertà non ha prezzo, e che solo quando i Siriani avrebbero ritrovato l’unità sarebbero riusciti a riprendere in mano il proprio destino.
Che vi posso dire di più? Lasciate festeggiare i siriani, oggi vivono quanto i nostri antenati provarono alla fine del fascismo. Quello che verrà sarà da costruire, anzi da ricostruire, ed i Siriani sanno che dovranno farlo unendo le forze, e sperando che le potenze straniere non agiscano per seminare divisione o dividersi fette del Paese. Sanno anche che potrebbero di nuovo trovarsi soli, che anche i Paesi democratici potrebbero far finta di niente, preoccupati più di chiudere le proprie frontiere che di ampliare l’orizzonte della democrazia.
Ma è proprio per questo che qualcosa di miracoloso è successo oggi, scompigliando tutte le carte, ad Ovest come ad Est. È la vita, ragazzi.
Ancora non riesco a immaginare come possa sentirsi quel signore che ha passato quarantacinque anni nell’isolamento più assoluto, ora che è uscito all’aria aperta, dopo aver buttato via una vita intera. Almeno per lui, lasciamo i siriani godere di questo evento di riscatto, troppo bello per essere vero, troppo vero per essere impossibile.
Istico Battistoni